La sentenza del Tribunale aretino ripercorre, con alcune peculiarità, il filone giurisprudenziale che, nel corso dell’ultimo decennio, ha avuto ad oggetto le conseguenze risarcitorie dei recessi e delle risoluzioni contrattuali comunicate, per vari motivi, dai condomìni qualificati ‘consumatori’ da ormai unanime giurisprudenza nei confronti delle società di manutenzione di impianti elevatori.
Il caso. La sentenza prende in esame un contratto per la manutenzione di un ascensore sottoscritto tra il Condominio X e la società Y in data 1/2/1998. Il contratto, di durata quinquennale, si rinnovava automaticamente il 1/2/2003 in forza di una clausola contrattuale di tacito rinnovo salvo ‘disdetta’ , per ulteriori cinque anni e, quindi, fino al 31/1/2013. Il 30/6/2009, circa due anni prima della scadenza naturale, il Condominio X inviava alla società Y una comunicazione di recesso dal contratto senza addurre, nella propria missiva, alcuna giustificazione e senza imputare alla stessa alcun inadempimento contrattuale. La società Y, pertanto, citava in giudizio il Condominio X per ottenere, in forza di un’espressa previsione contrattuale, il pagamento di un importo pari all’ammontare di tutti i canoni fino alla scadenza del 31/1/2013. Si costituiva in giudizio il Condominio X chiedendo al Tribunale l’accertamento della vessatorietà e la conseguente declaratoria di nullità, ex articolo 36 cod. cons., della clausola penale utilizzata dalla società X nel modello contrattuale unilateralmente predisposto dalla stessa. Incidentalmente il condominio sosteneva non essere dovuto l’importo richiesto dalla società in ragione dei gravi inadempimenti, mai dedotti però prima del giudizio, commessi dalla stessa nel corso del rapporto contrattuale. Deduceva, inoltre, l’inefficacia del contratto pluriennale sottoscritto dall’amministratore condominiale per carenza di mandato in quanto, per legge, secondo la prospettazione del convenuto, l’incarico è conferito dall’assemblea condominiale con periodicità annuale. Soltanto in via estrema subordinata chiedeva l’accertamento della manifesta eccessività della penale pecuniaria e per l’effetto la riduzione giudiziale ad equità della stessa. Il Tribunale di Arezzo si pronuncia principalmente su due questioni i la nullità di protezione delle penali pecuniarie “abusive” apposte dal “professionista” ai contratti standard di manutenzione d’impianti elevatori e ii la validità dei contratti pluriennali stipulati dall’amministratore del ‘condomìnio. Sulla nullità di protezione delle penali pecuniarie ‘abusive” apposte dal ‘professionista’ ai contratti standard di manutenzione d’impianti elevatori. In riferimento al primo punto della motivazione il giudice, verificata l’assenza totale di prova in ordine ai paventati inadempimenti dedotti dal condomìnio, approfondisce, con un articolato percorso argomentativo, la deduzione relativa all’applicabilità, al caso di specie, della normativa sui contratti dei consumatori risolvendo preliminarmente una questione, ritenuta evidentemente assorbente, di diritto intertemporale. Il giudice ha ritenuto, infatti, di fornire ampio riscontro all’eccezione sollevata dalla società attrice secondo cui la disciplina sulle clausole vessatorie sarebbe inapplicabile ratione temporis al caso sottoposto al suo esame. Richiamando noti principi giurisprudenziali il giudice, nel rilevare che il contratto era stato stipulato il 10/4/2000 ben quattro anni dopo la promulgazione della legge numero 52/1996 e rinnovato il 10.4.2005, afferma, in modo lineare, l’applicabilità, al caso di specie, delle disposizioni sui contratti dei consumatori in quanto, all’epoca della sottoscrizione, la legge numero 52/1996 la c.d. novella al codice civile era pienamente vigente. Superata tale preliminare eccezione, il giudice accoglie in toto le deduzioni del condomìnio convenuto in ordine alla nullità della penale pecuniaria in quanto manifestamente eccessiva presente nelle condizioni generali di contratto condannando, però, il condominio al pagamento di un importo a titolo di risarcimento, in via equitativa, pari al 20% dei canoni ancora a scadere. Sulla validità dei contratti pluriennali stipulati dall’amministratore del condominio. In riferimento al secondo punto della motivazione