Lo svolgimento di altra attività lavorativa a favore di terzi durante il periodo di malattia, pur non essendo vietato in linea di principio, può costituire giusta causa di licenziamento qualora integri violazione del principio di correttezza e di buona fede e degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.
Ciò può avvenire quando lo svolgimento di altra attività lavorativa sia indice di inesistenza della malattia e quindi di fraudolenta simulazione o quando ritardi la guarigione ed il rientro in servizio del lavoratore. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, sezione Lavoro con la sentenza numero 21253, pubblicata il 29 novembre 2012. Licenziamento per giusta causa di lavoratore assente per malattia, sorpreso a svolgere altra attività lavorativa presso un soggetto terzo. La direzione di una catena di distribuzione intimava ad un proprio dipendente il licenziamento per giusta causa, in quanto sorpreso a svolgere attività lavorativa, consistente nel servizio della clientela in un locale pubblico, mentre risultava assente per malattia ed apparentemente in buona salute. Il licenziamento era impugnato dal lavoratore, il quale chiedeva inoltre il riconoscimento di somme a titolo di lavoro straordinario e notturno effettuato. Il Tribunale del lavoro dichiarava illegittimo il licenziamento, ma respingeva la domanda di pagamento somme. Proposto appello, la Corte territoriale riformava la sentenza di primo grado, ritenendo legittimo il provvedimento espulsivo ma condannando il datore di lavoro al pagamento delle somme richieste a titolo di straordinario e lavoro notturno. Ricorrevano in Cassazione sia il lavoratore che l’azienda. Il lavoro presso altri soggetti durante la malattia non è di per sé vietato Un primo motivo di censura verte sulla legittimità del licenziamento fondato sullo svolgimento di attività lavorativa durante l’assenza per motivi di salute. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe ritenuto vietato tale comportamento, con ciò disattendendo giurisprudenza sul punto dettati dalla Corte di Cassazione. Affermano i giudici di legittimità che lo svolgimento di attività lavorativa durante l’assenza per malattia non è vietata in senso assoluto tale principio è stato più volte affermato, dando luogo ad un orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità. ma non deve costituire violazione dei principi di correttezza, fedeltà e diligenza. Ma il comportamento censurato al lavoratore può giustificare il recesso dal rapporto qualora integri una violazione dei principi generali di buona fede e correttezza e di quelli contrattuali di diligenza e fedeltà. Lo svolgimento di altra attività lavorativa in costanza di assenza per malattia può essere indice di totale insussistenza dell’infermità denunciata dando così luogo ad una fraudolenta simulazione ai danni del datore di lavoro. Oppure può ritardare o pregiudicare del tutto la guarigione del lavoratore, ritardando così il suo rientro in servizio, con violazione di un’obbligazione preparatoria e strumentale rispetto alla corretta esecuzione del contratto. La valutazione del rapporto causale tra attività ulteriore svolta, natura della malattia denunciata e rientro effettivo in servizio, al fine di accertare se vi sia violazione dei criteri di correttezza e buona fede e quindi giusta causa di licenziamento, spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove correttamente motivata. E nel caso specifico, la Corte d’Appello ha correttamente motivato la propria valutazione sulla ritenuta fondatezza del recesso. Applicando correttamente i principi giurisprudenziali sopra illustrati, senza ritenere la sussistenza di un divieto assoluto al lavoro durante il congedo per malattia, come denunciato dal ricorrente. Escluso dal limite di orario anche il personale direttivo “minore”. La censura mossa dal datore di lavoro riguarda il riconoscimento al lavoratore del compenso per lavoro straordinario e notturno. Afferma la Corte di legittimità che sono esclusi, salvo diverse norme della contrattazione collettiva, dalla limitazione dell’orario di lavoro non soltanto il personale direttivo, ma anche quello direttivo cosiddetto “minore”, cioè impiegati di prima categoria con funzioni direttive, capi servizi, capi ufficio e capi reparto. Nel caso specifico il lavoratore era inquadrato e svolgeva mansioni di capo reparto. Qualifica che per le normative vigenti all’epoca dei fatti, anche contrattuali, lo escludeva dalla limitazione dell’orario di lavoro. La Corte d’Appello ha errato dunque riconoscendo il diritto a percepire somme a titolo di lavoro straordinario prestato, dovendosi in realtà dovuto unicamente il compenso per il lavoro notturno. All’esito del giudizio, la Corte di Cassazione ha così respinto il ricorso principale, ritenendo legittimo il licenziamento disciplinare accolto parzialmente il ricorso incidentale, riconoscendo unicamente al lavoratore il diritto al compenso per lavoro notturno.