Il danno da riduzione della capacità lavorativa generica va risarcito come danno biologico

Gli effetti pregiudizievoli della lesione alla salute non danno luogo al danno patrimoniale da lucro cessante.

Il caso. Protagonista della vicenda è un ventenne che alla guida della propria bicicletta viene travolto da un motociclo. Il giovane si rivolge al Tribunale di Milano per ottenere il risarcimento del danno. Il giudice condanna i convenuti ovvero l'assicurazione e colui che era alla guida del motociclo al risarcimento del danno alla salute.Il ragazzo si rivolge ai giudici di appello per chiedere altresì il riconoscimento al risarcimento del danno da lucro cessante da diminuzione della capacità lavorativa. I giudici di meritorigettano però il gravame.Avverso tale sentenza il giovane presenta ricorso presso la Suprema Corte.Danno da riduzione dell'incapacità lavorativa risarcibile come danno biologico. Gli Ermellini della terza sezione di Cassazione civile respingono il ricorso del giovane. La Corte Suprema, con sentenza numero 4493 del 24 febbraio, esplicita il concetto emerso nella sentenza di secondo grado secondo cui il danno da riduzione dell'incapacità lavorativa generica, costituendo una lesione di un modo di essere del soggetto, si realizza in una menomazione dell'integrità psico-fisica risarcibile come danno biologico.I giudici, rilevando gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute per il soggetto leso, hanno affermato che i postumi permanenti di piccola entità, non essendo idonei ad incidere sulla capacità di guadagno, non pregiudicano la capacità lavorativa e rientrano invece nel danno biologico come menomazione della salute psicofisica della persona.Il che non significa che il danno biologico assorba anche la menomazione della generale attitudine al lavoro, giacché al danno alla salute resta pur sempre estranea la considerazione di esiti pregiudizievoli sotto il profilo dell'attitudine a produrre guadagni attraverso l'impiego di attività lavorativa ma solo che, se il grado di invalidità non consenta, per la sua entità o per il non attuale esercizio di attività lavorativa da parte del soggetto leso la vittima in questo caso ha solo 20 anni , una valutazione prognostica e dunque l'apprezzamento del lucro cessante, va privilegiato un meccanismo di liquidazione quello del danno alla salute capace di cogliere nella sua totalità il pregiudizio subito dal soggetto nella sua integrità psico-fisica.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 gennaio - 24 febbraio 2011, numero 4493Presidente Perden - Relatore AmatucciSvolgimento del processo1.- Tamponato, mentre era alla guida della propria bicicletta, dal motociclo condotto da A A. ed assicurato presso la Sai s.p.a. in seguito Fondiaria Sai s.p.a. , il ventenne F.R. agì giudizialmente per il risarcimento. Con sentenza numero 11464 del 2000 il tribunale di Milano condannò solidalmente i convenuti al pagamento di L. 44.914.000, oltre agli accessori, a titolo di risarcimento del danno alla salute subito dall'attore, che aveva riportato lesioni alla gamba destra dalle quali erano residuati postumi permanenti determinati nel 10% sotto il profilo del danno biologico. 2.- La corte d'appello di Milano ha respinto il gravame del F. volto al riconoscimento al risarcimento del danno da lucro cessante da diminuzione della capacità lavorativa generica e specifica. Ha ritenuto che il danno da riduzione dell'incapacità lavorativa generica, costituendo una lesione di un'attitudine o di un modo di essere del soggetto, non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanzia in una menomazione dell'integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico cfr., da ultimo, Cass., numero 15187/04 . Ed ha rigettato la censura con la quale l'appellante aveva sostenuto che la menomazione ad una gamba conseguente ad una frattura non poteva non incidere sulla sua futura occupazione, sui rilievi che l'esistenza di postumi permanenti ipotrofia dell'arto inferiore destro e positività alla manovra del cassetto in sede posteriore al ginocchio destro, comportante secondo il c.t.u. un'eventuale inabilità lavorativa generica del 12% non comporta in se stessa il diritto al risarcimento da riduzione della capacità di guadagno e che l'attore non aveva neppure indicato quale tipo di occupazione stesse cercando. 3.