Liberalizzazioni al traguardo: nelle parafarmacie si venderanno anche i farmaci di fascia C

Non più solo farmaci di automedicazione o che non richiedono la certificazione del medico, ma d’ora innanzi, nelle parafarmacie ubicate nei centri con più di 12.500 abitanti e al di fuori delle aree rurali come individuate dai piani sanitari regionali, potranno essere venduti anche i farmaci di tipo “C”, ovvero quelli che, pur soggetti a prescrizione, non comportano rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale.

Ma sarà indispensabile che i locali siano in possesso dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi che saranno fissati con decreto del Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro il 25 febbraio di quest’anno termine peraltro non perentorio . Ciò in quanto la vendita dei farmaci dovrà avvenire nell’ambito di un apposito reparto delimitato, rispetto al resto dell’area commerciale, in modo da garantire l’inaccessibilità ai farmaci da parte del pubblico e del personale non addetto, negli orari sia di apertura che di chiusura. Non sarà consentita, tuttavia, la vendita di tutti i farmaci di tipo C, bensì soltanto quelli che saranno espressamente autorizzati dall’Agenzia del farmaco. Infatti, in base alla legge di conversione del dl 201/2011, la suddetta Agenzia è delegata ad individuare l’elenco dei farmaci la cui vendita non sarà comunque consentita nelle parafarmacie e lo dovrà fare anche questo termine peraltro non è perentorio entro il 25 aprile p.v. E’ questo che dispone l’articolo 32, d.l. 6 dicembre 2011, numero 201 «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» GU numero 284 del 6 dicembre 2011, Suppl. Ordinario numero 251 , convertito con modificazioni dalla L. 22 dicembre 2011, numero 214 in S.O. numero 276, relativo alla G.U. 27 dicembre 2011, numero 300. A prescindere dai limiti posti, elenco dei farmaci e requisiti tecnici dei locali la notizia più rilevante contenuta nel d.l. numero 201/2011 è che con il decreto legge in questione, e precisamente con il comma 3 dell’articolo 32 viene, per la prima volta, introdotto nell’ordinamento giuridico il termine parafarmacia per definire quegli esercizi di vendita alle cui dipendenze o il cui titolare è in possesso di laurea in farmacia e che possono essere aperti senza alcun vincolo, contrariamente a quanto invece avviene per l’apertura di una farmacia assoggettata a particolari vincoli. 2006 anno di nascita delle parafarmacie. Nate dal cappello delle c.d. lenzuolate del 2006 articolo 5, d.l. numero 223/2006 le parafarmacie si sono via via estese fino a rappresentare una vera e propria alternativa alla farmacia tradizionale, tanto da indurre il Tar Calabria, sent. 900/2011 a chiarire che solo le farmacie possono utilizzare la croce come insegna. Sta di fatto che il terzo comma dell’articolo 32 prevede che, d’ora innanzi, «le condizioni contrattuali e le prassi commerciali adottate dalle imprese di produzione e di distribuzione dei farmaci» non dovranno creare discriminazioni tra le due tipologie. Nel senso che l’eventuale difformità quanto ai tempi, alle quantità ed ai prezzi di fornitura costituiranno casi di pratica commerciale sleale e, in quanto tale, sanzionabile. Le indicazioni dell’Antitrust. L’articolo 32, d.l. numero 201/2011, ha compiuto timidi passi in direzione di una apertura effettiva del mercato della vendita dei farmaci di fascia C, rinviando a un decreto ministeriale la definizione di aspetti essenziali della nuova disciplina. Su tale terreno occorre procedere con maggiore incisività. La liberalizzazione della vendita dei farmaci in questione si andrebbe ad aggiungere a quella dei farmaci OTC realizzata con il d.l. numero 223/2006, convertito in legge dalla l. 248/2006, e che ha prodotto risultati particolarmente interessanti sia sotto il profilo della possibilità di scelta per il consumatore oltre 250 corner nella grande distribuzione e circa 5.000 parafarmacie che sotto il profilo dei prezzi sconti medi del 10% anche nel canale delle farmacie, con punte del 30-40% nei corner della grande distribuzione che, diversamente dalle parafarmacie, possono sfruttare il potere di acquisto delle grandi catene, spesso in grado di saltare la distribuzione all’ingrosso e comunque di sfruttare le