Si configura un’ipotesi di pericolo di inquinamento delle prove, se il rischio ha natura concreta ed attuale deve, pertanto, sussistere la possibilità reale che il procedimento finalizzato all’acquisizione della prova sia ostacolato ovvero la prova stessa venga inquinata.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 1095/16, depositata il 13 gennaio. Il caso. Il Tribunale di Reggio Calabria confermava la misura degli arresti domiciliari per un indagato per l’illecito di cui all’articolo 314 c.p. peculato ed altri reati. L’indagato ricorreva per cassazione, lamentando violazione di legge in merito alla sussistenza delle esigenza cautelari. Pericolo concreto ed attuale. La Suprema Corte ha chiarito che affinché si configuri un’ipotesi di pericolo di inquinamento delle prove, il pericolo deve avere natura concreta ed attuale deve, pertanto, sussistere il rischio che l’acquisizione della prova sia ostacolata ovvero la prova stessa sia inquinata. La prove ritenute a rischio, inoltre, devono essere ritenute necessarie per le indagini. Gli Ermellini hanno evidenziato che quanto sopra deve essere ampiamente motivato, non potendo essere desunto in termini logici. Il Collegio ha, infine, ribadito come il rischio di recidiva debba essere connesso alla «probabilità di commissione di nuovi reati con carattere di “concretezza” nonché di “attualità”». Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza impugnata, limitatamente alle esigenze cautelari.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 dicembre 2015 – 13 gennaio 2016, numero 1095 Presidente Rotundo – Relatore Di Stefano Ritenuto in fatto Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria con ordinanza del 20 luglio 2015 ha confermato la misura degli arresti domiciliari applicata a F.L. dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria il 24 giugno 2015 per fatti di peculato e altro. Secondo l'accusa, il F. , consigliere regionale presso la Regione Calabria, quale presidente del gruppo consiliare del P.D.L. si impossessava di fondi posti dalla Regione a disposizione di tale gruppo per la propria attività istituzionale. In particolare, si contestava, sulla scorta dell'attività di indagine svolta dalla Guardia di Finanza - in concorso con il figlio F.D. , titolare del ristorante omissis , il peculato relativo alla somma di circa Euro 42.000 utilizzata per pagamenti in favore della società di gestione di tale ristorante con fondi per il periodo 2010-2012. - Il prelievo nel corso del 2010 di Euro 137.000 circa dai fondi a sua disposizione, senza giustificazione. - Il prelievo nel corso del 2011 di Euro 225.000 circa per finalità private e comunque per spese non ammissibili a rimborso. - Il prelievo nel corso del 2012 di Euro 35.000 a titolo di rimborso spese aventi in realtà finalità private. In relazione a tali fatti si contestava anche il reato di falso nella redazione dei rendiconti annuali dell'impiego dei fondi erogati dalla Regione in favore del gruppo. - la consegna di somme non corrispondenti ai fini istituzionali ammessi in favore di alcuni consiglieri regionali del gruppo. In particolare in favore di A.P. Euro 12.000 per il 2010, Euro 18000 per il 2011, Euro 8000 per il 2012. In favore di N.G. Euro 8000 per il 2010, Euro 22000 per il 2011, Euro 3600 per il 2012. Il Tribunale premetteva gli argomenti in diritto a sostegno - della tesi della natura pubblicistica dei gruppi consiliari nonché della qualificazione di pubblico ufficiale dei singoli capigruppo ed il carattere di fondi pubblici delle somme poste a disposizione dalla Regione a favore dei singoli gruppi. - Dell'esservi piena sindacabilità delle scelte di spesa per la gestione dei gruppi. Esaminava quindi la normativa di settore ed osservava che i rendiconti, acquisiti agli atti, documenti contabili obbligatori, avevano un contenuto del tutto generico non potendosi individuare la conferenza delle spese rispetto alle destinazioni dichiarate. In definitiva si era accertato che in realtà i singoli consiglieri, con la complicità del capogruppo, utilizzavano il denaro ricevuto dalla Regione per scopi eminentemente privati senza offrire alcun rendiconto, tanto da esservi un loro vano tentativo finale, avuta notizia delle indagini, di recuperare documenti di spesa a giustificazione dei prelievi. Confermato quindi esservi gravi indizi dei reati ascritti, il Tribunale confermava anche la sussistenza di esigenze cautelari, quanto al pericolo di inquinamento delle prove e quanto al rischio di recidiva. Tali esigenze, osservava, andavano tutelate con una misura limitativa della libertà personale. Contro tale decisione F. propone ricorso a mezzo dei propri difensori. