Facebook non è un mezzo di stampa

Pubblicare un post su una pagina Facebook può portare alla configurazione di vari reati d’opinione. In questa sentenza si affronta il tema della coesistenza di due tipi di diffamazione quella a mezzo stampa ex articolo 13 della l. numero 47/1948 e quella aggravata contenuta nel terzo comma dell’articolo 595 c.p., i cui edittali sono ben diversi.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza numero 4873/17 depositata il 1° febbraio. Il caso. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Imperia proponeva ricorso per la cassazione dell’ordinanza con la quale erano stati restituiti gli atti al PM perché provvedesse alla citazione diretta a giudizio dell’imputato. Tale pronuncia era stata emessa perché si era tenuto conto di un edittale di tre anni massimo, in relazione al reato per il quale si procedeva si trattava, infatti, di un caso di diffamazione tramite Facebook. Secondo il ricorrente, però, il reato, contenendo anche l’«attribuzione di un fatto determinato» alla persona offesa, ricadeva nella disciplina dell’articolo 13 della l. numero 47/1948, raggiungendo così una pena edittale massima pari a 6 anni di reclusione. Un numero indeterminato di destinatari. A giudizio della Corte di Cassazione, invece, la qualificazione giuridica effettuata dal giudice di merito è corretta. E’ vero che l’orientamento di legittimità prevalente è nel senso di ritenere che anche la diffusione di un messaggio diffamatorio tramite Facebook integri un’ipotesi di diffamazione aggravata ex articolo 595, comma 3, c.p. infatti, «questa modalità di comunicazione di un contenuto informativo è suscettibile di arrecare discredito alla reputazione altrui», potendo raggiungere un numero indeterminato di persone ed essendo una piattaforma basata sulla valorizzazione dei rapporti interpersonali, anche estesa ad un «numero indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione». Tuttavia, proprio la collocabilità di Facebook nella categoria di “qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, a norma del terzo comma del predetto articolo, esclude l’applicabilità della disciplina citata dal Procuratore della Repubblica l. numero 47/1948 . Il concetto di stampa. A tal proposito la Corte di Cassazione richiama la sentenza numero 31022/15 delle SS.UU., con la quale sono stati esclusi dal concetto di “stampa” alcuni nuovi mezzi di manifestazione del pensiero, soprattutto informatici e telematici, quali «forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, pagine Facebook». I giudici di legittimità, in quell’istanza, avevano avallato l’interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine “stampa”, ma hanno ritenuto necessario tenere distinta l’area dell’informazione di tipo professionale «dal vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo». Per questo motivo il ricorso è rigettato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 novembre 2016 – 1 febbraio 2017, numero 4873 Presidente Bruno – Relatore Scordamaglia Ritenuto in fatto 1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Imperia propone ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del giudice per l'udienza preliminare che aveva disposto, ai sensi degli articolo 33-quinquies e 33- sexies cod. proc. penumero , la restituzione degli atti al pubblico ministero perché provvedesse alla citazione diretta a giudizio dell'imputato, essendo stato a quest'ultimo contestato il delitto di cui all'articolo 595, commi 1, 2, 3, c.p. - per avere pubblicato sul proprio profilo 'facebook' un testo con il quale offendeva la reputazione di M. F., attribuendogli un fatto determinato tramite Internet. In D. M., il 3/08/2013 -, reato per il quale è stabilito, ai sensi dell'articolo 550, comma 1, cod. proc. penumero , l'esercizio dell'azione penale mediante il decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi dell'articolo 552 cod. proc. penumero , essendo punito con la pena edittale massima di tre anni di reclusione. 2. A sostegno della dedotta abnormità dell'ordinanza impugnata, che aveva determinato un'indebita regressione del procedimento, il ricorrente osservava che il giudice dell'udienza preliminare erroneamente aveva ritenuto che il delitto contestato fosse punito con una pena edittale non superiore a quattro anni di reclusione, poiché la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca facebook integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'articolo 595, comma 3, cod. penumero , venendo in essere una condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o, comunque, quantitativamente apprezzabile di persone con la conseguenza che, essendo stata altresì contestata l'ipotesi di attribuzione di fatto determinato, il giudice dell'udienza preliminare avrebbe dovuto prendere in considerazione, ai fini della determinazione della propria competenza, la pena massima edittale della reclusione fino a sei anni prevista dall'articolo 13 Legge 8 febbraio 1948, numero 47 Disposizione sulla stampa quale circostanza ad effetto speciale del delitto di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell'attribuzione di un fatto determinato. Considerato in diritto Il ricorso deve essere rigettato perché infondato. 1. La questione sottoposta allo scrutinio di legittimità esige che sia richiamata la lezione ermeneutica impartita da questa Corte che, nei suoi numerosi arresti, ha ricondotto alla categoria dell'abnormità non solo il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell'ambito dell'ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite Sez. U, numero 11 del 09/07/1997 - dep. 31/07/1997, Q., Rv. 20822101 Sez. 6, numero 2121 del 11/06/1998 - dep. 21/07/1998, V., Rv. 211315 Sez. 1, numero 4023 del 11/06/1996 - dep. 25/07/1996, S., Rv. 20535801 Sez. 5, numero 182 del 13/01/1994 - dep. 11/02/1994, M., Rv. 197091 . Siffatta fenomenologia patologica può riguardare, quindi, tanto il profilo strutturale, allorché, per la sua singolarità, il provvedimento emesso si ponga, appunto fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando, pur se non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo, provocando, ad esempio, una indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l'ordinata sequenza logico-cronologica Sez. U, numero 5307 del 20/12/2007 - dep. 01/02/2008, P.M. in proc. B., Rv. 23824001 Sez. U, numero 17 del 10/12/1997 - dep. 12/02/1998, D. B., Rv. 20960301 Sez. 3, numero 2853 del 14/07/1995 - dep. 08/09/1995, B. ed altri, Rv. 20540601 Sez. 5, numero 1465 del 11/03/1994 - dep. 18/04/1994, P.M. in proc. L. ed altro, Rv. 19799901 . 