Il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, ne che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, in quanto il dolo generico richiesto dalla norma incriminatrice consiste nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.
Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza numero 5590, depositata il 5 febbraio 2015. Il caso. Il gup di Milano, in sede di giudizio abbreviato, affermava la penale responsabilità di R.D. e R.E., figlio e padre, per il reato di bancarotta fraudolenta. I due imputati sono stati ritenuti colpevoli nelle loro qualità il primo, di amministratore unico prima e amministratore di fatto dopo, il secondo di amministratore di fatto in epoca antecedente al coimputato e poi membro del consiglio di amministrazione. Secondo la prospettazione accusatoria la condotta illecita posta in essere da entrambi sarebbe consistita in una contestuale dissipazione e distrazione del patrimonio aziendale della s.r.l. di cui erano, a vario titolo, responsabili, realizzata attraverso dei trasferimenti di denaro effettuati in favore di un’altra società, poi fallita, di cui entrambi possedevano la totalità delle quote. La Corte di appello di Milano riformava la statuizione di prime cure solo con riferimento al trattamento sanzionatorio, confermando nel merito. Avverso tale sentenza entrambi gli imputati ricorrevano per cassazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione sia all’elemento oggettivo che all’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta mediante distrazione e dissipazione ancora, violazione di legge e vizio motivazionale riguardo alla configurabilità del reato di bancarotta semplice e non del delitto di bancarotta fraudolenta infine, violazione di legge con riferimento all’articolo 216 l.f. e 37 c.p Il dolo del reato di bancarotta fraudolenta. I ricorrenti, sulla scorta di un recente arresto giurisprudenziale, lamentano la mancanza dell’elemento soggettivo del reato, affermando che – ai fini della sua integrazione – sarebbe necessaria la sussistenza di un nesso causale, coperto dal dolo, tra gli atti di distrazione e la dichiarazione di fallimento la difesa rileva, insomma, che il pregiudizio determinato da tali condotte non sarebbe stato oggetto del dolo degli imputati per assenza di volontà predatoria nei confronti delle garanzie dei creditori. La sez. V Penale della Suprema Corte, nel precisare come la pronuncia di legittimità richiamata dagli imputati sia rimasta isolata rispetto alle differenti sentenze della Corte Regolatrice, ha avuto modo di chiarire come è costante il principio di diritto secondo cui il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, ne che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori. Il dolo generico richiesto dalla norma incriminatrice consiste, pertanto, nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte. Donde, nel caso de quo, non è pensabile – affermano i Supremi Giudici – che i ricorrenti non avessero una effettiva conoscenza delle operazioni societarie, trattandosi di soggetti professionalmente e quotidianamente impegnati nella società. Il discrimine tra la bancarotta fraudolenta e quella semplice. Quanto al motivo afferente la richiesta riqualificazione giuridica del delitto di bancarotta fraudolenta in quello di bancarotta semplice, la Corte di Cassazione ha statuito come, sussistendo l’elemento soggettivo del reato in capo ad entrambi gli imputati, gli stessi hanno agito nella coscienza e volontà di realizzare la distrazione e la dissipazione, unitamente alla consapevolezza dell’appartenenza del bene al patrimonio della società. Donde, proprio la presenza di tale consapevolezza consente di superare l’ipotesi della riqualificazione nei termini di una bancarotta semplice che, invece, presupporrebbe una gestione disattenta e leggera – e non dolosa – dei trasferimenti dei costi tra società del gruppo. La durata della pena accessoria. La difesa lamenta che dal comminato disposto degli articolo 216 l.f. e 37 c.p. si ricava necessariamente come la pena accessoria debba avere una durata pari a quella principale inflitta e non, pertanto, di anni dieci per come sentenziato dalla Corte territoriale. Tuttavia, il Supremo Consesso, nel rilevare la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia, ha comunque chiarito come l’orientamento principale – avvalorato anche da una pronuncia della Corte Costituzionale – affermi come in tema di bancarotta fraudolenta la pena della inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa ha la durata fissa ed inderogabile di anni dieci e, di conseguenza, si sottrae alla disciplina dell’articolo 37 c.p
