«Il panorama è mio e guai a chi me lo tocca». Ma il divieto di costruire deve essere chiaro

In tema di interpretazione del contratto ed ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa.

Il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va poi verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al rispettivo coordinamento a norma dell’articolo 1363 c.c. e con riguardo a tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni parte e parola che la compone, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato. In materia di interpretazione del contratto, il comportamento tenuto dalle parti successivamente alla conclusione del contratto stesso può rilevare ai fini interpretativi solo qualora si tratti di un comportamento comune ad entrambe, al fine di meglio stabilire quale fosse la loro comune intenzione in ordine al contenuto del contratto, mentre a questo scopo non può essere preso in considerazione il comportamento di uno solo dei contraenti, successivo alla conclusione del contratto. Con la sentenza numero 5045 del 28 febbraio 2013, la Corte di Cassazione si sofferma su alcune questioni in tema di interpretazione degli atti negoziali, con particolare riferimento, nel caso di specie, alla verifica dell’intenzione delle parti desunta da un accordo transattivo il quale prevedeva, tra l’altro, l’istituzione di una servitù altius non tollendi. Il caso. La sentenza in commento risolve un contenzioso in essere tra i proprietari di due appartamenti, uno dei quali si affaccia sul solaio dell’altro e che ha tutto l’interesse a mantenere la visuale panoramica sul Golfo di Napoli. Per tale scopo, le parti concordano che sul solaio sul quale si affaccia l’appartamento con vista panoramica si potranno effettuare solo pochi e limitati interventi, proprio per non impedire la visuale panoramica come testè descritta. E la controversia nasce proprio in relazione ai lavori ed alle costruzioni che sono possibili, in forza di tale accordo, sul suddetto solaio. All’esito del giudizio di Cassazione ed a risoluzione di una controversia che aveva avuto esiti parzialmente contrastanti nei giudizi di merito, il S.C. ha rilevato che gli unici vincoli imposti alle parti dall’accordo in questione erano relativi alla particolare recinzione del solaio, tale da garantire la visuale panoramica come descritta essendo questa, infatti, l’intenzione delle parti. Le regole dell’interpretazione nel codice civile. Le regole legali di ermeneutica contrattuale sono elencate negli articolo 1362-1371 c.c. secondo un ordine gerarchico conseguenza immediata è che le norme strettamente interpretative, dettate dagli articolo 1362-1365 c.c., precedono quelle interpretative integrative, esposte dagli articolo 1366-1371 c.c. e ne escludono la concreta operatività quando la loro applicazione renda palese la comune volontà dei contraenti da questo principio di ordinazione gerarchica o gradualismo delle regole ermeneutiche, nel cui ambito il criterio primario è quello esposto dal comma 1 dell’articolo 1362 c.c., vale a dire il criterio dell’interpretazione letterale, consegue ulteriormente che qualora il giudice del merito abbia ritenuto che il senso letterale delle espressioni impiegate dagli stipulanti riveli con chiarezza e univocità la loro volontà comune, così che non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti, l’operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente compiuta, dovendosi far ricorso ai criteri interpretativi sussidiari solo quando i criteri principali significato letterale delle espressioni adoperate dai contraenti, collegamento logico tra le varie clausole siano insufficienti alla identificazione della comune intenzione stessa. Interpretazione e nomen iuris i poteri del giudice. Nel procedimento di qualificazione ed interpretazione del contratto, il giudice di merito non è vincolato dal nomen iuris che ad esso hanno attribuito le parti, pur dovendo tener conto anche di questo dato, ma deve ricercare ed interpretare la concreta volontà dei contraenti stessi, avuto riguardo all’effettivo contenuto del rapporto e facendo applicazione delle regole ermeneutiche dettate dagli articolo 1362 ss. c.c In un caso, in particolare, il S.C. ha ritenuto congrua la motivazione dei giudici di merito i quali, a fronte di un contratto denominato dalle