La responsabilità del committente sussiste quando l'illecito è stato compiuto dall’agente sfruttando i compiti attribuiti dal committente, anche agendo oltre i limiti delle sue incombenze, e violando gli obblighi da quest’ultimo imposti.
E’ quanto affermato dalla Cassazione con la sentenza numero 7124/16, depositata il 23 febbraio. Il caso. Una società di leasing adisce la Corte di Cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo, che la condannava come responsabile civile per i danni, cagionati alle parti civili, dalla consumazione, da parte di un agente finanziario, del reato di falso in scrittura privata. Motivo del ricorso è l’erronea identificazione della società di leasing come responsabile civile, ex articolo 2049 c.c., per i danni cagionati dall’agente attraverso la falsificazione di firme dei soci di una società terza in calce alle fideiussioni prestate a garanzia del contratto di locazione finanziaria stipulata dalla società ricorrente. La società di leasing evidenzia nel ricorso che l’agente finanziario era soggetto ad un mero contratto di mandato d’agenzia, senza rappresentanza del mandante, quindi operava come semplice procacciatore d’affari. Depenalizzazione del reato di falsità in scrittura privata. Preliminarmente all’esame del motivo del ricorso, la Cassazione rileva che l’articolo 485 c.p., falsità in scrittura privata, è stato abrogato dall’articolo 1 d.lgs. 15 gennaio 2016 numero 7, che lo ha trasformato in un mero illecito civile. Allo stesso tempo la Corte evidenzia che l’eventuale revoca della sentenza di condanna per abolitio criminis, ex articolo 2, comma 2, c.p., per la perdita del carattere di illecito penale del fatto, non comporta il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto. Conseguentemente, la sentenza non deve essere revocata relativamente alle statuizioni civili derivanti dal reato, poiché continuano a costituire fonte di obbligazioni efficaci nei confronti delle parti danneggiate. La Corte, così facendo, riafferma il principio giurisprudenziale secondo cui, se il fatto costituisce illecito civile nel momento della commissione «su di esso non influiscono le successive vicende riguardanti la punibilità del reato ovvero la rilevanza penale di quel fatto e cioè quello della “indifferenza” dei capi civili della sentenza rispetto alla sorte della regiudicanda penale». Responsabilità solidale del committente. Per quanto riguarda il motivo del ricorso, la Corte afferma che per configurare la responsabilità solidale del committente, ex articolo 2049 c.c., è sufficiente che esista un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dall’agente. La responsabilità, quindi, sussiste quando l'illecito è stato compiuto dall’agente cha ha agito oltre i limiti delle sue incombenze, anche violando gli obblighi contrattuali imposti, sfruttando i compiti attribuiti dal committente. La Corte ritiene che sia ormai ius receptum, che quella del committente sia una responsabilità di natura oggettiva, finalizzata ad attribuire l'onere dei rischio a colui che utilizza l’opera di soggetti terzi. Seguendo questo indirizzo, continuano gli Ermellini, la giurisprudenza civile ha riconosciuto la responsabilità del committente per l'attività illecita posta in essere dall'agente anche privo del potere di rappresentanza. Infatti, si richiede solo che la commissione dell'illecito sia stato agevolato o reso possibile dai compiti assegnati dal committente stesso e che quest’ultimo abbia avuto la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza. Nel caso concreto, il contratto di agenzia non è estraneo all'ambito di applicazione dell'articolo 2049 c.c., nemmeno nell'ipotesi in cui il suo contenuto sia quello del mandato senza rappresentanza, quindi non è possibile escludere la responsabilità civile anche della società di leasing. Per questi motivi la Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 – 23 febbraio 2016, numero 7124 Presidente Lapalorcia – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Palermo, per quanto qui d'interesse, ha confermato la condanna di Mercantile Leasing s.p.a. quale responsabile civile al risarcimento nonché al pagamento della statuita provvisionale in solido con l'imputata dei danni cagionati alle parti civili dalla consumazione da parte di P.G.M. del reato di falso in scrittura privata. 2. Avverso la sentenza ricorre il responsabile civile - ora incorporato nel Banco Popolare soc. coop. - che deduce errata applicazione della legge penale e vizi della motivazione in ordine alla ritenuta identificazione della Mercantile leasing s.p.a. quale responsabile civile per i danni cagionati dalla P. in concorso con l'amministratore della T.A.C. Sicilia s.r.l. attraverso la falsificazione delle firme dei soci della medesima in calce alle fideiussioni prestate a garanzia dei contratto di locazione finanziaria stipulato con la menzionata Mercantile Leasing. In tal senso la ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto integrata la fattispecie di cui all'articolo 2049 c.c. e comunque omesso di motivare ovvero motivato in maniera solo apparente sui rilievi svolti in proposito con il gravame di merito, rilevando come la P. era avvinta alla Mercantile Leasing da un mero contratto di mandato di agenzia senza rappresentanza dei mandante, operando la stessa sostanzialmente come mera procacciatrice d'affari per conto dell'ente conferente e, nel caso di specie, autenticando la firma del rappresentante legale della conduttrice nell'ambito della propria autonomia e libertà di gestione e non come preposta della ricorrente, alla quale in via esclusiva spettava ogni potere in merito alla conclusione del contratto, come emergerebbe dallo stesso. 