Interviene in difesa di un cittadino e rifiuta di concedere le sue generalità alla polizia: ne nasce un’accesa discussione

L’estraneità del soggetto all’accertamento in corso di svolgimento, nel caso specifico la rimozione di una vettura da un parcheggio riservato, impone una verifica della legittimità dei presupposti della richiesta di generalità formulata nei suoi confronti dagli agenti di Polizia. Non può configurarsi il reato di cui all’articolo 651 c.p

Con sentenza numero 20451/16, depositata il 17 maggio, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso. Il caso. Il Tribunale di Ravenna assolveva l’imputata dal reato di cui all’articolo 651 c.p., circa il rifiuto di dare indicazioni sulla propria identità personale. In particolare, si contestava all’imputata di essersi rifiutata di esibire un documento d’identità e di dare indicazioni sulle sue generalità, non aderendo alle richieste rivoltale dal personale della Polizia municipale di Ravenna che era intervenuta per far rimuovere dal carro-attrezzi un’autovettura, che risultava parcheggiata in un’area riservata. In quell’occasione l’accusata non era interessata personalmente alla rimozione dl veicolo, ma interveniva in difesa del proprietario del mezzo, dando origine ad un’accesa discussione con gli agenti. L’imputata veniva però assolta dal reato che le veniva ascritto. Avverso tale sentenza, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge, atteso che l’accusata si era rifiutata di assecondare la richiesta rivoltale dalla Polizia municipale e questa sua condotta, a prescindere dal successivo atteggiamento collaborativa dell’imputata, era idonea a configurare il reato di cui all’articolo 651 c.p., che si perfezionava con il mero rifiuto di fornire le proprie generalità. Nessuna motivazione a sostegno del rilascio delle generalità dell’accusata. Per la Suprema Corte il ricorso è inammissibile. L’istruttoria espletata ha infatti appurato che l’imputata si rifiutava di rendere le proprie generalità alla Polizia, ma le forniva dopo l’intervento dei Carabinieri che giungevano sul posto, su segnalazione degli agenti operanti. La ricorrente non riteneva legittima la richiesta che le era stata avanzata dagli agenti operanti, in conseguenza del fatto che la vicenda contravvenzionale non la riguardava personalmente e che riteneva un suo diritto intervenire in difesa di un cittadino multato. La necessità di contestualizzare l’accertamento eseguito implica una verifica fattuale riservata al giudice di merito, dalla quale non si può prescindere ai fini della valutazione degli elementi costitutivi del reato di cui all’articolo 651 c.p Ne discende che il comportamento dell’imputata doveva essere valutato alla luce delle circostanze di tempo e di luogo in cui veniva effettuato il controllo stradale nei confronti del soggetto in difesa del quale la ricorrente interveniva. L’estraneità della ricorrente all’accertamento in corso di svolgimento imponeva una verifica della legittimità dei presupposti della richiesta di generalità formulata nei suoi confronti dagli agenti, né la parte ricorrente adduceva elementi idonei a consentire di ritenere illegittimo il comportamento della donna, essendosi limitato a censurarne in modo assertivo la condotta. Per queste ragioni il ricorso è inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 marzo 2015 – 17 maggio 2016, numero 20451 Presidente Siotto – Relatore Centonze Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 18/02/2015 il Tribunale di Ravenna assolveva G.M. dal reato di cui all’articolo 651 cod. penumero , che si assumeva commesso a , in località omissis , il omissis . Si contestava, in particolare, all’imputata di essersi rifiutata di esibire un documento di identità e di dare indicazioni sulle sue generalità, non aderendo alla richiesta rivoltale da personale della Polizia municipale di Ravenna che era intervenuta per fare rimuovere dal carro-attrezzi un’autovettura, che risultava parcheggiata in un’area riservata. In quella occasione, la G. non era interessata personalmente alla rimozione del veicolo, ma interveniva in difesa del proprietario del mezzo, dando origine a un’animata discussione con gli agenti operanti. Tale richiesta, nel contesto dello stesso accertamento, veniva quindi assecondata dalla G. alla presenza dei Carabinieri che, nel frattempo, erano giunti sul posto su richiesta degli agenti operanti. Per queste ragioni processuali, l’imputata veniva assolta dal reato che le veniva ascritto. 