parti come volto alla costituzione di diritti temporanei di superficie e di servitù di passaggio, hanno ritenuto di qualificarlo come contratto costitutivo di un diritto personale di godimento, sulla base sia della durata temporanea del rapporto, sia della rilevanza dell’attività commerciale che il concessionario avrebbe dovuto svolgere sul fondo, la cui mancanza in base al contratto avrebbe comportato la risoluzione del rapporto. La transazione quando è valida? Il S.C. esamina, sotto diversi profili, la transazione raggiunta dalle parti che contiene, tra l’altro, la servitù di altius non tollendi. In linea di principio, perché una transazione sia validamente conclusa, è necessario, da un lato, che essa abbia ad oggetto una res dubia, e, cioè, che cada su un rapporto giuridico avente, almeno nella opinione delle parti, carattere di incertezza, e, dall’altro, che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio, venutasi a creare tra loro, i contraenti si facciano delle concessioni reciproche l’oggetto della transazione, peraltro, non è il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o può dar luogo, e che le parti stesse intendono eliminare mediante reciproche concessioni, che possono consistere anche in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese, in modo da realizzare un regolamento di interessi sulla base di un quid medium tra le prospettazioni iniziali. Nella transazione c.d. «conservativa», con cui le parti si limitano a regolare il rapporto preesistente mediante reciproche concessioni, senza crearne uno nuovo come avviene invece nel caso di transazione c.d. «novativa» , il rapporto che ne discende è comunque regolato dall’accordo transattivo e non già da quello che in precedenza vincolava le parti medesime, con la conseguenza che la successiva scoperta di inadempimenti non rilevati al momento della transazione può essere eventualmente fatta valere con l’impugnazione per errore dell’accordo transattivo, siccome rilevante ove abbia ad oggetto il presupposto della transazione e non già le reciproche concessioni. L’interpretazione della transazione come e perché. In tema di interpretazione della volontà delle parti, all’accordo conciliativo di una controversia si applicano le norme sulla transazione, tra cui l’articolo 1967 c.c., con la conseguenza che per l’individuazione dell’oggetto di essa, ed in particolare della prestazione cui si è obbligato uno dei contraenti, possono soccorrere soltanto le regole ermeneutiche stabilite dagli articolo 1362 seg. c.c., con esclusione di dati interpretativi che non abbiano riferimento nel testo scritto, ivi compresi i fatti notori. La servitù altius non tollendi la tutela anche della vista panoramica. Il caso di specie, come visto, attiene ai limiti derivanti da un accordo raggiunto tra due soggetti in ordine ai possibili lavori di rifacimento o ampliamento di un terrazzo di un appartamento, sul quale si affaccia un altro appartamento ed il cui proprietario vuole riservarsi di godere il panorama sul Golfo di Napoli. Secondo la giurisprudenza, infatti, la panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell’ambiente e dalla visuale che si gode da certo posto che può trovare tutela nella servitù altius non tollendi, non anche nella servitù di veduta, che garantisce il diritto affatto diverso di guardare e di affacciarsi sul fondo vicino. In tema di servitù altius non tollendi, in particolare, il contenuto del diritto si concreta nel dovere del proprietario del fondo servente di astenersi da qualunque attività edificatoria che muti l’altezza del proprio edificio, quale che sia in concreto l’entità della compressione o riduzione del vantaggio al fondo della detta attività in tema di servitù, infatti, il concetto di utilitas può comprendere ogni vantaggio, anche di natura non economica – come, infatti, può essere quello di riservarsi una veduta panoramica o come quello di assicurare semplicemente una maggiore amenità - e, pertanto, va tutelata ogni forma di compressione o ingerenza da parte di chiunque, con il solo limite del divieto di atti emulativi e salva l’eventuale rilevanza dell’entità del pregiudizio al solo fine della quantificazione del risarcimento del danno ove richiesto. Nel caso di specie, come vista, la controversia era relativa a quali interventi si potevano effettivamente realizzare, avendo a mente l’interesse delle parti e lo scopo perseguito dalla transazione siglata dalle medesime.