3. Con memoria depositata il 18 gennaio 2016 il difensore delle parti civili ha depositato memoria a confutazione dei motivi di ricorso. Considerato in diritto 1. E' innanzi tutto necessario rilevare come ai sensi dell'articolo 1 d. Igs. 15 gennaio 2016 numero 7 entrato in vigore lo scorso 6 febbraio essendo stato pubblicato sulla Gazz. Uff. numero 17 del 22 gennaio 2016 è stato abrogato l'articolo 485 c.p. con conseguente trasformazione in mero illecito civile del fatto per cui la P. è stata condannata - oramai in via definitiva non avendo ella proposto ricorso - e che costituisce il presupposto delle statuizioni civili per cui è ricorso. 1.1 Va peraltro ribadito l'oramai consolidato insegnamento di questa Corte per cui la eventuale revoca della sentenza di condanna per abolitio criminis ai sensi dell'articolo 2, comma secondo, c.p. conseguente alla perdita del carattere di illecito penale del fatto, non comporta il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto, con la conseguenza che la sentenza non deve essere revocata relativamente alle statuizioni civili derivanti da reato, le quali continuano a costituire fonte di obbligazioni efficaci nei confronti della parte danneggiata Sez. 5, numero 4266/06 dei 20 dicembre 2005, Colacito, Rv. 233598 Sez. 5, numero 28701 del 24 maggio 2005, P.G. in proc. Romiti ed altri, Rv. 231866 Sez. 6, numero 2521 del 21 gennaio 1992, Dalla Bona, Rv. 190006 . In altri termini deve essere ribadito il principio per cui, quando un fatto costituisce illecito civile nel momento in cui è stato commesso, su di esso non influiscono le successive vicende riguardanti la punibilità del reato ovvero la rilevanza penale di quel fatto e cioè quello della indifferenza dei capi civili della sentenza rispetto alla sorte della regiudicanda penale Sez. 6, numero 31957 del 25/01/2013 - dep. 23/07/2013, Cordaro e altri, Rv. 255598 . 1.2 Ed infatti l'abrogazione della norma penale in presenza di una condanna irrevocabile comporta la revoca della sentenza da parte del giudice dell'esecuzione, ma limitatamente ai capi penali e non anche a quelli civili, la cui esecuzione ha comunque luogo secondo le norme del codice di procedura civile sicché se vi è stata costituzione di parte civile, con conseguente condanna al risarcimento dei danni a carico dell'imputato o del responsabile civile, questa statuizione resta ferma cfr., Corte cost., ord. numero numero 273 del 2002, in cui si sottolinea come la formula assolutoria adottata a seguito della sopravvenuta abrogazione della norma incriminatrice non è fra quelle alle quali l'articolo 652 c.p.p. attribuisce efficacia nel giudizio civile . Infatti, se l'articolo 2 c.p. disciplina espressamente la sola cessazione dell'esecuzione e degli effetti penali della condanna, ne deriva, attraverso un'argomentazione a contrario, che le obbligazioni civili derivanti dal reato abrogato non cessano, in quanto per il diritto del danneggiato al risarcimento dei danni trovano applicazione i principi generali sulla successione delle leggi stabiliti dall'articolo 11 preleggi, non quelli contenuti nel citato articolo 2 c.p. 2. Acclarata dunque l'attitudine delle statuizioni civili pronunziate nel giudizio di merito a sopravvivere all'intervenuta abrogazione della rilevanza penale del fatto il cui accertamento le hanno giustificate e precisato che nel caso di specie non si pone la questione dell'applicazione delle sanzioni pecuniarie civili configurate dallo stesso d. Igs. numero 7/2016 in quanto pacificamente le stesse sono destinate al solo autore dell'illecito , deve procedersi all'esame del ricorso, che peraltro è infondato. 2.1 Per conforme orientamento della giurisprudenza tanto civile quanto penale di questa Corte, ai fini della responsabilità solidale ex articolo 2049 c.c. del committente è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dal preposto, che ricorre quando l'illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti da questo svolti, anche se egli ha agito oltre i limiti delle sue, incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti ex multis e tra le più recenti Sez. 6, numero 17049 del 14 aprile 2011, M. e altri, Rv. 250498 Sez. 6 civ., numero 20924 del 15 ottobre 2015, Rv. 637475 . In tal senso da molti anni l'insegnamento di questa Corte è parimenti consolidato nel senso che non è necessario che sussista uno stabile rapporto di lavoro subordinato tra i due soggetti, essendo sufficiente che l'autore del fatto illecito sia legato al committente anche solo temporaneamente od occasionalmente e che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso ex muitis Sez. 5, numero 32461 del 22 marzo 2013, R.C. e Bogui, Rv. 257115 . 