Se nonostante l’idoneità e la custodia dei locali, il contenuto della cassetta di sicurezza risulta danneggiato per una causa fortuita esterna e inevitabile, la banca non è in colpa e non è tenuta al risarcimento. In questi esatti termini si è espressa la Cassazione chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità della banca per la perdita del contenuto delle cassette di sicurezza a seguito dello straripamento del fiume Arno avvenuto il 4 novembre 1966.
L’Autore e l’Editore desiderano ricordare il cinquantenario dell’Alluvione di Firenze portando all’attenzione del lettore la decisione della Suprema Corte di Legittimità numero 2981 del 27 luglio 1976 in Giustizia civile, 1976, I, 1756 ss., consultabile sulla banca dati DeJure che descriveva – con parole nitide, ancora oggi attuali e cariche di tensione emotiva – quel terribile evento catastrofico. La vicenda dedotta in lite. Nelle prime ore del giorno 4 novembre 1966, a seguito di una ondata eccezionale di maltempo, si verificò lo straripamento del fiume Arno causando ingentissimi danni alla città di Firenze ed all’intero territorio toscano. Come testimoniano le cronache del tempo, una marea di acqua e fango travolse persone, abitazioni, negozi, musei ed opere d’arte. Neppure i caveau delle banche furono risparmiati da tale esondazione. Le cassette di sicurezza vennero gravemente compromesse, con perdita di ogni contenuto. Numerose dunque le vertenze giudiziarie mosse dai clienti nei confronti degli istituti bancari. Nella fattispecie, alcuni titolari di cassette di sicurezza agivano nei confronti della banca per ottenere il risarcimento del danno corrispondente ai valori custoditi nelle loro cassette di sicurezza, andati perduti a seguito dell’alluvione. Il Tribunale di Firenze, pur ritenendo che «nessuna forza umana poteva, quel mattino, impedire che le acque limacciose inondassero certi punti della città, penetrassero in certi locali, giungessero a certe altezze» aveva ravvisato la responsabilità della banca osservando che la medesima avrebbe potuto ricorrere «alla tecnica delle costruzioni navali che consente di rendere stagni anche locali che tali normalmente non sono, pur essendo adibiti al lavoro e alla permanenza dell’uomo». Sentenza questa poi riformata dalla Corte d’appello di Firenze che, all’opposto, aveva escluso la responsabilità della banca giudicando l’alluvione un evento «estremamente improbabile, del tutto accidentale e sostanzialmente anormale». Da qui il ricorso per cassazione avanzato dai titolari delle cassette di sicurezza. La decisione della Suprema Corte di Cassazione. Innanzi alle contrastanti soluzioni dei due giudici di merito il primo interrogativo proposto in sede di cassazione era se, ai sensi dell’articolo 1839 c.c., «l’alluvione che sconvolse Firenze il 4 novembre 1966» potesse considerarsi o meno «caso fortuito». Questa la risposta del Giudice di Legittimità «che, come fenomeno della natura, si sia trattato di vis cui resisti non potest non è controverso in fatto né, del resto, potrebbe dubitarsene, essendo universalmente noto che quel cataclisma si abbatté improvviso sulla città dell’Arno con furia violenta, inarrestabile, devastatrice di pubbliche e private ricchezze». In questa direzione «la distinzione fondata sul profilo soggettivo, volto a stabilire per quale obbligazione un evento può dirsi fortuito e per quale no, tende progressivamente ad attenuarsi di fronte al peso via via soverchiante del profilo oggettivo fino a svanire del tutto allorché si è in presenza di un fenomeno che, scatenando in modo improvviso ed impetuoso le forze distruttive della natura, assuma proporzioni così immani e sconvolgenti da travolgere ogni baluardo, ogni difesa, ogni sforzo, anche il più intenso e tenace, posto a salvaguardia di uomini e cose. Quando si verifica una calamità del genere, le dimensioni oggettive e generalizzate dell’evento sono di tale imponenza da non lasciare più spazio a distinzioni per qualità di soggetti o per tipi di obbligazioni o per grado di diligenza, tutto e tutti restando coinvolti in quel damnum fatale che, nel suo raggio d’azione, si abbatte inesorabilmente su chiunque e dovunque. E tale fu l’alluvione del 4 novembre 1966». La condotta della banca nel servizio delle cassette di sicurezza. Le critiche mosse alla decisione di secondo grado si basavano essenzialmente sul presupposto che il servizio delle cassette di sicurezza è svolto a garanzia anche di eventi eccezionali e pericolosi quali manomissioni, incendi, allagamenti, terremoti . A carico dell’accorto banchiere avrebbe dovuto restare pertanto il dovere, ad avviso della parte ricorrente, di avvalersi di ogni risorsa offerta dalla scienza e dalla tecnologia moderna a scanso di tutti i possibili rischi e di qualunque entità essi fossero anomali o eccezionali per gli altri contraenti, ma non per lui. Tale argomentazione, che nella prospettiva della parte ricorrente avrebbe dovuto rappresentare il «punto di forza» su cui incardinare l’assunto dell’evitabilità del danno, ne costituiva invece – secondo il Giudice di Legittimità – il «punto più debole». Ad avviso difatti della Suprema Corte «se – come prescrive la Legge – la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata, è con riferimento a questa attività, non ad altre, che va riguardata l’abilità esigibile dal debitore per cui si potrà bensì pretendere che la prestazione promessa venga da lui eseguita a regola d’arte e, se del caso, alla stregua