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 gennaio - 28 febbraio 2013, numero 5045 Presidente Triola – Relatore Scalisi Svolgimento del processo G G. con atto di citazione del 21 settembre 1999 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Napoli, D.M.L. e, premesso che l’appartamento di sua proprietà, sito in omissis affacciava sul solaio di copertura dell'appartamento di proprietà della convenuta, che il 27 giugno 1990 esse parti avevano sottoscritto una transazione con la quale erano stati precisati i limiti della servitù altius non tollendi e che la convenuta si era impegnata a realizzare una ringhiera di recinzione della proprio terrazzo che non impedisse la vista che si godeva dall'appartamento G. . Tuttavia tali accordi erano stati violati perché la D. aveva realizzato un tiraggio a muratura piena di altezza superiore alla ringhiera e della larghezza di circa 50 cm. Installando un condizionatore d'aria ed un impianto di riscaldamento ad elementi radianti solari limitativi della veduta, aveva apposto dei vasi e delle vasche con arbusti destinati a costituire una barriera. Ciò premesso, Gabriele Golia chiedeva il ripristino dello stato dei luoghi ed il risarcimento danni. Si costituiva D.M.L. deducendo che la scrittura privata richiamata dall'attrice non conteneva alcuna costituzione di servitus altius non tollendi, essendo previsto unicamente l'impegno d'installare un particolare tipo di ringhiera. Né il diritto di servitù predetta risultava dedotto quale diritto transatto. Evidenziava, infine, che le opere eseguite erano rappresentate unicamente da piante ornamentali che non superavano l'altezza della ringhiera, mentre le altre opere non riguardavano essa comparente. Il Tribunale di Napoli con sentenza numero 5653 del 2002 riteneva non costituita alcuna servitù e nella specie altius non tollendi, mancando ogni sicura indicazione non solo al fondo servente e a quello dominante, ma anche all'estensione ed alla specialità del peso gravante sul presunto fondo servente affermava che oggetto immediato della transazione era stato l'obbligo di costituire la ringhiera e di impegnarsi all'eventuale ricostruzione secondo determinati parametri nonché l'attribuzione all'attore della possibilità attuale e futura di godere della vista panoramica sul omissis attraverso una condotta negativa - non facere - alla quale si impegnava il D. . Considerato che sussisteva le opere denunciate dall'attore che violavano gli impegni assunti con la transazione, condannava il D. alla rimozione delle stesse. Avverso la predetta sentenza proponeva appello davanti alla Corte di Appello di Napoli, M.L D. , deducendo l'erronea interpretazione del contenuto della scrittura privata del 27 giugno 1990, la mancata violazione dei patti contrattuali relativa alle piante ai vasi ed agli arbusti esistenti sulla proprio porzione del terrazzo, il mancato assolvimento dell'onere della prova del fatto costitutivo della domanda e della legittimazione passiva del convenuto chiedeva, pertanto, l'integrale riforma della sentenza impugnata. Si costituiva in giudizio G G. chiedendo il rigetto dell'avverso gravame. La Corte di Appello di Napoli con sentenza numero 250 del 2006 accoglieva parzialmente l'appello e in riforma dell'impugnata sentenza limitava la condanna della D. alla sola rimozione dei vasi e delle vasche contenenti arbusti, dichiarava compensate le spese del giudizio. A sostegno di questa decisione la Corte napoletana osservava che l'accordo transattivo aveva inteso assicurale che non venisse impedita la vista goduta dall'appartamento G. , pertanto dovevano ritenersi vietate tutte quelle opere che, ancorché inamovibili, fossero connotate dalla permanenza e che ostacolavano la vista panoramica sul OMISSIS non vi era alcuna prova che il tiraggio in muratura piena il condizionatore d'aria, l'impianto di riscaldamento ad elementi radianti solari fossero stati apposti sulla porzione di terrazzo appartenente alla D. . La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da D.M.L. con ricorso affidato a due motivi. G.G. ha resistito con controricorso formulando, altresì, ricorso incidentale affidato a cinque motivi. M.L D. ha resistito al ricorso incidentale con controricorso. Motivi della decisione In via preliminare ai sensi dell'articolo 335 c.p.c. i ricorsi, principale e incidentale vanno riuniti perché proposti ambedue contro la stessa decisione. A.