economie di scala dal lato della domanda . Se la liberalizzazione degli OTC ha reso contendibile circa l’8-10% delle vendite delle farmacie, la liberalizzazione di tutti i farmaci di fascia C aggiungerebbe un altro 12-15% all’alveo dei prodotti disponibili anche in punti vendita diversi, con un evidente effetto di potenziale, ulteriore riduzione dei prezzi, in virtù della accresciuta concorrenza nella distribuzione. E’ quanto contenuto nella segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato inviata, ai sensi degli articolo 21 e 22, l. 10 ottobre 1990, numero 287, in merito a Proposte di riforma concorrenziale ai fini della Legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2012 ed inviata ai presidenti di Camera e Senato, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per lo sviluppo economico e infrastrutture e trasporti. Il quadro di riferimento normativo. Come si è già avuto modo di accennare, la vendita dei farmaci al di fuori delle farmacie è stata introdotta dal d.l. numero 223/2006 e precisamente con l’articolo 5 «Interventi urgenti nel campo della distribuzione di farmaci» il quale dispone che «1. Gli esercizi commerciali di cui all'articolo 4, comma 1, lettere d , e e f , del decreto legislativo 31 marzo 1998, numero 114, possono effettuare attività di vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione, di cui all'articolo 9-bis del decreto-legge 18 settembre 2001, numero 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, numero 405, e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica, previa comunicazione al Ministero della salute e alla regione in cui ha sede l'esercizio e secondo le modalità previste dal presente articolo. E' abrogata ogni norma incompatibile. 2. La vendita di cui al comma 1 e' consentita durante l'orario di apertura dell'esercizio commerciale e deve essere effettuata nell'ambito di un apposito reparto, alla presenza e con l'assistenza personale e diretta al cliente di uno o più farmacisti abilitati all'esercizio della professione ed iscritti al relativo ordine. Sono, comunque, vietati i concorsi, le operazioni a premio e le vendite sotto costo aventi ad oggetto farmaci». Il comma 1 del citato articolo 5 inizia con l’inciso «Gli esercizi commerciali di cui all'articolo 4, comma 1, lett. d , e e f , d.lgs. 31 marzo 1998, numero 114, possono effettuare attività di vendita al pubblico []». In queste prime righe è disegnato l’ambito di applicazione della disposizione introdotta cinque anni fa dal d.l. numero 223/2006. Il riferimento alle lett. d , e , f , è alle diverse tipologie di esercizi di vendita di vicinato, medio e grande dettaglio previsti dalla legge di riforma del commercio del 1998 che porta il nome dello stesso ministro Bersani promotore del suddetto d.l. numero 223. In sostanza, la vendita dei farmaci può essere effettuata in tutti i negozi al minuto, qualsiasi sia la loro dimensione. Sono esclusi, in pratica, gli esercizi che commercializzano all’ingrosso, ovvero chi rivende la merce ad altri commercianti, siano essi grossisti o dettaglianti o ad utilizzatori professionali o, ancora, ad altri utilizzatori in grande, quali comunità, caserme e simili. E’ esclusa la vendita su aree pubbliche così come è esclusa la vendita mediante le c.d. forme speciali di vendita, catalogo, internet, o tv, per intenderci . E’ esclusa anche negli spacci per i dipendenti di enti o imprese, pubblici o privati, di militari, di soci di cooperative di consumo, insomma in tutti quei luoghi che non possono essere considerati canali tradizionali di vendita e che il decreto legislativo 114/1998 individua puntualmente negli articolo 16, 17, 18 e 19 del Titolo VI, «Forme speciali di vendita al dettaglio». Il legislatore nazionale non ha voluto ci siano equivoci e così ha, in maniera minuziosa, chiaramente individuato le due tipologie di farmaci la cui vendita è consentita in qualsiasi esercizio commerciale, al di fuori delle farmacie. Come ebbe modo di puntualizzare il Ministero della salute con la circolare numero 3 del 3 ottobre 2006, all’indomani quindi dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, si tratta «dei farmaci industriali, non soggetti a prescrizione medica, comprendenti medicinali da banco o di automedicazione e i restanti