La festività “cade” di domenica? Il dipendente pubblico non ha diritto al compenso aggiuntivo

L’articolo 1, comma 224, legge numero 266/2005, nell’escludere l’applicabilità ai lavoratori pubblici della norma recante la previsione del diritto ad una retribuzione aggiuntiva nel caso in cui le festività ricorrano di domenica, all’indomani della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, non contrasta con i principi della “parità delle armi” e della certezza del diritto ex articolo 6 CEDU.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, con l’ordinanza numero 11, depositata il 4 gennaio 2016. Il caso. La pronuncia in commento trae origine dal procedimento monitorio avviato da un dipendente del Ministero della Giustizia per ottenere dall’amministrazione datrice il pagamento del compenso aggiuntivo per due festività di cui alla legge numero 260/1949 come modificata dalla legge numero 90/1954 , coincidenti con la domenica. Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo che ne è scaturito, i giudici di merito hanno negato il diritto invocato dal lavoratore, ritenendo che, nella materia in questione, la fonte primaria fosse divenuta la disciplina contrattualistica e, più precisamente, quella desumibile dal CCNL del Comparto Ministeri 1998/2001, che nulla disponeva con riguardo al compenso preteso dal lavoratore l’articolo 5 della legge numero 260/1949, prevedendo un incremento retributivo non contemplato dal contratto collettivo, doveva, pertanto, considerarsi inapplicabile. In particolare, la Corte territoriale valorizzava lo ius superveniens, costituito dalla legge numero 266/2005, che, all’articolo 1, co. 224, ha stabilito che, tra le disposizioni riconosciute inapplicabili dall’articolo 69, co. 1, secondo periodo, del decreto legislativo numero 165/2001, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, è ricompreso l’articolo 5, co. 3, della legge numero 260/1949, come sostituito dall’articolo 1 della legge numero 90/1954, in materia di retribuzione nelle festività civili nazionali ricadenti di domenica. Avverso la decisione di merito, il dipendente pubblico proponeva ricorso per cassazione, denunciando la violazione e/o la falsa applicazione del citato articolo 1, co. 224, della legge numero 266/2005, ponendo la questione di legittimità costituzionale di tale norma e formulando richiesta di quesito interpretativo alla Corte di Giustizia CE, ex articolo 234 del Trattato CE. Nessun compenso aggiuntivo se la festività “cade” di domenica. Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Suprema Corte ha ritenuto che i giudici di merito abbiano correttamente applicato lo ius superveniens costituito dall’articolo 1, co. 224, della legge numero 266/2005, norma che, laddove dispone che l’articolo 5, co. 3, della legge numero 260/1949 come successivamente modificato è una fra le disposizioni divenute inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, ai sensi dell’articolo 69, co. 1, d.lgs. numero 165/2001 T.U. sul pubblico impiego , ha escluso, con portata retroattiva, il riconoscimento del diritto dei dipendenti ad un compenso aggiuntivo in caso di coincidenza con la festività della domenica. Come evidenziato dalla Cassazione anche in precedenti occasioni, la suddetta disposizione, mirando a risolvere dubbi interpretativi sull’ambito dell’inefficacia determinata dalla stipulazione della seconda tornata di contratti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, è qualificabile come norma di interpretazione autentica circostanza, peraltro, resa palese dalla specifica disposizione di salvezza dei giudicati formatisi anteriormente alla sua entrata in vigore cfr. Cass., numero 7740/2011, numero 4661/2011 e numero 22653/2009 . L’esclusione del compenso aggiuntivo non contrasta con il principio di ragionevolezza. La pronuncia in commento ricorda, poi, che la Corte costituzionale, nella recente decisione numero 150 del 2015, ha definitivamente fugato ogni dubbio sulla costituzionalità della disposizione in questione e sul suo possibile contrasto con il giusto ed equo processo e con i connessi principi della “parità delle anni” e della certezza del diritto articolo 6 CEDU , affermando che l’intervento interpretativo del legislatore, non solo non contrasta con il principio di ragionevolezza che comporta il divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento , ma neppure determina una lesione dell’affidamento. Né la Consulta ha ravvisato una lesione delle attribuzioni del potere giudiziario la norma in esame, infatti, avendo natura interpretativa, ha operato sul piano delle fonti, senza toccare la potestà di giudicare, limitandosi a precisare la regola astratta ed il modello di decisione cui l’esercizio di tale potestà deve attenersi, definendo e delimitando la fattispecie normativa oggetto della medesima Corte cost., numero 170/2008 , proprio al fine di assicurare