Respinta, in via definitiva, la domanda proposta dall’uomo. Ciò che conta è la consapevolezza dell’adulterio, come riferimento cronologico da cui far scattare il conteggio per il termine ultimo per la richiesta di disconoscimento.
I figli so’ piezz’ e core, recita un adagio dialettale. E anche se quei ‘pezzi’ si rivelano ‘taroccati’, non se ne può comunque fare a meno, volenti o nolenti. Unica soluzione è mettersi l’anima in pace, nonostante i tradimenti subiti e la mancanza di un rapporto di sangue coi figli Cassazione, sentenza numero 7581/2013, Prima Sezione Civile, depositata oggi . Tempo scaduto. Davvero ai confini della realtà la vicenda vissuta da un uomo, ritrovatosi sposato con due figli, eppoi venuto a conoscenza del fatto che in realtà lui figli non ne ha mai avuti Perché i due ragazzi che ha allevato sono frutto delle relazioni extraconiugali della moglie, da cui si è separato ufficialmente. Eppure ciò non basta per ottenere il «disconoscimento della paternità». Secondo i giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, la domanda dell’uomo – accompagnata anche dalla richiesta di «risarcimento dei danni morali e materiali subiti» – non è ammissibile, perché «promossa oltre l’anno dalla conoscenza delle distinte relazioni della moglie». Conoscenza. Ma è davvero corretto il conteggio temporale compiuto dai giudici? Assolutamente no, ovviamente, secondo l’uomo, il quale afferma di «aver avuto, antecedentemente all’anno previsto per l’instaurazione del giudizio, un mero sospetto, che divenne consapevolezza» solo più tardi, allorquando «aveva reperito un biglietto anonimo che lo informava del fatto», «aveva assunto informazioni da un investigatore privato» e, infine, «aveva acquisito il risultato negativo dell’esame del dna dei minori». Questa visione, però, viene ritenuta non attendibile dai giudici della Cassazione, i quali – richiamandosi alla ricostruzione della vicenda compiuta dalla Corte di merito – considerano acclarata da subito la «certezza», da parte dell’uomo, e «non il semplice sospetto delle relazioni della moglie». E ciò ha effetti importanti perché «il dies a quo del termine annuale», ricordano i giudici, «va collocato nel momento della scoperta dell’adulterio, intesa quale conoscenza della relazione o dell’incontro di carattere sessuale della donna con altro uomo, idonei a determinare il concepimento del figlio che s’intende disconoscere». Rispetto a tale quadro, concludono i giudici, la «possibilità di dimostrare l’adulterio, anche ricorrendo alla prova tecnica, non incide però sul momento iniziale del decorso del termine e non interferisce, dunque, sulla disciplina dettata in tema di decadenza, per la quale rilevano solo la scoperta del fatto ‘adulterio’ ed il momento in cui il padre ne sia venuto a conoscenza, quale che sia stata la fonte che lo abbia reso edotto, prescindendo dall’accertamento della sua corrispondenza alla verità».
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 febbraio – 26 marzo 2013, numero 7581 Presidente Luccioli – Relatore Cultrera Svolgimento del processo E.I. con citazione del 10.10.2002, ha proposto innanzi al Tribunale di Latina domanda di disconoscimento della paternità dei figli minori S.I. e S.I., nati rispettivamente l’8.3.1988 ed il 30.7.1992 dal matrimonio con B.P., da cui intanto si era separato, e di dichiarazione giudiziale di paternità nei confronti di V.G. e V.F., assumendo di non essere il padre naturale dei minori in quanto all’epoca del loro concepimento la moglie aveva intrattenuto relazioni extraconiugali prima con il G. e poi col F., nei cui confronti ha altresì chiesto pronuncia di condanna unitamente a B.P. al risarcimento dei danni morali e materiali subiti. Con sentenza numero 849/2006, il Tribunale adito ha dichiarato inammissibile la domanda di disconoscimento essendo la I. decaduto dall’azione in quanto promossa oltre l’anno dalla conoscenza delle distinte relazioni della moglie, da farsi risalire già alle date di nascita dei figli o al più tardi all’agosto del 2000 ha dichiarato inammissibile anche la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità, ed ha rigettato le domande risarcitorie. E.I. ha impugnato la decisione innanzi alla Corte d’appello di Roma deducendo d’aver avuto antecedentemente all’anno previsto per l’instaurazione del giudizio un mero sospetto, che divenne consapevolezza circa le relazioni extraconiugali della moglie da cui erano nati i minori S. e S., solo nel 2002, allorché aveva reperito un biglietto anonimo che lo informava del fatto, aveva ricevuto le confidenze della conoscente