medicinali non soggetti a prescrizione medica menzionati agli articolo 87, comma 1, lett. e e 96, d.lgs. 24 aprile 2006, numero 219». Il Ministero, nella suddetta circolare precisò anche che la possibilità di vendita in esercizi diversi dalle farmacie non riguardava, comunque, le preparazioni medicinali non industriali, anche qualora le formule officinali siano state preparate in una farmacia e, per composizione, risultino vendibili senza ricetta medica. Nessun divieto invece, precisava anche il Ministero, per i medicinali omeopatici quando sono classificati come medicinali vendibili senza presentazione di ricetta medica. Insomma, più semplicemente, al di fuori delle farmacie è consentita la vendita di 1. farmaci da banco o di automedicazione, comunemente contraddistinti dall’acronimo OTC Over The Counter 2. farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica, denominati SOP senza obbligo prescrizione A dire il vero, parrebbe più una distinzione formale che sostanziale in quanto l’unico elemento distintivo tra le due categorie sembrerebbe essere che per i primi è consentita la pubblicità che, invece, è inibita per i prodotti farmaceutici la cui vendita è comunque possibile anche senza prescrizione medica. Si può pensare sia questa la naturale evoluzione della disposizione alla quale lo stesso articolo 5 fa riferimento, ovvero l’articolo 9- bis , d.l. 18 settembre 2001, numero 347. Questa disposizione, infatti, ha introdotto già per le farmacie la norma che per i farmaci di automedicazione è ammesso il libero e diretto accesso da parte dei cittadini. Ma questa è la prima delicata questione da prendere in considerazione che il Governo ha cercato di risolvere in occasione del decreto “Salva-Italia”. Self cure o self service? Per capire con esattezza quali sono i prodotti la cui vendita è oggi liberamente consentita, è indispensabile la conoscenza delle diverse disposizioni che regolano il comparto e che nel tempo si sono stratificate nell’ordinamento giuridico. In ausilio, relativamente a questo aspetto, interviene il d.lgs. 24 aprile 2006, numero 219 «Attuazione della direttiva 2001/83/CE e successive direttive di modifica relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE». Questo decreto, all’articolo 87, individua le classi dei medicinali ai fini della fornitura. Si rileva così che i medicinali sono classificati nelle seguenti categorie a medicinali soggetti a prescrizione medica b medicinali soggetti a prescrizione medica da rinnovare volta per volta c medicinali soggetti a prescrizione medica speciale d medicinali soggetti a prescrizione medica limitativa, comprendenti 1 medicinali vendibili al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti 2 medicinali utilizzabili esclusivamente in ambiente ospedaliero o in ambiente ad esso assimilabile 3 medicinali utilizzabili esclusivamente dallo specialista e, infine, quelli espressamente individuati dall’articolo 5, l. numero 248/2006 la cui vendita è consentita anche al di fuori delle farmacie e medicinali non soggetti a prescrizione medica comprendenti 1 medicinali da banco o di automedicazione 2 restanti medicinali non soggetti a prescrizione medica. In sostanza, sono di libero accesso soltanto i farmaci di automedicazione e non anche quelli non soggetti a prescrizione medica. E non è un caso, quindi, se l’articolo 96, «Medicinali non soggetti a prescrizione» del d.lgs. numero 219/2006 dispone, al comma 2, che «il farmacista può dare consigli al cliente, in farmacia, sui medicinali di cui al comma 1. Gli stessi medicinali possono essere oggetto di pubblicità presso il pubblico se hanno i requisiti stabiliti dalle norme vigenti in materia e purché siano rispettati i limiti e le condizioni previsti dalle stesse norme». Come trova la sua logica, pertanto, la decisione del Governo introdotta dal d.l. numero 201/2011 di pretendere che nei corner e nelle parafarmacie sia garantita «l’inaccessibilità ai farmaci da parte del pubblico e del personale non addetto, negli orari sia di apertura che di chiusura», assicurando il rispetto dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi che saranno fissati con decreto del Ministro della Salute, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro il 25 febbraio di quest’anno.