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in tema di configurabilità dei reati di peculato e falso in quanto sono stati contestati comportamenti che solo alla luce della normativa di cui al D.L. 174/2012 sono diventati illegittimi solo con tale normativa determinate spese non sono più ammesse nell'ambito dell'attività dei gruppi consiliari. In particolare, rileva come sia stata rispettata la regola di cui alla L.R. Calabria 13/2002 che prevede genericamente che i gruppi consiliari ricevono i fondi necessari all'assolvimento dei loro funzioni e che il gruppo sulla base di autonoma scelta individua le iniziative da porre in essere. Le accuse riferite a varie tipologie di spesa ritenute non ammesse rappresentano, invece, l'esercizio di una attività di valutazione di tipo personalistico del giudice penale che finisce per esercitare un sindacato di merito che non rispetta la suddetta autonomia. Inoltre, osserva, né la legge vigente all'epoca dei fatti prevedeva i limiti individuati dal giudice né vi era alcuna previsione di un contenuto specifico della nota riepilogativa prevista dalla legge regionale. In ogni caso, alla luce della stessa normativa, un presidente di gruppo consiliare, quale era il F. , non può essere ritenuto una sorta di agente contabile, poiché il controllo sull'uso dei fondi è svolto in forma autonoma ed esclusiva dell'assemblea regionale. Rileva, poi, che erroneamente il Tribunale ha ritenuto di per sé inattendibili le prove documentali da lui fornite le spese erano regolari e non vi è alcun ambito per la effettuazione di un sindacato sulle scelte discrezionali. Soprattutto, risultano regolarmente dimostrate le cene presso il ristorante del figlio ed il loro carattere di attività del gruppo consiliare. con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione quanto alla valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari mancando specifici e concreti elementi a dimostrazione sia dell'inquinamento probatorio che del rischio di recidiva. Considerato in diritto Il ricorso è fondato limitatamente al motivo relativo alle esigenze cautelari. Quanto al primo motivo, va considerato che la difesa punta essenzialmente sull'essere stato considerato reato di peculato l'utilizzo di fondi non in conformità a regole che, secondo la difesa stessa, non erano così stringenti, come invece ritenuto dagli inquirenti, e, comunque si è equiparato l'utilizzo per finalità del gruppo, pur asseritamente diverse da quelle per cui è ammesso rimborso, alla illecita appropriazione a titolo personale. Invero tale osservazione non considera che l'accusa riguarda non solo l'utilizzazione di fondi in difformità dalle finalità previste e, comunque, per spese non ammesse a rimborso ma, e soprattutto, almeno in termini quantitativi, anche la sottrazione per vantaggio personale di cospicue somme, rispetto alle quali il ruolo politico amministrativo rappresentava una mera occasione. Rispetto a tali somme, che dalla descrizione fatta sopra riguardano la maggior parte di quanto oggetto di peculato, non rilevano certamente gli argomenti in tema di rimborsi ammissibili e nonumero La difesa, difatti, o non individua vizi specifici della deduzione dell'essere parte delle somme - per i rilevantissimi importi sopra indicati - sottratte senza giustificazione, non essendo neanche sufficiente la giustificazione logica della genericità delle ricevute etc., o si limita a valutazioni di fatto, in sé non consentite in sede di legittimità, rispetto alla completa e logica argomentazione dei giudici di merito a sostegno dell'esservi stata addirittura una falsa fatturazione per dimostrare operazioni inesistenti soprattutto le frequenti cene presso il ristorante del figlio . Gli argomenti della difesa, invece, riguardano soltanto le minori somme per le quali, sulla scorta della dettagliata analisi della pg, si è sostenuto che l'uso non conforme alle finalità ammesse, pur nell'ambito delle attività