M.A.P., aveva assunto informazioni da un investigatore privato ed infine aveva acquisito il risultato negativo dell’esame del dna dei minori, lamentando altresì di non aver potuto fornire esauriente prova del suo assunto per non aver il primo giudice ammesso la prova contraria da lui articolata sui capitoli dedotti dalle controparti, sì che si era trovato nell’impossibilità di dimostrare il mendacio delle testimoni A.I., sua sorella e moglie del F., e A. F., congiunta di quest’ultimo, da lui denunciate per falsa testimonianza, in ordine alla loro conoscenza delle relazioni intrattenute dalla moglie, e che comunque il Tribunale avrebbe dovuto dare ingresso alla prova genetica. Gli appellati, ciascuno dei quali si è ritualmente costituito, hanno chiesto il rigetto del gravame. V.F. ha dedotto altresì in linea preliminare la carenza della propria legittimazione passiva in relazione alla domanda di disconoscimento della paternità del presunto figlio S., posto che litisconsorti necessari erano questi, la madre ed il padre, quest’ultimo peraltro sprovvisto di legittimazione attiva in relazione all’azione di riconoscimento della paternità di S. in capo allo stesso F Si è inoltre costituita l’Avv. Carmela Docimo, quale curatore speciale dei minori, che ha chiesto il rigetto del gravame. In corso di giudizio si è infine costituita S.I. divenuta maggiorenne che ha dedotto l’infondatezza delle domande. La Corte territoriale, ritualmente instauratosi il contraddittorio nei confronti di tutti gli appellati che si sono costituiti per chiedere il rigetto del gravame, ha confermato la precedente statuizione con sentenza numero 2828 depositata il 30 giugno 2010. Avverso la decisione E.I. ha proposto infine ricorso per cassazione articolato in tre motivi resistiti da V.G., V.F., B.P. e S.I. Il ricorrente ed i resistenti V.F. e B.P. e S.I. hanno altresì depositato memoria difensiva ai sensi dell’articolo 378 c.p.c L’altra intimata non ha invece svolto difese. Motivi della decisione In linea preliminare va dichiarato il difetto della legittimazione passiva dei convenuti V.G. e V.F., secondo quanto del resto quest’ultimo ha dedotto con eccezione sottoposta al giudice d’appello e ribadita in questa sede, in ordine all’azione di disconoscimento della paternità esperita dall’attore anche nei loro confronti per l’asserita qualità di padri naturali dei figli S. e S. Osserva a riguardo il collegio che questa Corte, con consolidato orientamento a cui si intende in questa sede dare continuità per tutte da ultimo numero 430/2012 , ha già affermato che “la sentenza che accolga la domanda di disconoscimento della paternità, in quanto pronunciata nei confronti del pubblico ministero e di tutti gli altri contraddittori necessari, assume autorità di cosa giudicata erga omnes, essendo inerente allo status della persona Cass. 1985/194 . In particolare, la paternità legittima non può essere messa in discussione e neppure difesa da colui che è indicato come padre naturale, il quale, allorché deduca che l’esito positivo dell’azione di disconoscimento di paternità si riverbera sull’azione di riconoscimento della paternità intentata nei suoi confronti, si limita in realtà a far valere un pregiudizio di mero fatto, tanto da non poter agire contro la sentenza di disconoscimento neppure con l’opposizione di terzo, atteso che il rimedio contemplato dall’articolo 404 c.p.c.f. presuppone in capo all’opponente un diritto autonomo la cui tutela sia però incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza impugnata Cass. 2005/12167 ”. La questione, rilevabile peraltro anche in via officiosa non essendosi su di essa formato il giudicato in assenza di statuizione del giudice d’appello, pur investito sul punto va risolta pertanto nei sensi prospettati. Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 235 comma 3 cod. civ., dell’articolo 244 comma 2 cod. civ. e correlato vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo. Lamenta che la Corte territoriale, facendo altresì malgoverno degli enunciati pur riferiti in sentenza, avrebbe erroneamente assunto a dato decisivo, ai fini dello scrutinio bell’ammissibilità dell’azione da lui i esperita di disconoscimento della paternità, la dimostrata esistenza del mero sospetto da lui nutrito sulle relazioni extraconiugali intrattenute con i due convenuti dalla P., e non già la scoperta del loro rapporto adultero, da intendersi quale acquisizione della conoscenza di una relazione ovvero di un incontro che comunque avesse investito la sfera sessuale, sì da determinare il concepimento dei figli che intendeva