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 novembre 2014 – 5 febbraio 2015, numero 5590 Presidente Dubolino – Relatore Positano Ritenuto in fatto 1. Il difensore di R.D. ed E. propone separati ricorsi per cassazione contro la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Milano, in data 15 luglio 2013, che, in parziale riforma in punto di pena della sentenza di condanna adottata dal Giudice per le indagini preliminari di Milano, in data 11 ottobre 2008, che aveva affermato la responsabilità degli imputati per i reati previsti dagli articoli 81, 110 codice penale e articolo 223, primo comma, in relazione all'articolo 216 della legge fallimentare, riduceva la sanzione per R.E. , ad anni due di reclusione e per R.D. , ad anni uno e mesi quattro di reclusione, confermando nel resto la decisione impugnata. 2. Gli imputati R.D. e R.E. , rispettivamente figlio e padre, erano stati condannati con giudizio abbreviato per il reato di concorso in bancarotta patrimoniale per distrazione e dissipazione, ai danni della S.r.l. The Bridge, società di natura familiare , dichiarata fallita in data 7 luglio 2005. In particolare, R.D. , è stato ritenuto responsabile, quale amministratore unico prima, e amministratore di fatto, poi, ed anche componente del Consiglio di Amministrazione e amministratore di fatto, sino alla data del fallimento R.E. , quale amministratore di fatto dal 1995 al 27 luglio 2002 e, successivamente a tale data, anche quale componente del Consiglio di Amministrazione. La condotta di dissipazione riguardava l'importo complessivo di Euro 227.000 erogato dalla società fallita alla Erregi, mentre la distrazione riguardava l'importo di Euro 31 mila corrisposto, nell'anno 2003, alla società The Bridge International, senza alcun rapporto sottostante. 3. La decisione di primo grado aveva affermato la responsabilità degli imputati rilevando che R.D. aveva ricoperto nella società, oltre agli incarichi amministrativi di tipo formale, anche un ruolo amministrativo effettivo, oltre ad avere costantemente lavorato nella società anche come addetto alla gestione dei clienti e dei pagamenti. Inoltre, era anche socio della fallita, unitamente al padre, poiché i due possedevano la totalità delle quote, a partire dall'anno 1995. 4. Il padre, R.E. aveva svolto il ruolo di gestore di fatto nel corso di tutta la vita della società. Inoltre non risultavano connesse agli scopi sociali le uscite in favore delle due società di famiglia indicate nel capo di imputazione, che, secondo la tesi della difesa, avrebbero avuto ad oggetto rimborsi per servizi resi in favore della fallita la questione riguardava i rapporti con la società Errebi e la società The Bridge International . 5. Avverso tale decisione hanno proposto appello di imputati chiedendo l'assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nell'ipotesi di riqualificazione del reato, come bancarotta semplice. 6. La Corte d'Appello ha ritenuto infondati i motivi di impugnazione, confermando la decisione di primo grado con riferimento all'affermazione di responsabilità e riducendo la pena inflitta ai due imputati. 7. Avverso tale decisione il difensore degli imputati propone separati ricorsi, lamentando in entrambi gli atti • violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta, mediante distrazione e dissipazione • violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta mediante distrazione e dissipazione • violazione di legge e incongruità della motivazione riguardo alla configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta e non del reato di bancarotta semplice • violazione di legge con riferimento all'articolo 216 della legge fallimentare e articolo 37 del codice penale, oltre a mancanza di motivazione, in ordine al profilo sanzionatorio. Considerato in diritto La sentenza impugnata non merita censura. 1. Con il primo motivo dei ricorsi di entrambi gli imputati la difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta, mediante distrazione e dissipazione, rilevando che la Corte territoriale ha individuato la dissipazione del saldo passivo per Euro 227.000 nelle movimentazioni intercorse tra la società fallita e la s.a.s. Erregi, capogruppo della piccola holding di famiglia, facente capo all'imputato, mentre la distrazione patrimoniale riguarda gli esborsi corrisposti ad altra società del gruppo, collegata, The Bridge International. La difesa evidenzia che l'atto dissipativo o quello distrattivo devono essere idonei a ledere l'interesse dei creditori. Circostanza non ricorrente nel caso di specie, ribadendo quanto già evidenziato in sede di appello e cioè l'esistenza di anticipazioni di spese da parte di The Bridge International, in favore della fallita sin dall'anno 2002 e contestando le valutazioni, in fatto, operate dalla Corte territoriale. 2. La censura è infondata. La Corte territoriale ha evidenziato, con motivazione puntuale e logicamente corretta, che gli importi indicati nel capo di imputazione sono usciti dalle casse della società fallita negli anni 2003-2004, in favore di società riconducibili ai medesimi imputati. Per quanto riguarda la società Erregi, sono documentati trasferimenti di somme significative, superiori a quelle indicate nel capo di imputazione che, però, risultano in parte compensate con movimenti finanziari di senso inverso, per cui, correttamente, la contestazione riguarda soltanto quelle uscite che non risultano giustificate e compensate da corrispondenti entrate. Ciò consente di superare i rilievi della difesa. In particolare, si legge in sentenza, l'erogazione di Euro 227.000 in favore della società Erregi, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, non può trovare giustificazione nel rimborso di spese sostenute dalla società per l'impiego di beni per la fruizione di servizi costituiti dall'utilizzo aziendale di tre autovetture di grossa cilindrata, effettivamente intestate alla società Erregi. Si tratta di pagamenti effettuati in misura tale oltre Euro 200.000 da risultare del tutto sproporzionati rispetto al servizio di cui la società fallita avrebbe fruito. La Corte territoriale ha evidenziato che, del trasferimento dei costi sostenuti da Erregi, non risulta alcuna traccia documentale, neppure un semplice prospetto riepilogativo periodico dei valori di cui tale società chiedeva il rimborso alla fallenda. 