4. Avverso tale sentenza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge, atteso che la G. si era rifiutata di assecondare la richiesta rivoltale dalla Polizia municipale di Ravenna e questa sua condotta - a prescindere dal successivo atteggiamento collaborativo dell’imputata - era idonea a configurare il reato di cui all’articolo 651 cod. penumero , che si perfezionava con il semplice rifiuto di fornire le proprie generalità. Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. Deve, in proposito, rilevarsi che l’istruttoria espletata ha consentito di accertare che la G. non si rifiutava di rendere le proprie generalità al personale della Polizia municipale di Ravenna che stava procedendo, ma le forniva dopo l’intervento dei Carabinieri che giungevano sul posto su segnalazione degli agenti operanti. Nell’occasione, la G. interveniva in difesa di un cittadino nei cui confronti stava per essere elevata una contravvenzione per il parcheggio della sua autovettura - che era stata posteggiata in un’area riservata - e, dopo avere preso le difese del proprietario del veicolo multato, gli agenti operanti le chiedevano le generalità, ai sensi degli articolo 4 e 294 del R.D. 18 giugno 1931, numero 773. Questa richiesta non sortiva effetto immediato, atteso che l’imputata non riteneva legittima la richiesta che le era stata avanzata dagli agenti operanti, in conseguenza del fatto che la vicenda contravvenzionale non la riguardava personalmente e che riteneva un suo diritto intervenire in difesa del cittadino multato. Ne nasceva una discussione che cessava al sopraggiungere dei Carabinieri, davanti ai quali la G. , come richiestole, forniva le sue generalità, nei termini correttamente esplicitati a pagina 2 del provvedimento impugnato, in cui si richiamavano le dichiarazioni dei testi S. e A. , che confermavano la sequenza della vicenda in esame. In questa cornice, deve osservarsi che il pubblico ufficiale può intervenire in qualsiasi momento per esercitare legittimamente le sue funzioni, ma ciò non esime il giudice dal valutare le modalità con cui vengano esercitate. La necessita di contestualizzare l’accertamento eseguito implica una verifica fattuale riservata al giudice di merito, dalla quale non si può prescindere ai fini della valutazione degli elementi costitutivi del reato di cui all’articolo 651 cod. penumero , proprio in conseguenza della natura dei poteri riconosciuti ai pubblici ufficiali, anche ai fini di un’eventuale esercizio indebito di tali potestà cfr. Sez. 6 numero 26178 del 17/03/2009, Cavalli, Rv. 244523 . Ne discende che il comportamento della G. doveva essere valutato alla luce delle circostanze di tempo e di luogo in cui veniva effettuato il controllo stradale nei confronti del soggetto in difesa del quale la ricorrente interveniva, nel convincimento della legittimità della sua azione e dell’estraneità alla vicenda amministrativa presupposta, che consentivano di affermare la sua condizione di buona fede, certamente rilevante nel caso di specie, anche alla luce dei principi affermati, in materia di reati contravvenzionali, dalla sentenza della Corte costituzionale 23 marzo 1988, numero 364 cfr. Sez. 6, numero 30778 del 17/05/2012, Sancin, Rv. 253366 . In questi termini, l’adesione della G. alle richieste avanzate nei suoi confronti, tenuto conto della vicenda contravvenzionale presupposta e delle ulteriori circostanze richiamate nella sentenza impugnata, non consentiva di ritenere dimostrata la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di reato di cui all’articolo 651 cod. penumero , in assenza della prova dell’illegittimità della condotta della ricorrente. Nel caso di specie, l’estraneità della ricorrente all’accertamento in corso di svolgimento imponeva una verifica della legittimità dei presupposti della richiesta di generalità formulata nei suoi confronti dagli agenti operanti e della contestuale illegittimità della condotta dell’imputata verifica che il Tribunale di Ravenna eseguiva con un percorso argomentativo ineccepibile, escludendo che l’atteggiamento della G. fosse illegittimo, consentendo l’applicazione dell’ipotesi di reato di cui all’articolo 651 cod. penumero . Né la parte ricorrente, a fronte di tale compendio probatorio, adduceva elementi idonei a consentire di ritenere illegittimo il comportamento della G. , essendosi limitato a censurarne in modo assertivo la condotta, senza evidenziare alcun profilo di criticità dell’accertamento processuale compiuto dal Tribunale di Ravenna ai fini dell’assoluzione censurata. 2. Per queste ragioni, il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Ravenna deve essere dichiarato inammissibile. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.