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 ottobre – 29 novembre 2012, numero 21253 Presidente Roselli – Relatore Filabozzi Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Pescara, E. D.S. ha chiesto che venisse dichiarata l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli dalla Società Italiana Distribuzione Moderna spa già La Rinascente spa ,per avere svolto attività lavorativa consistente nel servizio della clientela preso un locale pubblico mentre si trovava in congedo per ragioni di salute, ed ha chiesto altresì la condanna della società convenuta al pagamento di somme dovute a titolo di lavoro straordinario e notturno. li Tribunale ha accolto la domanda relativa all'accertamento della illegittimità del licenziamento e ha respinto quella riguardante la pretesa del compenso per lavoro straordinario, con sentenza che è stata riformata dalla Corte d'appello d 'Aquila, che ha ritenuto invece la legittimità del licenziamento, rigettando sul punto la domanda del lavoratore, ed ha accolto la domanda relativa al compenso per lavoro straordinario e notturno, condannando la società al pagamento, per questi titoli, della complessiva somma di € 40.984,85 di cui € 37.928,55 a titolo di lavoro straordinario diurno e € 3.056,30 a titolo di lavoro notturno , oltre rivalutazione e interessi. A tali conclusioni la Corte territoriale è pervenuta osservando che il lavoratore era stato sorpreso a svolgere attività di servizio della clientela in un locale pubblico in occasione di due assenze dal lavoro motivate da uno stato di malattia lombosciatalgia e che, in tali occasioni, era apparso in condizioni fisiche normali, sì da legittimare l'insorgenza di fondati dubbi circa la sussistenza della malattia e giustificare così il recesso del datore di lavoro. Quanto al compenso per lavoro straordinari, diurno e notturno, la Corte di merito ha osservato che dalle risultanze istruttorie era emerso che il D.S. aveva svolto settimanalmente numerose ore di lavoro straordinario e, in alcune occasioni, anche un certo numero di ore di lavoro notturno, che dovevano essere compensale con le maggiorazioni previste dalla contrattazione collettiva. a nulla rilevando che il D.S., per la sua funzione di capo reparto, godesse di una certa autonomia operativa riguardo al reparto affidatogli. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione E. D.S., affidandosi a due motivi di ricorso cui resiste con controricorso la SIDM spa, che ha proposto anche ricorso incidentale fondato su due motivi. Il ricorrente ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione Preliminarmente, deve essere disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ex articolo 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza. 1.- Con il primo motivo si denuncia violazione degli articolo 2119 c.c. e 31 l. numero 604/66 “in relazione a consolidati principi giurisprudenziali in materia di svolgimento di altra attività durante l'assenza per malattia”, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che sarebbe assolutamente vietato al lavoratore assente per malattia lo svolgimento di una qualsiasi altra attività lavorativa, a prescindere da ogni valutazione circa la compatibilità tra tale attività lavorativa e la malattia medesima. 2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'articolo 7 l. numero 300/70 in relazione al principio di immutabilità della contestazione disciplinare, nonché vizio di motivazione, chiedendo a questa Corte di stabilire se la sentenza impugnata abbia violato tale principio laddove ha ritenuto giustificato il licenziamento sotto il profilo, che non formava oggetto di specifica contestazione, del presunto svolgimento di una attività lavorativa idonea a compromettere la guarigione. 3.- Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione degli articolo 414, 164, 244 c.p.c., 2697, 2108. 2099, 1241 c.c 36 Cost., nonché vizio di motivazione, in ordine all'omesso rilievo, da parte della Corte di merito, delle carenze dell'atto introduttivo e dell'inammissibilità dei capitoli di prova articolati dal ricorrente, oltre che per aver disatteso l'eccezione di compensazione formulata in via subordinata dalla società, sostenendo che, sulla base di tali carenze, il giudice d'appello .avrebbe dovuto ritenere il ricorso nullo ovvero rigettarlo nel merito, o comunque, in accoglimento della suddetta eccezione, contenere la condanna entro una diversa e più ridotta misura. 4.- Con il secondo motivo si denuncia violazione degli articolo 2108 c.c 3 RDL numero 1955/1923, 1 RDL numero 692/1923, nonché vizio di motivazione, sostenendo che, in base alle normativa sopra richiamata, non doveva essere riconosciuto al ricorrente, che svolgeva funzioni di capo reparto e non era, quindi, tenuto ad osservare l'orario normale di lavoro, alcun compenso per lavoro straordinario. 5.- I motivi del ricorso principale, che, per riguardare problematiche strettamente connesse tra loro, possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. 6.- In tema di svolgimento di attività lavorativa durante l'assenza per malattia la giurisprudenza è pervenuta a risultati sostanzialmente conformi. In linea di principio, si è affermato che non sussiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di prestare attività lavorativa, anche a favore di terzi, durante il periodo di assenza per malattia. Siffatto comportamento può, tuttavia, costituire giustificato motivo di recesso da parte del datore di lavoro ove esso integri una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà. Ciò può avvenire quando lo svolgimento di altra attività lavorativa da pane del dipendente assente per malattia sia di per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza dell'infermità addotta a giustificazione dell'assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, o quando l'attività stessa, valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della infermità denunciata ed alle mansioni svolte nel l'ambito del rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore, con violazione di un'obbligazione preparatoria e strumentale rispetto alla corretta occasione del contratto cfr. ex plurimis Cass. numero 9474/2009, Cass. numero 1404612005 . 7. Ad ulteriore specificazione di questo principio, questa Corte Cass. numero 14046/2005 cit. ha precisato che “la valutazione del giudice di merito, in ordine all'incidenza del lavoro sulla guarigione, ha per oggetto il comportamento del dipendente nel momento in cui egli, pur essendo malato e per tale causa assente dal lavoro cui è contrattualmente obbligato, svolge per conto di terzi un'attività che può recare pregiudizio al futuro tempestivo svolgimento di tale lavoro in tal modo, la predetta valutazione è costituita da un giudizio ex ante , ed ha per oggetto la potenzialità del pregiudizio”, con l’ulteriore conseguenza che “ai fini di questa potenzialità, la tempestiva ripresa del lavoro resta irrilevante”. Ed ha ribadito che lo svolgimento da parte del dipendente assente per malattia, di altra attività lavorativa che, valutata in relazione alla natura della infermità e delle mansioni svolte, può pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio, costituisce violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede, che giustifica il recesso del datore di lavoro nello tesso senso, Cass. numero 17128/2002 . 8. Non si discostata da tali principi la Corte territoriale con l'affermazione che, nella fattispecie, le modalità dello svolgimento dell'attività svolta dal dipendente quale addetto al servizio ai tavoli e alla riscossione alla cassa presso un locale pubblico, in orario notturno durante l'assenza per malattia erano di per sé sufficienti a far dubitare della stessa esistenza della malattia o quanto meno di una sua gravità tale da impedire l'espletamento di una attività lavorativa ed erano comunque indice di una scarsa attenzione del lavoratore alle esigenze di cura della propria salute ed ai connessi doveri di non ostacolare o ritardare la guarigione, considerato anche l'impegno fisico richiesto dall’espletamento di tale attività. 