del gruppo consiliare, valga a costituire peculato. Certamente poteva essere rilevante considerare se fosse ammissibile un puntiglioso sindacato su singole spese, e se fosse corretto ritenere automaticamente che la non conformità della decisione di spesa alla valutazione degli inquirenti magari in modo difforme dalla valutazione dell'organo amministrativo di controllo si risolva nel reato di peculato ma una tale valutazione è, in questa sede, irrilevante non potendo portare ad alcun risultato utile dell'impugnazione, non incidendo sull'accertamento del peculato per le maggiori somme già indicate, di per sé solo più che sufficiente a sostenere la gravità indiziaria a sostegno della misura cautelare. È, invece, fondato il secondo motivo di ricorso. Come sopra riportato, risulta che sono state affermate le esigenze cautelari di cui alla lettera a ed alla lettera c dell'articolo 274 cod. proc. penumero . Quanto alla ipotesi di pericolo di inquinamento probatorio, si rammenta che la predetta disposizione richiede che vi siano situazioni di pericolo concreto e attuale che venga ostacolata l'acquisizione della prova o che questa venga inquinata deve trattarsi di prove che appaiano necessarie alle indagini infine, tali condizioni devono essere chiaramente motivate con riferimento alle circostanze di fatto che lo dimostrino, restando quindi escluso che possano desumersi in termini meramente logici. Il provvedimento impugnato, invece, non è conforme a tali regole in quanto afferma che il pericolo di inquinamento probatorio risulta dalla particolare pervicacia con la quale ha provveduto a rendere operativo il sistema delle indebite appropriazioni potendo lo stesso agire per intessere versioni di comodo, atte ad ostacolare le ulteriori attività di indagine . , e che possa concretamente adoperarsi per individuare e far scomparire tracce documentali nuove e fittizie a giustificazione dei rimborsi ottenuti . Non risulta, quindi, individuata alcuna condizione concreta che indichi un effettivo rischio attuale di condotte mirate all'occultamento od alterazione di prove, e quanto riportato non è altro che una descrizione della gravità della condotta e della determinazione a delinquere. Quindi il rischio di inquinamento probatorio è individuato solo in via logica laddove, invece, deve essere fondato su elementi concreti, come sopra detto. Quanto al pericolo di recidiva, il livello di astrattezza del pericolo descritto nel provvedimento impugnato fa di tale motivazione piuttosto un argomento a sostegno di una - inesistente - presunzione di pericolosità anziché la motivazione sull'accertamento della pericolosità nel caso concreto. Il pericolo di reiterazione dei reati è stato, difatti, motivato sul carattere sistematico delle appropriazioni, tale da dimostrare che non si era trattato di una condotta occasionale o isolata, e, a fronte della cessazione dall'incarico, dalla accertata e mantenuta rete di legami politici che rendono il ricorrente non estraneo, ., dall'ambiente in cui sono maturati i delitti . Si è quindi ritenuto in sé criminogeno il mero dato della prosecuzione dei rapporti con la politica, affermazione che poteva avere concreto significato solo previa dimostrazione che la attività politica del ricorrente fosse specificamente ancorché non esclusivamente funzionale alla commissione dei delitti in questione. Tale dimostrazione, nell'ordinanza impugnata, non vi è. In definitiva, in assenza di indicazioni da parte del Tribunale del riesame di qualsiasi elemento concreto, deve essere nuovamente valutato sia il profilo del rischio di inquinamento probatorio, nel rispetto delle regole citate, che il profilo del rischio di recidiva rammentandosi come lo stesso debba essere riferito alla probabilità di commissione di nuovi reati con carattere di concretezza nel senso di cui in Sez. 6, numero 38763 del 08/03/2012 - dep. 04/10/2012, Miccoli, Rv. 253372 nonché attualità nel senso di cui in Sez. 6, numero 52404 del 26/11/2014 - dep. 17/12/2014, Alessi, Rv. 261670, con regola di valutazione del rischio di recidiva oggi espressamente ribadita dalla l. 47/2015 che l'ha inserita nel testo dell'articolo 274 cod. proc. penumero in termini effettivi e non congetturali. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Reggio Calabria. Rigetta nel resto il ricorso.