Negata in Appello l’applicabilità della nullità, perché l’elemento era conoscibile solo dall’uomo. Ma le valutazioni dei giudici vengono contestate e rimesse in discussione sono ammissibili solo se fondate sui dati emersi dal procedimento ecclesiastico.
Quasi sette anni di matrimonio, da azzerare completamente. Il pronunciamento ecclesiastico è netto, alla luce dell’esclusione, ab origine, della prole. Passaggio successivo è l’applicabilità nello Stato italiano, e, in questa fase, il giudice nazionale può sì dissentire dalle valutazioni del Tribunale religioso, proponendo una diversa visione ma – chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 3227, Prima sezione Civile, depositata oggi – fondandola su elementi concreti, quelli della sentenza in ballo. Nullo. Premessa fondamentale è, come detto, la pronuncia del Tribunale ecclesiastico, che dichiara la nullità del matrimonio concordatario. Tocca poi alla Corte d’Appello pronunciarsi sulla «dichiarazione di efficacia nello Stato italiano», richiesta dall’uomo per vedere completamente cancellato il legame. Bluff? Diversi gli elementi presi in esame dal Tribunale religioso, e, tra questi, «l’esclusione della prole». Però, secondo le valutazioni compiute dai giudici d’Appello, tale «causa di nullità» non era «conosciuta né conoscibile» dalla donna. Di conseguenza, la sentenza ecclesiastica era viziata, alla luce delle norme italiane, da una «simulazione unilaterale, ignota all’altro coniuge», la moglie in questo caso. Nessuna applicabilità, tout court, quindi, del pronunciamento di nullità del matrimonio. Elementi unici. A tener viva la questione è ancora il marito, che presenta ricorso per cassazione col chiaro obiettivo di vedere riconosciuta la legittimità della sentenza del Tribunale ecclesiastico. Fondamentale, in questa ottica, la critica piena alla posizione espressa dai giudici di secondo grado, che, secondo l’uomo, non avevano tenuto conto degli elementi emersi nel processo ecclesiastico e attestanti «la conoscenza del vizio di nullità del vincolo da parte della moglie nonché dell’esclusione della procreazione e della sacralità del matrimonio da lui manifestata». A ulteriore sostegno di questa tesi, poi, anche il richiamo alla «assenza dei bona sacramentali per la presenza di una simulazione comune ad entrambi i coniugi». Per l’uomo, evidentemente, il procedimento dinanzi al Tribunale ecclesiastico è di facile lettura e di facile comprensione, e logiche sono le conseguenze. E sugli elementi – unici – di quel processo si soffermano anche i giudici di Cassazione, richiamando, in particolare, un passaggio della sentenza, relativo al fatto che «entrambe le parti esclusero la generazione della prole a tempo indeterminato». Certo, il giudice civile «può dissentire» dal Tribunale ecclesiastico, ma «sempre sulla scorta» del pronunciamento ecclesiastico, ribadiscono i giudici di Cassazione, accogliendo il ricorso dell’uomo e riaffidando la questione nuovamente alla Corte d’Appello.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 gennaio – 1° marzo 2012, numero 3227 Presidente Vitrone – Relatore Ceccherini Svolgimento del processo Con citazione notificato il 12 marzo 2010 il Sig. P.P. conveniva la signora L.A. dinanzi alla Corte d’appello di Palermo per ottenere la dichiarazione di efficacia nello Stato italiano della sentenza ecclesiastica 28 novembre 2008, resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario celebrato il 22 giugno 1993 e trascritto nei registri dello stato civile del Comune di Palermo. Costituitasi ritualmente, la signora A. chiedeva il ridetto della domanda. Con sentenza 29 novembre 2010 la Corte d’appello di Palermo, ritenuto che la declaratoria di nullità era stata pronunziata, tra altro, per esclusione della prole da parte di entrambi o almeno da parte dell’attore, e che tale causa di nullità non era conosciuta, né conoscibile dalla A., rigettava la domanda, ravvisandone il contrasto con l’ordine pubblico italiano in tema di simulazione unilaterale, ignota all’altro coniuge. Avverso la sentenza, non notificata, il P. proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi e notificato il 27 gennaio 2011. Deduceva 1. - la violazione dell’articolo 8, secondo comma, legge 25 marzo 1985 numero 121 in relazione all’articolo 64, G legge 31 maggio 1995 numero 218, giacché la corte territoriale non aveva tenuto conto delle deposizioni raccolte nel processo ecclesiastico, che attestavano la conoscenza dei vizio di nullità del vincolo da parte della moglie nonché dell’esclusione della procreazione e della sacralità dei matrimonio da lui manifestata 2. - l’omessa pronunzia sull’assenza dei bona sacramentali, per la presenza di una simulazione comune ad entrambi i coniugi, emergente dalla sentenza dei tribunale ecclesiastico 3. - la carenza di motivazione nella ritenuta sussistenza di una simulazione solo unilaterale, smentita dalle dichiarazioni dei testi escussi nel giudizio ecclesiastico. Resisteva con controricorso la signora A Entrambe le parti depositavano memoria illustrativa, ex articolo 378 cod. proc. civile. All’udienza del 13 gennaio 2012 il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate. Motivi della decisione Con il primo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per affinità di contenuto, il ricorrente deduce la violazione di legge e la carenza di motivazione nella ritenuta sussistenza di una simulazione solo unilaterale. I motivi sono fondati. Al riguardo, si osserva che l’affermazione della corte territoriale, secondo cui la causa di nullità in questione non fosse conosciuta, né conoscibile dalla signora A. non è sorretta da una motivazione adeguata che dia conto delle ragioni di difformità dall’opposta conclusione cui era pervenuto il giudice ecclesiastico. Nel corretto adempimento del principio di autosufficienza il ricorrente ha riportato testualmente la proposizione della sentenza del Tribunale ecclesiastico regionale siculo di Palermo secondo cui “gli elementi acquisiti mediante l’istruttoria evidenziano, infatti, che entrambe le parti . esclusero la generazione della prole a tempo indeterminato”. È vero che il giudice civile può dissentire dalla valutazione dei fatti espressa dal tribunale ecclesiastico ma ciò può fare dando conto delle ragioni dei diverso convincimento da conseguire pur sempre sulla scorta degli elementi istruttori posti in evidenza nella sentenza oggetto dei riconoscimento statale. Ciò non ha fatto, per contro, la Corte d’appello di Palermo, incorrendo quindi in un palese vizio motivo nonostante avesse testualmente riportato nella narratio dello svolgimento processuale che la declaratoria di nullità era stata pronunziata, tra altro, “per esclusione della prole da parte di entrambi o almeno da parte dell’’attore”. Anche il secondo motivo, coni cui si censura l’omessa pronunzia sull’assenza dei bona sacramentali rilevata dal giudice ecclesiastico, è fondato. Si legge, nella sentenza impugnata, che la declaratoria di nullità dei matrimonio era stata pronunziata “tra l’altro” per “esclusione della prole da parte di entrambi o almeno da parte dell’attore”. Questo lascia presumere che vi fossero altre rationes decidendi potenzialmente in grado di sorreggere, in via autonoma, la decisione ecclesiastica non prese affatto in considerazione, per contro, e neppure riportate dalla corte territoriale ai fini della valutazione di conformità all’ordine pubblico nazionale. II ricorso deve essere quindi ac colto, con la conseguente cassazione della sentenza ed il rinvio alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese processuali. P.Q.M. - Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità - Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell’articolo 52 d. lgs. 30 Giugno 2003, numero 196 Codice in materia di protezione dei dati personali .