- Ricorso principale. 1.- M.L D. lamenta a con il primo motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1362 cod. civ. in relazione all'articolo 360 numero 3 cpc. b con il secondo motivo, l'omessa e insufficiente motivazione in relazione all'articolo 360 numero 5 cpc. a Avrebbe errato la Corte napoletana, secondo la ricorrente, nell'aver ritenuto previsto nell'accordo transattivo l'obbligo della D. alla rimozione dei vasi e vasche contenenti arbusti, considerato che la scrittura privata intercorsa tra essa ricorrente e G. imponeva soltanto di recingere il terrazzo di copertura dell'immobile di sua proprietà con ringhiere del tipo e delle dimensioni che risultavano da due disegni eseguiti dall'Arch. P.V. e che le ringhiere sarebbero state apposte sui parapetti esistenti che non potevano essere sopraelevati. Specifica la ricorrente che, in ragione dell'articolo 1362 cod. civ. e comunque, in ragione dei principi che governano l'interpretazione del contratto la Corte napoletana, non avrebbe dovuto attribuire al contratto transattivo, come invece avrebbe fatto, un contenuto più ampio e, comunque, diverso da quello manifestato dal dato letterale. b secondo la ricorrente, altresì, le argomentazioni formulate dalla Corte di Appello di Napoli in ordine all'illegittimità delle piante in adiacenza alla ringhiera sarebbero illegittime, non solo perché avrebbero violato i principi in tema di interpretazione, ma anche perché non motivate in modo adeguato e sufficiente. In particolare, la Corte napoletana - sempre a dire della ricorrente - avrebbe omesso integralmente di motivare le ragioni per le quali il mero dato letterale dell'accordo non fosse sufficiente a comprendere la reale volontà delle parti, affermando semplicemente che le obbligazioni a carico dell'odierna ricorrente fossero da ritenersi più generali rispetto all'apposizione della ringhiera e configuranti come obbligo di non facere. 1.1.- Entrambi questi motivi f vanno esaminati congiuntamente, per la loro innegabile connessione tanto che il secondo si presenta come un'ulteriore esplicazione del primo, ed entrambi sono infondati. 1.2.- Va qui chiarito che., ai sensi dell'articolo 1362 cod. civ., per interpretare il contratto, è necessario identificare la comune intenzione delle parti cioè il sistema degli interessi, ovvero, in sintesi, lo scopo pratico, che le parti hanno inteso affidare al programma negoziale. Tale ricerca va effettuata sulla base senso letterale delle parole adoperate e del comportamento complessivo, delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto. L'elemento letterale e quello del comportamento delle parti devono porsi, pertanto, in posizione paritaria, tanto che l'interprete non può sottrarsi a tale duplice indagine allegando una pretesa chiarezza del solo significato letterale del contratto. Individuato il sistema degli interessi consegnato al contratto, l’interprete dovrà identificare il programma negoziale cui le parti hanno affidato la realizzazione di quel sistema di interessi, ovvero i diritti e gli obblighi attraverso i quali le parti hanno ritenuto di conseguire lo scopo contrattuale prefigurato. Alla luce di questi principi appare del tutto corretto l'iter logico seguito dalla Corte napoletana per ritenere che l'accordo transattivo contenesse il divieto di quelle opere che, ancorché non inamovibili, impedissero al G. di vedere il panorama che poteva essere goduto dal suo appartamento. Come ha avuto modo di evidenziare la Corte napoletana la comune volontà delle parti evidenziata dal dato letterale e dalla stessa ratio inferibile dall’intercorsa convenzione era nel senso di non impedire la vista goduta dall'appartamento del G. prevedendo che la D. recingesse il proprio terrazzo unicamente con una particolare ringhiera la cui larga trama lasciasse vedere il retrostante panorama. In altri termini, l'interesse tutelato del G. non era certo quello che controparte recintasse il proprio terrazzo, ma che non venissero realizzate opere, necessarie all'affaccio, che manomettessero o eliminassero del tutto la panoramicità predetta. Pertanto, il contenuto dell'obbligazione riportata dall'accordo transattivo, diversamente da quanto ritiene la ricorrente, è essenzialmente negativo del non fare più o altro di quanto specificamente previsto. Il contenuto negativo dell'obbligazione concordata, per altro, è coerente con la comune intenzione delle parti e non può che rappresentare la specificazione del contenuto positivo della stessa obbligazione quello di costruire solo e semplicemente quel tipo di ringhiera esattamente concordata. B.