- Avverso la sentenza ricorre per cassazione il F. in persona del procuratore speciale Stefano Trotta, affidandosi a sei motivi cui resiste con controricorso la Fondiaria Sai s.p.a.Motivi della decisione1.-La decisione è censurata a col primo motivo, per violazione o falsa applicazione degli articolo 2059 c.c., 138 e 139 del d.lgs.vo numero 209 del 2005 codice delle assicurazioni per avere la corte d'appello inquadrato il danno da incapacità lavorativa generica nell'ambito del danno biologico, che dichiaratamente non concerne la capacità di produrre reddito, attenendo ad una lesione dell'integrità psicofisica che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato b col secondo, per violazione o falsa applicazione degli articolo 2043, 2056, 1223 e 1226 c.c., poiché, correlativamente, la riduzione della capacità lavorativa comporta solitamente anche una riduzione della retribuzione ed integra, dunque, un danno patrimoniale da determinarsi, anche equitativamente, secondo un giudizio prognostico sulle potenzialità ed attitudini del soggetto nella specie, straniero soggiornante in Italia, privo di adeguata formazione scolastica e professionale, in cerca di occupazione che poteva prevedersi di carattere manuale, comportante sforzi fisici c col terzo, per violazione o falsa applicazione dell'articolo 137 del d. lgs.vo numero 209 del 2005, per non avere la corte territoriale applicato il criterio del triplo della pensione sociale - mutuato dall'articolo 4, comma 3, della legge numero 39 del 19777 - ad un soggetto privo di reddito al momento della lesione, ma potenzialmente idoneo a produrlo d col quarto, per vizi della motivazione, per non avere la corte territoriale, una volta inquadrato il danno in questione nel danno biologico, apoditticamente affermato che la riduzione della capacità lavorativa generica integri un danno biologico e per non avere, allora, comunque liquidato in misura maggiore il danno biologico, considerando il maggiore sforzo e la maggiore usura connessi alla futura attività lavorativa e col quinto, per violazione o falsa applicazione degli articolo 2059, 2056, 1226 c.c., 138, comma 3. e 139, comma 3, d. lgs.vo numero 209 del 2005 per non essere stato elevato - onde non rendere concretamente irrisarcibile l'inabilità lavorativa generica stimata nel 12% dal c.t.u. - il grado percentuale di invalidità permanente posto a base del calcolo del danno biologico, ovvero incrementato il valore monetario del punto di invalidità f col sesto ed ultimo motivo di ricorso erroneamente indicato anch'esso come quinto a pag. 19 del ricorso , per violazione o falsa applicazione degli articolo 2697 e 2729 c.c., per essere stato rigettato anche il secondo motivo di appello col quale la sentenza di primo grado era stata censurata per non avere il tribunale liquidato il danno da incapacità lavorativa specifica sulla base del rilievo che l'appellante non aveva neppure indicato quale tipo di occupazione stesse cercando tanto in dissonanza rispetto all'indirizzo di legittimità secondo il quale, accertata la riduzione di non modesta entità della capacità lavorativa del soggetto, la diminuzione della capacità di guadagno in proiezione futura può essere presunta. E tanto poteva, sulla base dei dati di comune esperienza, essere senz'altro fatto nel caso di specie. 3.- I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la connessione che li connota, sono infondati. 3.1.- È certamente corretto che, com'è stato reiteratamente chiarito da epoca ormai risalente cfr., ex multis, Cass. 19.1.99, numero 475 Cass. 11.5.99, numero 4653, Cass. 12.7.2000, numero 9228, Cass. 10.8.2000, numero 10579, cui è allineata la giurisprudenza successiva , il danno biologico e quello che si riflette sul piano economico reddituale attengono a due distinte sfere di riferimento, dovendosi avere riguardo per il secondo alla riduzione della capacità di guadagno e per il primo, prevalentemente, alla gravità della inabilità. A tanto anzitutto consegue che la maggiore usura, fatica o difficoltà incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa definite come danno da lesione della cenestesi lavorativa che non incidano sul reddito della persona offesa neppure nel senso di perdita di una favorevole possibilità di incremento patrimoniale cosiddetta perdita di chance , ma comportino soltanto un maggiore sforzo per compiere le stesse attività svolte prima del sinistro o quelle prevedibili per il futuro, in quanto non risolventisi in una diminuzione patrimoniale ma in una compromissione dell'essenza