la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico Corte cost., numero 209/2010 . La retroattività delle leggi deve essere giustificata da motivi di interesse generale ai sensi della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Né a conclusioni diverse si può addivenire, ad avviso della Suprema Corte, in considerazione delle decisioni della Corte Europea, richiamate dal ricorrente, che hanno considerato emesse in violazione dell’articolo 6 della CEDU norme di interpretazione autentica che pure avevano superato il vaglio di legittimità costituzionale da parte del giudice delle leggi cfr., tra le altre, la sentenza del 31 maggio 2011 nella causa Maggio ed altri c. Italia la sentenza del 7 giugno 2011 nella causa Agrari ed altri c. Italia la sentenza del 14 febbraio 2012 nella causa Arras ed altri c. Italia , posto che ogni vicenda va contestualizzata. Nel caso in esame non sono stati offerti argomenti ulteriori rispetto a quelli già vagliati dalla stessa Corte costituzione nella citata sentenza numero 150/2015 nella parte in cui ha escluso ogni contrasto con il giusto ed equo processo e con i connessi principi della “parità delle armi” e della certezza del diritto articolo 6 CEDU . In tale decisione, infatti, si è precisato che al legislatore non è precluso di emanare norme retroattive sia innovative che di interpretazione autentica , purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale ai sensi della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ciò accade allorché una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto o di ristabilire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini. In particolare, l’articolo 1, co. 224, della legge numero 266/2005, nell’escludere l’applicabilità ai lavoratori pubblici della norma recante la previsione del diritto ad una retribuzione aggiuntiva nel caso in cui le festività ricorrano di domenica, all’indomani della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, risolvendo una situazione di incertezza testimoniata dalla presenza di pronunce di segno contrastante cfr. Cass., numero 258/2011 e numero 15331/2006 , ha chiarito che l’articolo 5, co. 3, della legge numero 260/1949, avente carattere imperativo, non solo non contrasta con il principio di ragionevolezza, ma neppure determina una lesione dell’affidamento, posto che il testo originario della norma, sin dall’inizio, rendeva plausibile una lettura diversa da quella che i destinatari della norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 19 novembre 2015 – 4 gennaio 2016, numero 11 Presidente Curzio - Relatore Marotta Fatto e diritto 1 - Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto “Con ricorso al giudice del lavoro del Tribunale di Roma il Ministero della Giustizia proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con cui lo stesso Tribunale gli aveva ingiunto di pagare, in favore del suo dipendente, C.E. . Somme a titolo di compenso aggiuntivo per due festività di cui alla legge numero 260/1949 - come modificata dalla legge numero 90/1954 - coincidenti con la domenica. Il Tribunale accoglieva l'opposizione e revocava il decreto ingiuntivo. A seguito di impugnazione da parte del lavoratore, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado. Riteneva la Corte territoriale che la fonte primaria fosse divenuta nella materia in questione la disciplina contrattualistica, ed in specie quella desumibile dal c.c.numero l. del Comparto Ministeri 1998/2001, che nulla disponeva con riguardo al compenso preteso dal lavoratore e che l'articolo 5 della legge numero 260 del 1949 dovesse considerarsi inapplicabile prevedendo un incremento retributivo non contemplato dal contratto collettivo. Valorizzava la Corte territoriale lo ius superveniens , costituito dalla legge 23 dicembre 2005, numero 266, che, all'articolo 1, comma 224, ha stabilito, che Tra le disposizioni riconosciute inapplicabili dall'articolo 69, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, è ricompreso l'articolo 5, terzo comma, della legge 27 maggio 1949, numero 260, come sostituito dall'articolo 1 della legge 31 marzo 1954, numero 90, in materia di retribuzione nelle festività civili nazionali ricadenti di domenica. E fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge ed escludeva la sussistenza di profili di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento. Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione C.E. con tre motivi di impugnazione. Il Ministero resiste con controricorso. Con i motivi di ricorso viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione della legge numero 266 del 2005, articolo 1, comma 224, posta questione di costituzionalità di tale norma e formulata richiesta di quesito interpretativo alla Corte di Giustizia, CE, ex articolo 234 del Trattato CE. I motivi, da trattarsi congiuntamente, in ragione della intrinseca connessione, sono manifestamente infondati. La Corte territoriale ha correttamente applicato lo jus superveniens costituito dall'articolo 1, comma 224, della legge numero 266 del 2005, norma che, laddove dispone che l'articolo 5, terzo comma, della legge numero 260 del 1949, come successivamente modificato, è una fra le disposizioni divenute inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, ai sensi dell'articolo 69, comma 1, del d.lgs. numero 165 del 2001, ha escluso, con portata retroattiva e dunque non con effetti solo per il futuro , il riconoscimento del diritto dei dipendenti ad un compenso aggiuntivo, in caso di coincidenza con la festività della domenica. In tali termini questa Corte si è già più volte pronunciata. Si vedano, infatti, Cass. 5 aprile 2011, numero 7740, Cass. 25 febbraio 2011, numero 4661, Cass. 27 ottobre 2009, numero 22653, Cass. 17 giugno 2009, numero 14048, Cass. 22 febbraio 2008, numero 4667 con le quali si è evidenziato che la suddetta disposizione, mirando a risolvere dubbi interpretativi sull'ambito dell'inefficacia determinata dalla stipulazione della seconda tornata di contratti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, è qualificabile come norma di interpretazione autentica, siccome fatto palese, del resto, dalla specifica disposizione di salvezza dei giudicati formatisi anteriormente alla sua entrata in vigore. È stato anche rimarcato, con l'espresso richiamo alla pronuncia della Corte costituzionale numero 146 del 16 maggio 2008 così Cass. numero 7740/2011, Cass. numero 4661/2001, Cass. numero 14048/2009 citate , come i dubbi di legittimità costituzionale, prospettati sotto il profilo della pretesa violazione del principio di uguaglianza, sono privi di fondamento. Sulla questione, a seguito di ordinanza interlocutoria di questa Corte numero 1040 del 20 gennaio 2014, resa in un giudizio nel quale, come nel presente, si sosteneva che l'efficacia retroattiva dell'articolo 1, comma 224, della legge numero 266/2005 non appariva giustificata, sul piano costituzionale, da una finalità realmente interpretativa della disposizione stessa, la quale attribuisce alla norma interpretata il d.lgs. 30 marzo 2001, numero 165, articolo 69, comma 1, secondo periodo non già uno dei significati possibili bensì un significato del tutto nuovo e si poneva, altresì, il problema che la detta retroattività avrebbe violato il divieto di ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, influendo sulla definizione delle controversie giudiziarie in corso articolo 117 Cost., comma 1 e 6 CEDU , ledendo l'autonomia e indipendenza della magistratura articolo 104 Cost. ed il principio di imparzialità della pubblica amministrazione articolo 97 Cost. -, è tornata la Corte costituzionale. Nella recente decisione numero 150 del 14 luglio 2015, il Giudice delle leggi ha definitivamente fugato ogni dubbio di costituzionalità e di contrasto con il giusto ed equo processo e con i connessi principi della parità delle armi e della certezza del diritto articolo 6 CEDU affermando che l'intervento interpretativo del legislatore non solo non contrasta con il principio di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento sentenza numero 209 del 2010 , escluse da questa Corte già nella sentenza numero 146 del 2008 in considerazione della peculiarità del regime del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni delineato dal d.lgs. numero 165 del 2001 e dai contratti collettivi ivi richiamati, ma neppure determina una lesione dell'affidamento. Il testo originario rendeva, sin dall'inizio, plausibile, come si è già rilevato, una lettura diversa da quella che i destinatari della norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare sentenza numero 170 del 2008 , coerente con i principi ai quali è informato il rapporto di lavoro pubblico. Né si ravvisa una lesione delle attribuzioni del potere giudiziario. La norma in esame, infatti, avendo natura interpretativa, ha operato sul piano delle fonti, senza toccare la potestà di giudicare, limitandosi a precisare la regola astratta ed il modello di decisione cui l'esercizio di tale potestà deve attenersi, definendo e delimitando la fattispecie normativa oggetto della medesima sentenza numero 170 del 2008 , proprio al fine di assicurare la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico sentenza numero 209 del 2010 . Si propone, pertanto, il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell'articolo 375, numero 5, cod. proc. civ.”. 