disconoscere. Il giudice dell’appello avrebbe in sostanza equiparato alla conoscenza dell’adulterio, da cui decorre il termine di decadenza posto dalla norma in rubrica, il mero dubbio circa la frequentazione della P. con gli altri uomini, desunto dalla condotta concretatasi nello stretto rapporto con G. e dall’episodio del massaggio non terapeutico del F. La decisione sarebbe pertanto affetta dal denunciato error juris laddove equipara il sospetto, emerso dal compendio istruttorio acquisito, alla scoperta degli adulteri della moglie, e risulterebbe illogicamente argomentata nella parte in cui desume tale conoscenza dai riferiti, pur criticabili episodi, riguardanti i presunti padri naturali dei figli. Il ricorrente formula infine conclusivo ma superfluo quesito di diritto ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c. abrogato dalla l. numero 69/2009 in relazione alle decisioni pronunciate successivamente alla data del 4 luglio 2009 della sua entrata in vigore. Tutti i resistenti deducono l’inammissibilità ovvero l’infondatezza del motivo. Il motivo espone censura priva di pregio. La Corte del merito, premesso che il termine decadenziale previsto dall’articolo 244 c.c. va correlato alla conoscenza non già del concepimento del figlio bensì dell’adulterio della moglie che, secondo orientamento giurisprudenziale citato, deve concretarsi nella cognizione di un legame a sfondo sessuale della donna, ha ritenuto acquisita in giudizio la relativa prova anzitutto alla luce dalle stesse affermazioni contenute nell’atto di citazione l’intenzione più volte manifestata dalla P. di andarsene con la figlia S. ed il G. e le scenate di gelosia del F. per la relazione intrattenuta tra la predetta e V.E., correttamente ritenute dal primo giudice aventi contenuto confessorio circa la certezza e non già il semplice sospetto delle relazioni della moglie con i due convenuti, attestanti durata ed intensità affettiva di quegli. stretti legami. Indi ne ha tratto conferma dalla deposizione di A.I., sorella dell’attore e moglie di V.F., che, escussa a prova diretta, dichiarò che il fratello, affetto sin dal 1987 da oligospermia, accettò i figli come suoi pur sapendo di non averli generati. Ha infine concluso che il coerente quadro istruttorio emerso, non validamente contrastato dalle deposizioni degli altri testi Ruggiero e Panzironi, ammantano di conclusiva univocità l’intempestività dell’azione promossa dallo I L’approdo richiama puntualmente nella motivazione il quadro normativo che rego.a il caso di specie alla stregua del disposto dell’articolo 235 comma 1 numero 3, che prevede che l’azione per il disconoscimento della paternità del figlio concepito durante il matrimonio è consentita “se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio –” in combinato con 1’articolo 244 c.c., corretto a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale con sentenza numero 134 del 1985 che estese all’adulterio la soluzione prevista per il celamento della nascita, che al comma 3 legittima l’azione entro un anno dal momento della conoscenza del fatto che la rende ammissibile, vale a dire dell’adulterio. E citandolo in parte, si uniforma all’orientamento consolidato di questa Corte cfr. Cass. numero 5248/2000, numero 1264/01, numero 14887/02, numero 6477/2003, numero 4090/2005, numero 15777/2010 che il collegio condivide ed al quale intende in questa sede dare continuità, secondo cui il dies a quo del termine annuale va collocato nel momento della scoperta dell’adulterio, intesa quale conoscenza della relazione o dell’incontro di carattere sessuale della donna con altro uomo, idonei a determinare il concepimento del figlio che s’intende disconoscere. Nel solco di questo contesto esegetico ed in assoluta coerenza, ha dunque criticamente vagliato il compendio istruttorio acquisito in giudizio, apprezzando l’idoneità dei fatti da esso emersi a rendere noto allo I. il duplice adulterio, consumato della moglie prima con l’uno e poi con l’altro dei convenuti nei periodi concomitanti con il concepimento dei figli S. e S Il percorso logico che ne sostiene la conclusione è all’evidenza immune dal vizio denunciato. La valutazione delle, evenienze istruttorie e la sintesi ricostruttiva da essa desunta, esaustivamente e logicamente argomentate, ineriscono al merito e, risultando argomentate sulla base di puntuale tessuto motivazionale, non sono sindacabili da parte di questa Corte cui è preclusa la rivisitazione della vicenda fattuale. Ne discende il rigetto del motivo. Il secondo motivo, con cui il ricorrente ribadisce analoga censura