delle tecniche più aggiornate di quel settore di attività, ma non si potrà altresì pretendere che egli conosca e sperimenti, trasferendole nella sua attività professionale, tutte le possibili risorse tecnico-scientifiche di ogni settore, anche se il più diverso e lontano dal suo come è a dirsi della nave rispetto alla banca ». Sotto questa angolatura «ove per ognuno dei rischi contemplati l’acqua, il fuoco, il sisma, il furto , e per tutti contemporaneamente, si dovesse tener conto di ogni evento dannoso possibile e immaginabile, anche se improbabile o di remotissima probabilità, il servizio diventerebbe impossibile». Aggiungeva, con acume, la Corte di Cassazione che «ove poi, nell’impossibilità di apprestare una simultanea e illimitata difesa contro tutte le evenienze di tutti i rischi, la banca ne dovesse prescegliere uno o più, a preferenza ma a scapito dei rimanenti, per farne oggetto privilegiato di una speciale e assoluta sicurezza contro l’acqua anziché il fuoco, contro il sisma anziché il furto, contro l’uno piuttosto che l’altro o viceversa , l’adempimento del servizio risulterebbe sempre incerto e difettoso ciò perché una scelta del genere, che necessariamente crea scompensi nell’equilibrio di una difesa globale, potrebbe sempre giudicarsi sbagliata ed a posteriori arbitraria allorché l’evento dannoso che viene a realizzarsi appartenga a un tipo di rischio diverso da quello che fu inutilmente garantito sino alle soglie dell’ignoto. Con l’assurda conseguenza che, dovendosi prevedere tutti i potenziali pericoli ma non potendosi divinare quale fra questi si verificherà nella sua più anomala e disastrosa espressione, il fatto di avere la banca predisposto la massima sicurezza contro uno o più di essi, ma non contro tutti insieme attesa la già rilevata impossibilità , non la salverebbe mai, post factum, dalla censura di inesatto adempimento. Ecco perché, ferma restando la presunzione di responsabilità fino alla prova positiva del fortuito, la banca assolve bene il suo servizio né potrebbe assolverlo diversamente – quando appresta e custodisce locali idonei a garantire l’integrità delle cassette da tutte le offese interne e esterne che, secondo le circostanze, rientrano nell’area della normale prevedibilità – con esclusione, quindi, degli eventi straordinari ed eccezionali riconducibili alla vis cui resisti non potest». La sicurezza in senso «assoluto» non esiste. Osservava, infine, la Corte di Cassazione che pretendere che la «banca debba rispondere anche per gli eventi catastrofici, quando eventi del genere sono di regola esclusi persino dall’assicurazione articolo 1912 c.c. che pure è il tipico se non unico strumento di garanzia contro il fortuito, significa snaturare l’essenza del contratto de quo e attribuirgli una funzione che esso certamente non ha. Cioè quella sicurezza in senso assoluto che, da punto di vista della prevenzione, non può essere mai raggiunta da alcuno in nessun campo e tanto meno da chi come la banca non ne fa oggetto di specifica promessa, mentre, dal punto di vista della garanzia per la rivalsa dei danni, non sarebbe neanche compatibile con un tipo di responsabilità fondato pur sempre sulla colpa del debitore». D’altronde, «quella del banchiere non è una prestazione di garanzia, nel senso di assunzione del rischio altrui a prescindere dalla propria colpa, questa essendo il presupposto della responsabilità del debitore. Di garanzia, semmai, può parlarsi come modalità strumentale ad una prestazione di natura locatizia tale, in effetti, essendo l’elemento che qualifica la causa del contratto e ne spiega la disciplina giuridica». Vis cui resisti non potest. L’insegnamento appena richiamato della Suprema Corte si conferma ancora attuale. Sul tema dell’esclusione della responsabilità del custode per caso fortuito, v. recentemente, Cass., 7 gennaio 2016, numero 56 ove statuisce che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall'articolo 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale. Sulla qualificazione delle precipitazioni atmosferiche in termini di caso fortuito cfr. Cass., 24 settembre 2015, numero 18877 secondo cui l’eccezionalità ed imprevedibilità delle precipitazioni atmosferiche possono configurare caso fortuito o forza maggiore, idonei ad escludere la responsabilità per il danno verificatosi, solo quando costituiscano causa sopravvenuta autonomamente sufficiente a determinare l’evento. Sempre in tema di eventi atmosferici, si veda Cass., 13 febbraio 2015, numero 2878 che conferma Appello Firenze numero 1589 del 6 dicembre 2011 la quale ha escluso la responsabilità di Enel per l’interruzione di energia elettrica causata dall’eccessivo deposito di salmastro sugli isolatori delle linee dovuto ad agenti atmosferici eccezionali e imprevedibili con quella intensità ed estensione . Ancora in argomento, cfr. Cass., 17 dicembre 2014, numero 26545 ove conferma che possono integrare il caso fortuito o la forza maggiore precipitazioni di imprevedibile ed eccezionale gravità in quanto per caso fortuito deve intendersi un avvenimento imprevedibile, un quid di imponderabile che si inserisce improvvisamente nella serie causale come fattore determinante in modo autonomo dell'evento il carattere eccezionale di un fenomeno naturale, nel senso di una sua ricorrenza saltuaria anche se non frequente, non è quindi sufficiente, di per sé solo, a configurare tale esimente, in quanto non ne esclude la prevedibilità in base alla comune esperienza.