2.2 Con specifico riguardo al rapporto di agenzia - cui deve essere ricondotto quello intercorrente tra la Mercantile Leasing e la P. - secondo i più risalenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità l'attivita dell'agente o del procacciatore di affari non costituirebbe un vincolo con il committente idoneo ad integrare i presupposti per l'operatività dell'articolo 2049 c.c. Sez. 3 civ. numero 1963 del 24 marzo 1980, Rv. 405594 Sez. 3 civ. numero 5195 del 13 giugno 1987, Rv. 453801 ovvero che l'attività dell'agente, in quanto mandatario dei preponente, costituirebbe fonte di responsabilità indiretta del mandante solo quando l'agente si sia avvalso della sua qualità di rappresentante per consumare l'illecito Sez. 3 civ. numero 12945 del 19 dicembre 1995, Rv. 495135 . 2.3 Tali indirizzi - cui in definitiva si ispirano le doglianze della ricorrente - erano invero ancora profondamente influenzati da una interpretazione restrittiva del disposto dell'articolo 2049 c.c., che negli ultimi quindici anni ha invece subito una decisa revisione nel senso dell'affrancamento del concetto di occasionalità necessaria dal contesto formale del rapporto intercorrente tra committente e preposto. Deve pertanto ritenersi oramai ius receptum che quella del committente è una responsabilità di natura oggettiva ispirata a regole di solidarietà sociale, tesa ad attribuire - secondo la teoria della distribuzione dei costi e dei profitti - l'onere dei rischio a colui che si giova dell'opera di terzi. Ed in quest'ottica la giurisprudenza civile, in tempi più recenti, è giunta a riconoscere la responsabilità del committente per l'attività illecita posta in essere dall'agente anche privo del potere di rappresentanza, richiedendosi in tal senso soltanto che la commissione dell'illecito sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze demandate a quest'ultimo e che il committente abbia avuto la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza Sez. 3 civ. numero 14578 del 22 giugno 2007, Rv. 598802 si v. anche Sez. 3 civ. numero 1516 del 24 gennaio 2007, Rv. 594385 ad oggetto fattispecie con forti analogie a quella oggetto del presente procedimento . 2.4 II contratto di agenzia non è dunque, di per sé, estraneo all'ambito di applicazione dell'articolo 2049 c.c., nemmeno nell'ipotesi in cui il suo contenuto sia quello del mandato senza rappresentanza. 2.5 Nel caso di specie i giudici di merito, in entrambi i gradi di giudizio, hanno esaurientemente argomentato in ordine alla sussistenza del presupposto dell'occasionalità necessaria, facendo corretta applicazione dei principi testè ricordati e rinvenendo precisi sintomi di un rapporto di preposizione rilevante ai sensi della disposizione da ultima citata di cui, in ultima sostanza, il ricorso si limita a proporre una assertiva lettura alternativa soggettivamente orientata. In realtà dagli stessi elementi evidenziati dalla ricorrente emergono i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per il riconoscimento della responsabilità indiretta dei committente. Infatti, l'attribuzione alla Mercantile Leasing dei potere esclusivo di conclusione del contratto di locazione finanziaria implica quello di vigilanza sul corretto adempimento da parte dell'agente dei compiti demandategli dalla committente, anche tenuto conto della peculiare natura dell'attività di intermediazione finanziaria svolta dalla ricorrente e della disciplina cui è sottoposta anche con riferimento ai rapporti con i collaboratori esterni. Ed in tal senso emerge come sostanzialmente la presunta autonomia dell'agente fosse in realtà assai limitata, operando egli nell'ambito delle direttive impartite dal committente in sintonia con quanto previsto dalla normativa di settore e senza il potere di intervenire sul contenuto dei rapporti con la clientela. Per contro, sebbene limitatamente ai canoni anticipati, all'agente - per come emerge dall'articolo 7 dei contratto di agenzia riportato nel ricorso - era stato attribuito un potere di riscossione che, al di là delle modalità di espletamento, qualifica il rapporto con il committente in termini assai più intensi di quelli prospettati dalla ricorrente e rileva il suo inserimento nel'organizzazione d'impresa della Mercantile Leasing. 3. II ricorso deve conseguentemente essere rigettato e il ricorrente condannato ai pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione delle spese di parte civile che si liquidano liquidate in complessivi euro 2.500 oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta i 1 ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione delle spese di parte civile che liquida in complessivi euro 2.500 oltre accessori di legge.