- Ricorso incidentale. 2.- Con i primi due motivi del ricorso incidentale G.G. lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 345 cpc. nonché la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 116 cpc. a Avrebbe errato la Corte napoletana, secondo il ricorrente nel non aver considerato nuova e, dunque, inammissibile l'eccezione sollevata dalla D. secondo la quale il tiraggio in muratura piena, il condizionatore d'aria e l'impianto di riscaldamento ad elementi radianti fossero stati installati sulla porzione di terrazzo che non le appartenevano. In particolare, la Corte napoletana, secondo il ricorrente avrebbe effettuato un'errata valutazione delle risultanze processuali sotto un duplice profilo a non avrebbe tenuto conto che le prove esibite agli atti erano più che sufficienti per smentire la tardiva eccezione dell'appellante b avrebbe dato eccessiva importanza ad una frase insignificante e cioè alla frase contenuta nella comparsa di risposta di primo grado della D. secondo cui le altre opere le opere di cui si dice non riguardavano la comparente, trascurando totalmente il comportamento processuale della convenuta che in tutto il giudizio di primo grado non avrebbe minimamente contestato le circostanze di fatto poste a fondamento della domanda. b E di più, secondo il ricorrente, la Corte napoletana oltre a violare l'articolo 345 cpc, avrebbe violato i principi che presiedono alla valutazione della prova, travisando in sostanza le risultanze processuali. L'articolo 116 cpc non parla di libero convincimento del giudice, ma di prudente apprezzamento e ciò significa che la discrezionalità del giudice nel giudicare le prove acquisite non è una discrezionalità assoluta, ma deve essere esercitata in ossequio alla clausola generale formulala in termini di prudenza la quale rimanda a generici criteri di ragionevolezza del giudizio. 2.1.- Entrambi i motivi sono infondati. La Corte napoletana ha, intanto, correttamente escluso che l'eccezione relativa al non esistenza delle opere di cui si dice nella parte di terrazzo di proprietà della D. fosse stata proposta per la prima volta in appello perché l'affermazione della D. contenuta nell'atto di risposta e costituzione nel primo giudizio richiamata dalla stessa sentenza impugnata le altre opere non riguardano la comparente non lasciava spazio a dubbi e, ancor di più, se posta - come bene ha fatto la Corte napoletana – in correlazione all'intera difesa sviluppata con l’atto di risposta di primo grado, con il quale la D. escludeva le legittimità delle singole richieste del G. e per escludere la legittimità della richiesta della rimozione delle opere di cui si dice specificava che quelle opere non esistevano sul proprio terrazzo. Né apprezzabili sono le affermazioni del G. secondo cui la Corte di Appello di Napoli non avrebbe considerato l'ambiguità della frase appena indicata, né il comportamento processuale della D. perché esprimono considerazioni personali e opinioni non fondate su specifiche evidenze processuali. 2.2.- Logica, ponderata, adeguata e, soprattutto, coerente con i principi che presiedono alla valutazione della prova, è la decisione della Corte napoletana di escludere che G. avesse dato la prova che il tiraggio in muratura piena, il condizionatore d'aria e l'impianto di riscaldamento ad elementi radianti fossero stati installati sulla porzione di terrazzo di proprietà della D. , considerato che è fondata essenzialmente su una documentazione presentata dallo stesso G. . La Corte di merito ha avuto modo di evidenziare a che dalla Relazione tecnica di parte attrice cioè del sig. G. emergeva che la veduta prospettiva era impedita da piante e siepi posti sul lastrico solare del fabbricato che si fronteggia b che nello schizzo planimetrico e nel grafico di prospetto allegati alla succitata Relazione