anche in relazione all’articolo 116 c.p.c., verte sull’attendibilità della deposizione della sorella A.I., moglie del F., a suo avviso con questo compiacente. Ed invero, la Corte d’appello, secondo il ricorrente, non avrebbe tenuto conto del testo della telefonata nel corso della quale ella gli disse che avrebbe dovuto schierasi con la P. e purtroppo “fare le cose contro di lui”, né che la deposizione non era decisiva poiché non ineriva all’adulterio, ma alla sua situazione clinica di impotentia generandi. Gli altri testi, anch’essi inattendibili, non avrebbero smentito che egli apprese dell’adulterio solo all’esito delle prove genetiche, dunque entro l’anno dall’introduzione del giudizio. Il motivo, di cui i resistenti chiedono il rigetto, è inammissibile laddove induce palesemente alla rilettura della deposizione della testa A.I., preclusa a questa Corte, e richiama in senso assolutamente generico le altre deposizioni senza trascriverne il contenuto. È infondato laddove in senso conferente richiama la dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’articolo 235 c.c. comma 1 numero 3, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza numero 2006/266 con riguardo alla parte che, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina l’esame delle prove tecniche da cui risulta che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie. Con la citata sentenza numero 15777/2010, che si richiama e si condivide, si è chiarito che tale pronuncia, correggendo l’interpretazione che della norma era stata data da questa Corte, che subordinando all’indagine sul verificarsi dell’adulterio la prova della sussistenza o meno del rapporto procreativo comportava che questa, anche se espletata contemporaneamente alla prova dell’adulterio, poteva essere esaminata solo subordinatamente al raggiungimento di quest’ultima, e al diverso fine di stabilire il fondamento del merito della domanda, sicché, in difetto di prova dell’adulterio, non poteva pronunciarsi il disconoscimento neppure se fosse risultata dimostrata l’incompatibilità genetica o del gruppo sanguigno del figlio rispetto al presunto padre, afferma che la norma consente l’accesso alle prove ematiche anche a prescindere dalla previa prova dell’adulterio perché la contraria interpretazione viola i principi di libero accesso alla prova e della pienezza dei diritto di difesa. Il corollario, che ammette la possibilità di dimostrare lo stesso adulterio anche ricorrendo alla prova tecnica, non incide però sul momento iniziale dei decorso del termine previsto dall’articolo 244 c.c e non interferisce dunque sulla disciplina dettata in tema di decadenza, per la quale rilevano solo la scoperta del fatto “adulterio” ed il momento in cui il padre ne sia venuto a conoscenza, quale che sia stata la fonte che lo abbia reso edotto, prescindendo dall’accertamento della sua corrispondenza alla verità, che egli ha semplicemente il potere processuale di dimostrare senza incorrere in preclusioni, dunque attraverso ogni opportuna indagine tesa ad accertare le incompatibilità idonee a dimostrare l’adulterio. Col terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli articolo 2043 c.c. e 567 c.p. e lamenta che la Corte del merito, nel contesto di una motivazione omessa o insufficiente, ne avrebbe fatto malgoverno avendo rigettato la sua domanda risarcitoria, avendola ritenuta dipendente da quella principale -rigettata-, pur in presenza della prova acquisita in atti dell’illecito penale rappresentato dalla falsa attestazione di stato dei figli. I resistenti chiedono il rigetto della censura. Il motivo deve essere dichiarato inammissibile. Statuito il rigetto della domanda risarcitoria, attesa la sua stretta correlazione con la domanda di disconoscimento, la Corte territoriale ha dichiarato nel contempo inammissibile la prospettazione della nuova causa petendi, siccome assunta a fondamento della domanda risarcitoria solo in sede d’appello in violazione dell’articolo 345 c.p.c., laddove è stata riferita al disposto dell’articolo 567 c.p Trattasi di autonoma ratio decidendi contro cui il mezzo in esame non agita critica alcuna. Tutto ciò premesso, il ricorso devesi rigettare con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole in favore di B.P. e S.I. nell’importo di € 3.000,00 per compensi ed € 200,00 per spese, in favore di V.F. in egual misura ed in favore di V.G. nell’importo di € 2.500,00 per compenso e di € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.Lgs numero 196 del 2003, articolo 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi i delle parti.