il giudice aretino respinge invece l’eccezione del condominio secondo cui il contratto sarebbe inefficace per carenza di mandato dell’amministratore e, più precisamente, per essere quest’ultimo privo di legitti mazione a sottoscrivere un contratto pluriennale senza una espressa delibera assembleare. La legge, si legge in motivazione, riconosce all'amministratore un autonomo potere di erogare le spese occorrenti alla manutenzione ordinaria dell'edificio tra cui sicuramente rientra il contratto di manutenzione dell’ascensore a nulla rilevando la durata del mandato annuale rispetto alla pluriennalità dell’impegno sottoscritto e ciò in quanto i condòmini hanno comunque avuto l’opportunità di verificare, anno per anno, i bilanci preventivo e consuntivo manifestando, pertanto, un consenso tacito alla durata pluriennale del contratto. Alcune considerazioni. L’aspetto di maggiore interesse nella sentenza in commento attiene alla questione, assai dibattuta, della vessatorietà della clausola penale imposta al consumatore/condomìnio che, in caso di esercizio del diritto al recesso o di risoluzione per inadempimento, prevede la corresponsione di un importo pari alla intera prestazione non goduta. Il giudice, pur rilevando che la società X otterrebbe, con clausola siffatta, un beneficio assolutamente sproporzionato in ragione della sostanziale interruzione del servizio specifica, tuttavia, che la nullità della clausola non comporta una indiscriminata libertà di recesso del consumatore in quanto a fronte di tale diritto previsto dall'articolo 1373 c.comma «permane comunque, in combinato disposto con l'articolo 1671 c.c., in cui viene previsto che il committente debba tenere indenne l'appaltatore del mancato guadagno, un obbligo di risarcimento». Secondo la lettura del giudice aretino a tale conclusione si giunge considerando che la Suprema Corte ha «sussunto la figura del contratto di prestazione continuativa di servizi con la quella del contratto d'opera Cass. 8254/1997 Cass. 4783/1983 riconoscendo all'appaltatore un profilo di indennizzo risarcitorio» che, si legge ancora in motivazione, «deve essere commisurato, seppure in via equitativa, all'importo dei canoni ancora a scadere e sulla base di comuni dati di esperienza economica può essere fissato in una quota pari al 20% degli stessi». L’argomentazione, che va apprezzata per lo sforzo di adottare una decisione secondo criteri di giustizia sostanziale, non appare coerente con il dato normativo emergente dal Codice del consumo e, per giunta, con la parte dispositiva che fa discendere, dall’accertamento della vessatorietà, la nullità radicale della clausola. Detta nullità, infatti, impedisce al giudice adito di esercitare il potere di riduzione ad equità dell’importo così come previsto dall’articolo 1384 c.c Tale possibilità potrebbe essere esercitata nei confronti di clausole penali valide ed efficaci ma non certo nei confronti di condizioni precedentemente dichiarate nulle. L’articolo 1384 c.comma avrebbe potuto, dunque, trovare applicazione, in via del tutto residuale, soltanto nel caso in cui il giudice avesse escluso la manifesta eccessività della penale applicata al consumatore e, conseguentemente, non avesse dichiarato la nullità della stessa e non certo nel caso in esame nel quale, invece, la nullità è stata esplicitamente dichiarata in dispositivo. Un ulteriore aspetto interessante della sentenza attiene al profilo qualificatorio della penale pecuniaria. Il Tribunale, infatti, giunge a considerare vessatoria la clausola rilevando l’ininfluenza, ai fini della decisione, della qualificabilità o meno dell’obbligo di pagamento dell’importo previsto dal contratto come clausola ‘penale’ articolo 33, comma 2, lett. f , cod. cons. e, quindi, l’inclusione di tale obbligo nell’area delle clausole presuntivamente vessatorie c.d. grey list . Appare implicito, nel ragionamento del Tribunale, l’assunto secondo cui le disposizioni di cui all’articolo 33 cod. cons. non costituiscono un numerus clausus ma soltanto delle esemplificazioni che lasciano l’interprete libero di operare un sindacato alternativo attraverso l’utilizzazione del canone generale del «significativo squilibrio» e della buona fede oggettiva. Del tutto lineare appare, al contrario, il