9. Tale affermazione risulta in tutto conforme ai principi enunciati in materia da questa Corte e non presuppone affatto l'esistenza di un divieto assoluto, per il lavoratore, di svolgere una qualsiasi altra attività lavorativa durante l'assenza per malattia, prescindendo da ogni valutazione circa la compatibilità tra detta attività e la malattia né può ritenersi che la Corte di merito, così argomentando, abbia preso in considerazione fatti diversi da quelli che formavano oggetto della contestazione disciplinare, che la contestazione riguardava appunto il fatto di essere stato sorpreso, in più occasioni, a lavorare con mansioni di servizio ai tavoli durante l’assenza per malattia. 10.- Non sussistono, inoltre, i vizi motivazionali denunciali nella seconda parte del secondo motivo, in quanto in decisione impugnata si fonda, in primo luogo, sul rilievo della inidoneità dello stato di malattia ad impedire l'espletamento dell'attività lavorativa e la fondatezza di tale rilievo non può certo ritenersi inficiata per effetto delle indicazioni contenute nella documentazione medica richiamata nel ricorso, che attesta sì l’esistenza di una lombosciatalgia esistenza che non viene, peraltro, disconosciuta dal giudice del merito , ma non ha diretta attinenza alla specifica situazione di impedimento dell'attività lavorativa che si sarebbe verificata a carico del D.S. nei periodi di tempo in contestazione. 11.- Le ulteriori osservazioni svolte nell'ultima pane del ricorso si riferiscono al profilo relativo alla idoneità o meno del comportamento del lavoratore ad incidere sulla guarigione della malattia e non hanno comunque rilievo decisivo ai fini della prova della effettiva esistenza di uno stato della malattia impeditivo della prestazione lavorativa. 12.- Il ricorso principale non può pertanto trovare accoglimento. 13.- Il primo motivo del ricorso incidentale è in parte infondato e, per la restante parte, assorbito, come si dirà, dall'accoglimento del secondo motivo. 14.- Deve escludersi anzitutto la sussistenza della dedotta violazione degli articolo 414 e 164 c.p.c., posto che, come è stato più volte affermato da questa Corte cfr. ex plurimis Cass. numero 3126/2011, Cass. numero 820/2007, Cass. numero 17076/2004 , nel rito del lavoro la valutazione di nullità del ricorso introduttivo per mancanza di determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto sulle quali questa si fonda è ravvisabile solo quando, attraverso l'esame complessivo dell'atto, sia impossibile l'individuazione esatta della pretesa dell'attore e il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa ipotesi, questa, che non si riscontra nel caso in esame, posto che, nella specie, le indicazioni contenute nel ricorso introduttivo in ordine ai fatti posti a fondamento della domanda hanno consentito alla convenuta di apprestare adeguatamente le proprie difese e al giudice di impostare e svolgere l'attività istruttoria indispensabile ai fini della decisione. Le censure formulate dalla società, d'altra pane, si incentrano in gran parte sullo genericità e sulla inattendibilità degli elementi di fatto indicati nel ricorso o sostegno delle pretese fatte valere, oltre ché sulla omessa indicazione di altri elementi che si assumono idonei a modificare o a ridurre tali pretese, ed attengono quindi alla fondatezza della domanda più che alla insufficienza della esposizione degli elementi di fatto su cui questa si fonda, sicché deve ritenersi che, sotto questo profilo, la valutazione della Corte di merito risulti del tutto immune dalle censure che le sono state mosse al riguardo dalla contro ricorrente. 15.- Anche la censura relativa alla valutazione della idoneità della specificazione dei fatti dedotti nei capitoli di prova, ex articolo 244 c.p.c., non può trovare accoglimento, in quanto la parte avrebbe dovuto riportare, in ossequio al principio di autosufficienza, lo specifico contenuto dei capitoli di prova, onde rendere edotta la Corte del modo in cui la prova era stata formulata con il ricorso introduttivo. 16.