non erano presenti le opere di cui si dice. E di più, quanto evidenziato dalla Relazione peritale appena richiamata veniva confermato anche dall'analisi delle effigi fotografiche che la stesso G. aveva provveduto a depositare. Al riguardo la sentenza impugnata precisa che né le prodotte effigi fotografiche lasciano cogliere l'effettiva consistenza delle dette opere o dell'area nella quale risultano allocate . Pertanto, non è rilevabile alcun vizio nella pronuncia impugnata, considerato pure che la valutazione delle prove della Corte napoletana, rimane convincente anche alla luce dei rilievi svolti dal G. perché comunque, quei rilievi sono orientati a sminuire il valore probatorio delle prove acquisite, con considerazioni personali, ma non anche ad indicare prove certe che il Giudice non avrebbe valutato. Né è pensabile - come invece ritiene il ricorrente incidentale, che la Corte napoletana non abbia valutato tutte le fotografie che la parte ha deposito considerato che la sentenza impugnata si riferisce, complessivamente, alle prodotte effigi fotografiche . 3.- Il ricorrente, del ricorso incidentale, lamenta ancora a con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 115 cpc sulla disponibilità della prova. Avrebbe errato la Corte napoletana nell'aver ritenuto che l'attore/appellato G. non avrebbe assolto all'onere probatorio su di lui gravante. Piuttosto, ritiene il ricorrente, non solo aveva offerto la prova richiesta con le fotografie che aveva depositato ma aveva chiesto una consulenza tecnica che non gli è stata rifiutata. b con il quarto motivo del ricorso incidentale, il ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 360 numero 5 per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio. Il ricorrente incidentale ritiene che, in ordine a tutti i motivi di doglianza esposti in precedenza, la Corte napoletana si sarebbe espressa in modo insufficiente e contraddittorio. 3.1.- Entrambi questi motivi vanno esaminati congiuntamente per la connessione che esiste tra gli stessi, ed, entrambi sono infondati. Nel caso in esame la Corte napoletana ha rispettato integralmente il disposto di cui all'articolo 115 cpc, considerato che è principio più volte affermato anche da questa Corte che il giudice deve decidere la causa in base alle sole prove che siano sottoposte al suo esame in sede di decisione, restando nello esclusivo ed incoercibile potere dispositivo delle parti ogni valutazione in ordine agli atti da sottoporre all'esame del giudicante al momento della decisione stessa, mentre la consulenza tecnica d'ufficio è mezzo istruttorio e non una prova vera e propria sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell1 ausiliario. Nel caso in esame la Corte napoletana ha valutato le prove sottoposte al suo esame e ha ritenuto di escludere l'ammissione della consulenza tecnica perché avrebbe avuto finalità sostanzialmente esplorative. 4.- Con il quinto motivo il ricorrente incidentale lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 91 cpc. sulla condanna alle spese del giudizio, nonché la carenza di motivazione. Secondo il ricorrente incidentale avrebbe errato la Corte napoletana nell'aver compensato le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito perché anche con la limitazione della condanna disposta dalla Corte di Appello di Napoli il G. sarebbe rimasto pur sempre vincitore. La sua domanda in sostanza sarebbe stata accolta anche se la condanna alla rimozione è stata dalla Corte limitata alle piante e non anche ai manufatti. E, comunque, ritiene il ricorrente la motivazione adottata dalla Corte di appello l'esito del giudizio giustifica appare insufficiente, contraddittoria e illogica. 4.1.- Anche questa censura non ha ragion d'essere e non può essere accolta perché la decisione della Corte di Appello in ordine alle spese di lite non è censurabile in cassazione se adeguatamente motivata e nel caso in esame la Corte napoletana ha, in modo chiaro e adeguato spiegato che la compensazione delle spese era giustificata dall'accoglimento parziale dell'appello. In definitiva, entrambi i ricorsi vanno rigettati. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese giudiziali del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte riuniti i ricorsi, rigetta entrambi e compensa le spese giudiziali tra le parti.