punto della motivazione relativo ai poteri dell’amministratore nella sottoscrizione dei contratti in esame. E’ noto che la giurisprudenza, in questi anni, si è divisa diametralmente. Alcune sentenze, infatti, hanno stabilito che i contratti che prevedono una pluriennalità del rapporto e nei quali siano presenti clausole evidentemente vessatorie, devono essere considerati atti di straordinaria amministrazione per il condomìnio e, pertanto, non possono essere stipulati dall’amministratore senza una preventiva delibera dell’assemblea adottata a maggioranza qualificata a pena d’invalidità del contratto. Altre pronunce hanno ritenuto, al contrario, che l’amministratore può prendere autonomamente decisioni innovative per il condomìnio ritenendo non condivisibile l’orientamento secondo cui l’amministratore condominiale, sottoscrivendo un contratto pluriennale e vessatorio, abbia superato i suoi compiti o travalicato dai suoi poteri. Il Tribunale aderisce a questo secondo orientamento sulla base dell’assunto che deriva dalla lettura dell’articolo 1131 c.comma laddove stabilisce che l’amministratore ha la piena rappresentanza dei condòmini nei limiti delle attribuzioni fissate dall’articolo 1130 c.c., tra le quali vi è quella di erogare le spese correnti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni. Pertanto, tra i poteri autonomi che l’amministratore può esercitare nell’ambito di attività di ordinaria amministrazione, vi rientra anche quello di stipulare contratti accessori e strumentali all’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 1130, numero 3 e numero 4 c.comma e, dunque, anche la stipulazione di un contratto ultrannuale e vessatorio deve considerarsi atto di ordinaria amministrazione e la sua sottoscrizione non richiede un’esplicita delibera di approvazione delle spese da parte dell’assemblea.
Tribunale di Arezzo, sez. Civile, sentenza 14 - 17 febbraio 2012, numero 125 G.O.T. Andrea Mattielli Svolgimento del processo Con citazione notificata il 18 febbraio 2010 la conveniva il Condominio assumendo che tra le parti intercorreva un contratto quinquennale per manutenzione dell'ascensore stipulato il 1.1.1998 quinquennale con rinnovo automatico, salvo disdetta. Che il 30.6.2009 il condominio inviava una raccomandata di risoluzione senza motivazione. Che contemporaneamente analoghe disdette giungevano da circa 30 altri condomini. Che l'attrice diffidava senza esito la controparte. Chiedeva quindi la condanna del Condominio a corrispondere la penale prevista ed un ulteriore importo a titolo di maggior danno. Il Condominio si costituiva eccependo che l'interruzione del rapporto era dipesa da inadempimenti della evidenziati da apposita relazione tecnica che al contratto doveva applicarsi la disciplina di cui al codice del consumo con riconoscimento della nullità della clausola di previsione della penale che il contratto doveva essere considerato inefficace in quanto sottoscritto all'amministratore eccedendo i limiti del suo potere e senza apposita delibera assembleare che non era rilevabile alcuna concorrenza sleale e alcun maggior danno. Le parti si scambiavano memorie ex articolo 183 VI c. c.p.c. ed all'esito, in assenza di istanze istruttorie, la causa veniva trattenuta in decisione all'udienza del 24.01.11 con termini per conclusionali e repliche. Motivi della decisione Il Condominio convenuto ha eccepito che il contratto sarebbe inefficace per carenza di mandato da parte dell'amministratore il quale non avrebbe legittimazione a sottoscrivere un contratto pluriennale quindi eccedente i limiti del suo mandato senza una espressa delibera assembleare che non appare essere stata emessa. Tale eccezione deve essere respinta. Infatti la legge riconosce all'amministratore articolo 1130 numero 3 c.c. un autonomo potere di erogare le spese occorrenti alla manutenzione ordinaria dell'edificio, l'assemblea invece provvede - tra l'altro - alle opere di straordinaria manutenzione. Ebbene la giurisprudenza ha chiarito che la distinzione tra le due ipotesi si fonda da un lato sulla qualificazione giuridica del rapporto e dall'altro anche in base al valore economico del medesimo. E' evidente che il contratto di manutenzione degli ascensori rientra sotto entrambe i profili nella previsione