- Il secondo motivo del ricorso incidentale deve ritenersi fondato. Questa Corte ha ripetutamente affermato che ai fini dell'esclusione della limitazione dell'orario di lavoro, con conseguente negazione del diritto a compenso per lavoro straordinario, il cancello di “personale direttivo” di cui all’articolo 1 RDL numero 692/1923 è comprensivo - come chiarito dall'articolo 3, numero 2, del RD numero 1955 del 1923 regolamento per l'applicazione del citato RDL numero 692/1923 - non soltanto di tutti i dirigenti ed institori che rivestono qualità rappresentative e vicarie, bensì anche, in difetto di una pattuizione contrattuale in deroga, del personale dirigente c.d. minore, ossia gli impiegati di prima categoria con funzioni direttive, i capi di singoli servizi o sezioni d'azienda, i capi ufficio e i capi reparto cfr ex plurimis Cass. numero 12367/2003 , precisando che il personale direttivo, escluso dalla disciplina legale delle limitazione dell'orario di lavoro, ha diritto al compenso per lavoro straordinario se la disciplina collettiva delimiti anche per il medesimo l'orario normale, e tale orano venga in concreto superato, oppure se la durata della prestazione lavorativa ecceda il limite di ragionevolezza in rapporto alla necessaria tutela della salute e della integrità fisiopsichica garantito dalla Costituzione a tutti i lavoratori cfr. ex plurimis Cass. numero 16050/2004, Cass. numero 13882/2004, Cass. numero 7201/2004, Cass. numero 12301/2003,Cass. numero 11929/2003, Cass. numero 7577/2003 . 17.- Nella specie, è pacifico che il D.S. abbia prestato la propria attività lavorativa con la qualifica e le mansioni di capo reparto, qualifica che lo escludeva dalla disciplina legale delle limitazioni dell'orario di lavoro, applicabile, all'epoca, al rapporto di lavoro. Anche la disciplina collettiva articolo 39 C.C.N.L. escludeva il diritto di direttori tecnici, capi ufficio e capi reparto ad un compenso per lavoro straordinario. 18.- La Corte d’appello ha ritenuto di riconoscere il diritto dell'appellante al compenso per lavoro straordinario superando cosi, implicitamente, l'impedimento che derivava al riconoscimento di tale diritto dalle previsioni della disciplina legale e della normativa collettiva – in base ala considerazione che la stessa società aveva riconosciuto al dipendente, facendone menzione nelle buste paga, un compenso per lavoro straordinario, seppure “forfetizzato”. 19-. L'argomentazione non merita condivisione in quanto l'attribuzione di un compenso per lavoro straordinario “forfetizzato”, in presenza di una normativa legale e contrattuale che esclude determinate categorie di lavoratori dall’applicazione della disciplina in tema di limitazioni dell’orario di lavoro, dell’esistenza di una limitazione dell’orario normale, né del diritto ad un compenso per il lavoro prestato oltre tale limite, ma, se mai, solo quello di un trattamento più favorevole determinato e corrisposto dal datore di lavoro al dipendente, al quale non si applica la disciplina delle limitazioni dell'orario di lavoro, proprio in conseguenza degli svantaggi eventualmente derivanti al lavoratore dalla suddetta esclusione. 20.- In definitiva, alla stregua della disciplina legale e contrattuale delle limitazioni dell’orario di lavoro applicabili al rapporto - e non essendo in questione nella presente controversia, per come emerge dalle rispettive deduzioni scolte negli scritti difensivi delle parti, il limite della “ragionevolezza” – deve escludersi il diritto del ricorrente al compenso per lavoro straordinario. 21.- Il secondo motivo del ricorso incidentale deve essere pertanto accolto e la sentenza deve essere cassata relativamente alla statuizione con cui la società è stata condannata al pagamento del compenso per lavoro straordinario diurno ferma restando la statuizione di condanna della medesima società al pagamento della somma di € 3.056,30 a titolo di compenso per lavoro notturno , con l’assorbimento di ogni altra censura scolta sul punto dalla controricorrente. 22.- Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito ai sensi dell’articolo 384, secondo comma. c.p.c., con il rigetto della domanda di condanna al pagamento del compenso per lavoro straordinario diurno . 23.- Avuto riguardo alla peculiarità della materia che ha dato luogo a diverse e contrastanti soluzioni nel corso del giudizio di merito, si ritiene che sussistano giusti motivi per compensare interamente fra le parti anche le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il principale, accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara non dovuta al D.S. la somma liquidata dalla Corte d'appello a titolo di compenso per lavoro straordinario diurno compensa le spese del giudizio di legittimità.