2 - Preliminarmente va rigetta l'istanza, presentata da parte ricorrente, di rinvio a nuovo ruolo per trattazione congiunta della presente causa con il procedimento numero 30358/2010 avente oggetto analogo. Questa Corte ha già avuto modo di precisare che il rispetto del diritto fondamentale a una ragionevole durata del processo impone al giudice, ai sensi degli articolo 175 e 127 cod. proc. civ., di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato a esplicare i suoi effetti. Ne deriva che l'istanza per la trattazione congiunta di una pluralità di giudizi relativi alla medesima vicenda, non espressamente contemplata dagli articolo 115 e 82 disp. att. cod. proc. civ., deve essere sorretta da ragioni idonee ad evidenziare i benefici suscettibili di bilanciare gli inevitabili ritardi conseguiti all'accoglimento della richiesta, bilanciamento che deve essere effettuato con particolare rigore nel giudizio di cassazione in considerazione dell'impulso d'ufficio che lo caratterizza Cass. 1 marzo 2012, numero 3189 e Cass. 21 novembre 2012 numero 20422 Cass. 29 maggio 2013, numero 13406 Cass. 3 luglio 2015, numero 13684 . 3 - Tanto premesso, questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e non scalfite dalla memoria con la quale la ricorrente, si limita a richiamare alcune decisioni della Corte Europea così, tra le altre, la sentenza numero del 31 maggio 2011 nella causa Maggio ed altri c. Italia la sentenza del 7 giugno 2011 nella causa Agrati ed altri c. Italia la sentenza del 14 febbraio 2012 nella causa Arras ed altri c. Italia che hanno considerato emesse in violazione dell'articolo 6 della CEDU norme di interpretazione autentica che pure avevano superato il vaglio di legittimità costituzionale da parte del giudice delle leggi. Del resto ogni vicenda va contestualizzata ed anche l'ipotizzato pregiudizio in ragione dell'inutilità di proseguire una lite a causa della sopravvenuta normativa va rapportato allo specifico interesse generale sotteso all'intervento legislativo. Nel caso in esame non sono stati offerti argomenti ulteriori rispetto a quelli già vagliati dalla stessa Corte costituzione nella sopra citata sentenza numero 150 del 14 luglio 2015 nella parte in cui è stato escluso ogni contrasto con il giusto ed equo processo e con i connessi principi della parità delle armi e della certezza del diritto articolo 6 CEDU . In tale decisione si è, infatti, precisato - che “al legislatore non è [ ] precluso di emanare [ ] norme retroattive sia innovative che di interpretazione autentica , purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU sentenza numero 264 del 2012 ” sentenza numero 156 del 2014 così anche, ex plurimis , sentenze numero 78 del 2012, numero 15 del 2012 - che ciò accade allorquando una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto o di ristabilire un'interpretazione più aderente all'originaria volontà del legislatore sentenza numero 311 del 2009 così anche Corte Europea dei diritti dell'uomo, sentenza 23 ottobre 1997, National & amp Provincial Building Society ed altri contro Regno Unito , nonché di riaffermare l'intento originale del Parlamento Corte Europea dei diritti dell'uomo, sentenza 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas e altri contro Francia a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini - che l'articolo 1, comma 224, della legge numero 266 del 2005, nell'escludere l'applicabilità ai lavoratori pubblici della norma recante la previsione del diritto ad una retribuzione aggiuntiva nel caso in cui le festività ricorrano di domenica, all'indomani della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997, non ha fatto altro che dare attuazione ad uno dei principi ispiratori dell'intero d.lgs. numero 165 del 2001 inapplicabilità “delle norme generali e speciali del pubblico impiego”, a seguito appunto della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997 - che, inoltre, la norma in questione ha chiarito - risolvendo una situazione di incertezza testimoniata dalla presenza di pronunce di segno contrastante Cass. 28 marzo 1981, numero 1803 Cass. 10 gennaio 2011, numero 258 Cass. 5 luglio 2006, numero 15331 - che l'articolo 5, terzo comma, della legge numero 260 del 1949 ha carattere imperativo - che l'intervento interpretativo del legislatore non solo non contrasta con il principio di ragionevolezza, ma neppure determina una lesione dell'affidamento rendendo il testo originario della norma, sin dall'inizio, plausibile una lettura diversa da quella che i destinatati della norma interpretata hanno ritenuto di privilegiare . Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell'articolo 375, numero 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo. 4 - Conseguentemente, il ricorso va rigettato. 5- Il recente intervento della Corte costituzionale sulla questione oggetto di causa consente di compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. 6 - La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità dell'articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, numero 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione così Cass. Sez. unumero numero 22035/2014 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi dell'articolo 13, co. 1 quater, del d.P.R. numero 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.