di cui all'articolo 1130 n3 cc, senza considerare che in occasioni analoghe la giurisprudenza di merito ha espressamene ammesso che esso rientri tra le attribuzioni proprie dell'amministratore. Quanto alla sua ultrattività rispetto alla durata del mandato, va precisato che il controllo dei condomini su tali atti avviene ed è avvenuto anche in questo caso anno per anno, con l'approvazione dei bilanci e, nello specifico, il consenso dei condomini stessi si è avuto - sia pure in via tacita - al momento del rinnovo del contratto stesso alla scadenza dei primi 2 anni. Ugualmente deve essere respinta l'eccezione di inadempimento avanzata dal Condominio nei confronti dell'attrice. Tale eccezione appare totalmente indimostrata nel giudizio essendosi parte convenuta limitata ad una generica ed inammissibile richiesta testimoniale e per interpello in sede di comparsa, neppure ripetuta nelle memorie ex 183 VI c. c.p.c., e ad una richiesta CTU totalmente inammissibile in quanto esplorativa. Inoltre le deduzioni in ordine a presunti inadempimenti di parte attrice appaiono contraddetti dalla circostanza che di tali inadempimenti non si fa alcuna menzione nella comunicazione di disdetta ed in nessuna corrispondenza anteriore o posteriore sino al momento della comparsa di risposta. Il convenuto chiede che nella fattispecie oggetto del presente giudizio sia applicata la normativa riguardante i cd contratti con il consumatore la cui formulazione attuale è contenuta nel Codice del Consumo DL 206/2005 ma che al momento della sottoscrizione del contratto tra le parti era già vigente in forza della legge 52/1996. Tale richiesta va condivisa. La Suprema Corte ha infatti deciso in analoga vicenda che il contratto di manutenzione dell'impianto elevatore installato nell'immobile del condominio venne stipulato dall'amministratore del condominio, ma in rappresentanza dei condomini. Infatti il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti Cass. numero 826/1997 Cass. numero 12204/1997 Cass. numero 7544/1995 . In particolare il rapporto contrattuale oggetto di causa. relativo ad una prestazione di servizi, non vincola l'amministratore in quanto tale, ma i singoli condomini e l'amministratore opera come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini. Ne consegue che, poiché i condomini vanno senz'altro considerati consumatori, essendo persone fisiche che agiscono, come nella specie, per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, anche al contratto concluso dall'amministratore del condominio con il professionista, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge, si applicano gli articolo 1469 bis e segg. cc C. Cass. Ord. Sez. 3, numero 10086 del 24/07/2001 Rv. 548447 . Nella stessa ordinanza è detto altresì che in caso di rinnovazione del contratto, se essa è avvenuta successivamente all'entrata in vigore della legge 6.2.1996, numero 52, che con l'articolo 25 ha introdotto gli articolo 1469 bis e segg., dette norme si applicano al contratto rinnovato Dunque, applicando questo principio, il contratto in esame risulta stipulato il 10.4.2000 e rinnovato il 10.4.2005 e pertanto ad esso si applicano le disposizioni di cui al Cod Civ articolo 1469 bis e segg. contratti del consumatore oggi sostituite dal c.d. Codice del Consumo. Nello specifico la convenuta chiede che sia dichiarata la vessatoria, e dunque la nullità, della clausola numero 14 risoluzione anticipata di cui alle condizioni generali di vendita. Tale richiesta deve essere accolta. La clausola in esame in primo luogo è stata unilateralmente predisposta, dunque essa deve essere interpretata nel dubbio favorevolmente al consumatore 1469 quater c.c. . Non è stata data prova che tale clausola sia stata oggetto di specifica trattativa 1469 ter c.c. dunque essa può essere dichiarata vessatoria sia ave riconducibile alle presunzioni di cui all'articolo 1469 bis c.c. da 1 a 20 o avuto riguardo alla natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende. La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell'oggetto del contratto, né all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi articolo 1468 ter c.c. . Il criterio centrale è quindi quello del significativo squilibrio tra le prestazioni , con la precisazione, però, che