biologica dell'individuo, vanno invece liquidate come danno alla salute ex multis. Cass., nnumero 2311/07. È del pari noto che la categoria concettuale della incapacità lavorativa generica, elaborata prima dell'individuazione di quella del danno alla salute al fine di evitare che il danneggiato privo di redditi di lavoro non conseguisse alcun risarcimento diverso da quello connesso al danno morale , non può essere utilizzata - ammesso che ancora conservi un'utilità individuante - per riconoscere in modo sostanzialmente automatico un danno patrimoniale da lucro cessante come conseguenza delle lesioni ex coeteris, Cass., numero 10074/10 , che possono non essere suscettibili di incidere sulla concreta attitudine del soggetto leso a produrre un reddito sia nel caso che egli già svolga un determinato lavoro, sia nel caso che ancora non eserciti un'attività lavorativa in tale secondo caso, la valutazione prognostica del giudice è tanto più agevole quanto maggiore è la gravità dei postumi, posto che un elevato grado di invalidità permanente è tendenzialmente idoneo ad incidere negativamente sulla capacità di guadagno del soggetto in relazione a pressoché ogni genere di lavoro. Fermo dunque che gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute del soggetto leso danno luogo ad un danno patrimoniale di lucro cessante in quanto ne eliminino o riducano la capacità di produrre reddito, s'è da tempo affermato che i postumi permanenti di piccola entità, non essendo idonei ad incidere sulla capacità di guadagno, non pregiudicano la capacità lavorativa e rientrano invece nel danno biologico come menomazione della salute psicofisica della persona cfr., tra le altre, Cass. nnumero 22639/98, 8066 e 13913 del 1993 . Il che non significa che il danno biologico assorba anche la menomazione della generale attitudine al lavoro Cass., numero 605 del 1998 , giacché al danno alla salute resta pur sempre estranea la considerazione di esiti pregiudizievoli sotto il profilo dell'attitudine a produrre guadagni attraverso l'impiego di attività lavorativa ma solo che, allorquando il grado di invalidità non consenta, per la sua entità o per il non attuale esercizio di attività lavorativa da riparte del soggetto leso, una valutazione prognostica e dunque l'apprezzamento del lucro cessante, va privilegiato un meccanismo di liquidazione quello del danno alla salute capace di cogliere nella sua totalità il pregiudizio subito dal soggetto nella sua integrità psico-fisica. L'affermazione della corte d'appello che il danno da riduzione dell'incapacità lavorativa generica, costituendo una lesione di un'attitudine o di un modo di essere del soggetto, non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanzia in una menomazione dell'integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico è, dunque, così come esposta, erronea in diritto ma, in quanto suscettibile di essere letta come impropriamente sintetica espressione degli approdi sopra indicati, comporta solo l'esigenza di una correzione della motivazione nei sensi appena chiariti e non rivela, in se stessa, un errore di diritto con effetti rescindenti. 3.2.- Quanto al mancato aumento - nell'ottica sopraindicata - dell'entità del risarcimento del danno biologico, non sono indicati gli elementi dai quali dovrebbe potersi evincere che, nel determinarlo, il giudice di tali principi non abbia tenuto conto. Mentre, per quanto concerne il mancato ricorso alle presunzioni in ordine all'incidenza dei postumi della frattura alla gamba su un lavoro di carattere manuale con conseguente riconoscimento della risarcibilità del danno da diminuita capacità lavorativa specifica , va detto che la sentenza impugnata non s'è discostata dal principio secondo il quale il tipo di lavoro che avrebbe svolto il danneggiato nella specie di circa 20 anni deve essere quantomeno dal medesimo indicato, con contestuale allegazione delle circostanze che autorizzino l'inferenza induttiva cfr., tra le altre, Cass., numero 20321/05 . La quale si assume in questa sede come impropriamente omessa senza la contestuale affermazione che le circostanze che avrebbero in ipotesi potuto autorizzarla fossero state puntualmente prospettate. 4.- Il ricorso è respinto. Le spese seguono la soccombenza.P.Q.M.LA CORTE DI CASSAZIONErigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in Euro 2.700, di cui 2.500 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori dovuti per legge.