2. Così delineato, in termini generali, il problema, poiché, dunque, l'abnormità non inerisce a quei provvedimenti che, ancorché eventualmente adottati in violazione di specifiche norme, rientrano tra gli atti tipici dell'ufficio che li adotta Sez. 2, numero 5180 del 05/11/1999 - dep. 15/12/1999, Saraceno, Rv. 21518401 , l'ordinanza impugnata non può essere qualificata come abnorme, costituendo, piuttosto, l'espressione del potere - attribuito al giudice dell'udienza preliminare - di controllo sulla qualificazione giuridica del fatto potere che rimane legittimamente esercitato pur se in maniera non corretta in conseguenza dell'erronea interpretazione di una norma giuridica. Tale conclusione, cui il Collegio ritiene di prestare adesione, si appalesa, peraltro, in linea con quanto stabilito da questa Corte nella decisione di casi del tutto sovrapponibili, nei quali è stato formulato il principio di diritto secondo cui non è abnorme il provvedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero, ancorché sull'erroneo presupposto della qualificazione del fatto come reato procedibile a citazione diretta Sez. 5, numero 30834 del 3/07/2014 - dep. 11/07/2014, P.M. Trib. Salerno, non mass. Sez. 1, numero 47766 del 06/11/2008 -dep. 23/12/2008, L., Rv. 242747 “tanto perché il giudice dell'udienza preliminare, come ogni altro giudice di fronte alla richiesta delle parti, ha il potere-dovere, quale espressione indefettibile del principio di legalità e della funzione di ius dicere, di dare al fatto contestato una diversa definizione o qualificazione giuridica, riconducendo così la fattispecie concreta allo schema legale che le è proprio. E ciò in forza della valenza generale della regola contenuta nell'articolo 521, comma 1, cod. proc. penumero , secondo l'insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni unite di questa Corte di legittimità” Sez. 6, numero 41037 del 20/10/2009 - dep. 26/10/2009, Betti, Rv. 24503301 . 2. Nel merito della questione, stima, peraltro, questa Corte che il giudice dell'udienza preliminare non abbia neppure qualificato erroneamente il fatto contestato all'imputato. Infatti, se, come ripetutamente affermato nella giurisprudenza di legittimità, anche la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca facebook' integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'articolo 595, comma 3, cod. penumero , poiché questa modalità di comunicazione di un contenuto informativo suscettibile di arrecare discredito alla reputazione altrui, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, perché attraverso questa 'piattaforma virtuale' gruppi di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un numero indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione Sez. 5, numero 8328 del 13/07/2015 - dep. 01/03/2016, Martinez, non massimata sul punto , tuttavia, proprio queste peculiari dinamiche di diffusione del messaggio screditante, in una con la loro finalizzazione alla socializzazione, sono tali da suggerire l'inclusione della pubblicazione del messaggio diffamatorio sulla bacheca 'facebook' nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità', che, ai fini della tipizzazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 595, comma 3, cod. penumero , il codificatore ha giustapposto a quella del 'mezzo della stampa' Sez. 1, numero 24431 del 28/04/2015 - dep. 08/06/2015, Conflitto di competenza, Rv. 26400701 . 3. L'interpretazione proposta dal Collegio si pone, peraltro, in linea di continuità con la soluzione cui sono pervenute le Sezioni Unite di questa Corte, che, nella sentenza numero 31022 del 29/01/2015 - dep. 17/07/2015, F. e altro, Rv. 26409001, dopo avere affermato la legittimità di una interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine stampa - così da estendere alle testate giornalistica telematiche le guarentigie di rango costituzionale e di livello ordinario assicurate a quelle tradizionali in formato cartaceo - hanno ritenuto necessario chiarire che l'esito di tale operazione ermeneutica non può riguardare tutti in blocco i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, pagine Facebook , ma deve rimanere circoscritto a quei soli casi che, per i profili, strutturale e finalistico, che li connotano, sono riconducibili nel concetto di stampa inteso in senso più ampio. Il più autorevole Consesso ha, quindi, spiegato che “Deve tenersi ben distinta l'area dell'informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata giornalistica on line, dal vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo”, ed ha concluso, quindi, con il precisare che “Anche il social-network più diffuso, denominato Facebook, non è inquadrabile nel concetto di stampa “, essendo “un servizio di rete sociale, basato su una piattaforma software scritta in vari linguaggi di programmazione, che offre servizi di messaggistica privata ed instaura una trama di relazioni tra più persone all'interno dello stesso sistema”. Da qui la correttezza della qualificazione giuridica del fatto compiuta dal giudice nel provvedimento impugnato, che ha ineccepibilmente ritenuto essere il delitto di diffamazione contestato all'imputato aggravato dalla sola circostanza prevista dall'articolo 595, commi 2 e 3, cod. penumero - offesa arrecata mediante l'attribuzione di un fatto determinato con un qualunque mezzo di pubblicità - e non anche da quella prevista dall'articolo 13 L. numero 47/1948 - attribuzione di un fatto determinato con il mezzo della stampa -. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.