esso deve essere inteso come squilibrio normativo riferito cioè ai diritti ed agli obblighi reciproci derivanti dalle clausole e non economico non attiene, pertanto, alla valutazione della vessatoria l'eventuale sproporzione tra prezzo pattuito e valore effettivo del bene o del servizio. Ebbene numerosa giurisprudenza ha rimarcato la vessatorietà di clausole analoghe a quella oggetto del presente giudizio tra le altre Trib. Pescara 15.7.2003, sent. 1073/03 , al di là del fatto che questa non appaia essere una clausola penale, poiché non tiene conto dell'inadempimento della parte bensì dell'esercizio di un suo diritto di recesso unilaterale. La non riconducibilità della stessa alle clausole presuntivamente vessatorie di cui all'articolo 1469 bis non ne esclude comunque la vessatorietà ai sensi del successivo 1469 ter, come sopra evidenziato. Lo squilibrio delle due prestazioni appare però di tutta evidenza ove si consideri che con tale norma l'appaltatore professionale impone al consumatore un corrispettivo per il diritto al recesso articolo 1373 cc. addirittura pari alla prestazione, non goduta con un beneficio per il primo assolutamente sproporzionato, esso infatti potrà incassare l'intero importo a fronte della sospensione del servizio. Ad avviso di questo giudicante, peraltro, la nullità della clausola in questione non comporta sic et simpliciter un potere di disdetta libero da qualunque vincolo e/o obbligo. A tale conclusione si perviene considerando che a fronte del diritto di recesso unilaterale stabilito dall'articolo 1373 c.c. permane comunque, in combinato disposto con l'articolo 1671 c.c., in cui viene previsto che il committente debba tenere indenne l'appaltatore del mancato guadagno , un obbligo di risarcimento. Tale lettura è confermata dall'interpretazione della Cassazione che ha pacificamente sussunto la figura del contratto di prestazione continuativa di servizi con la quella del contratto d'opera C. Cass. 8254/1997 C. Cass. 4783/1983 riconoscendo all'appaltatore un profilo di indennizzo risarcitorio. Tale risarcimento deve essere commisurato, seppure in via equitativa, all'importo dei canoni ancora a scadere e sulla base di comuni dati di esperienza economica può essere fissato in una quota pari al 20% degli stessi, ossia nel caso che qui ci interessa l'importo di euro 659,92. In quanto debito di valore su questo andranno calcolati separatamente rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data della disdetta al saldo. La società attrice ha infine contestato che tale attività posta in essere dal Condominio evidenzierebbe un atto di concorrenza sleale ai suoi danni. Tale richiesta, che peraltro non trova riscontro nelle conclusioni, non può trovare accoglimento. Al di là della mancata prova di quanto dedotto, non si vede come possa sussistere concorrenza tra soggetti non rientranti nello spesso ambito economico. Abbiamo addirittura evidenziato come il condominio si presenti in realtà come mero consumatore dunque non può essere a lui imputabile nessuna condotta astrattamente contraria ai principi della legittima concorrenza. Queste doglianze dovevano, nel caso, essere rivolte alla società che si deduce abbia adottato le presunte condotte di concorrenza parassitaria sviamento sistematico della clientela con politica mirata dei prezzi e manle-va per le disdette mentre sicuramente a nulla rilevano le non provate circostanze in ordine a successivi ripensamenti di alcuni condomini e/o amministratori in ordine alle risoluzioni con . Nessun maggior danno è stato dimostrato ai fini della richiesta di condanna ex articolo 1224 c.c. che deve pertanto essere respinta. Sussistono giusti motivi, infine, valutando le reciproche posizioni e la reciproca soccombenza, per una compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore domanda, eccezione o istanza disattesa, cosi decide accertato che la vessatorietà della clausola contrattuale ne dichiara la nullità accertato che il recesso ad nutum comporta un obbligo risarcitorio rispetto al mancato guadagno condanna il Condominio in persona dell'amministratore p.t. al pagamento di euro euro 659,92 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla disdetta al pagamento. Dichiara integralmente compensate le spese di lite.