3. Analoghe considerazioni riguardano i versamenti effettuati in favore di The Bridge International, dovendosi condividere la puntualizzazione operata dalla Corte territoriale riguardo al fatto che la somma di Euro 31 mila era stata erogata prima del pagamento dei canoni di locazione ancora da parte della presunta società beneficiaria e che, secondo la difesa, avrebbero dovuto essere rimborsati sulla base di un contratto di affitto non ancora concluso. 4. Con il secondo motivo la difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta, mediante distrazione e dissipazione, rilevando che il pregiudizio determinato tra tali condotte, come riconosciuto anche dalla Corte territoriale, non era oggetto del dolo degli imputati per assenza di volontà predatoria. Al contrario l'orientamento della giurisprudenza di legittimità ha recentemente affermato che anche il danno alle garanzie dei creditori deve essere oggetto di dolo Cass Sez. 5, 24 settembre 2012 numero 74502, Corvetta . In particolare, R.D. quale consigliere non operativo dell'azienda paterna, non aveva un'effettiva conoscenza delle operazioni societarie e non aveva effettivi poteri decisionali, in considerazione della concreta subordinazione al padre Emanuele. 5. Non è condivisibile la censura, con cui il ricorrente, adducendo un recente arresto giurisprudenziale di questa stessa sezione Sez. 5, numero 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493 , si fa portatore della tesi giuridica secondo cui, ad integrare il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, sarebbe necessaria la sussistenza di un nesso causale, coperto dal dolo, fra gli atti di distrazione e la dichiarazione di fallimento. Va osservato a riguardo che, alla stregua di un insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, risalente alla sentenza numero 2 del 1958 imputato Mezzo e rimasto sostanzialmente costante nel tempo, la dichiarazione di fallimento non costituisce una condizione obiettiva di punibilità, ma una condizione di esistenza del reato si tratta, in definitiva, di un elemento costitutivo della fattispecie criminosa che, nella bancarotta prefallimentare, segna il momento consumativo del reato ad ogni effetto di legge. Ciò, tuttavia, non significa che le si possa attribuire la qualifica di evento, come se non fosse data via di uscita rispetto all'alternativa tra condizione obiettiva di punibilità ed evento del reato. Dalle Sezioni Unite viene l'ulteriore insegnamento secondo cui, nella struttura dei reati di bancarotta, la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale il che la rende insindacabile in sede penale, secondo il principio ivi enunciato Sez. U, numero 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398 . Da ciò discende che l'elemento costitutivo della fattispecie criminosa non risiede nei presupposti di fatto fra cui lo stato d'insolvenza accertati dal giudice fallimentare, ma nella pronuncia di una sentenza rispetto alla quale non è ipotizzabile un'efficienza causale facente capo all'imprenditore, ovvero - come sostenuto nella citata sentenza “Corvetta” - al ceto creditorio. Così, in giurisprudenza è costante l'enunciazione del principio secondo cui il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l'agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori Sez. 5, numero 3229 del 14/12/2012 - dep. 22/01/2013, Rossetto, Rv. 253932 Sez. 5, numero 44933 del 26/09/2011, Pisani, Rv. 251214 . 6. Va rilevato che il citato autorevole precedente difforme Sez. 5, numero 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493 , è rimasto isolato nelle successive decisioni di questa Corte. Il dolo generico richiesto dalla norma incriminatrice consiste nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte Sez. 5, numero 11899 del 14/01/2010, Rizzardi, Rv. 246357 e certamente non è pensabile, alla stregua dell'accertamento scaturito dal giudizio di merito, che il ricorrente R.D. non avesse una effettiva conoscenza delle operazioni societarie, trattandosi di soggetto impegnato professionalmente e quotidianamente nella società fallita unitamente al padre, con competenze tecniche adeguate a tenere i contatti con i clienti, con il potere di firma sui conti bancari della fallita, concretamente esercitato. 7. La Corte territoriale, infatti, ha adeguatamente evidenziato che l'imputato ha ricoperto, nell'ambito della società, dapprima il ruolo di amministratore unico e, successivamente, nel periodo cui si riferiscono i fatti di reato, quello di consigliere di amministrazione. Inoltre, R. si è presentato al curatore quale amministratore della società fallita evidenziando, altresì, un'effettiva conoscenza delle vicende societarie e delle singole operazioni. Infine, nell'interrogatorio reso in data 30 ottobre 2006 afferma che le due società collegate, The Bridge International e Erregi, facevano capo alla sua posizione e quella del padre. Pertanto, deve convenirsi con la Corte territoriale sul fatto che non vi sono dubbi che, quale amministratore di diritto lo stesso risponde penalmente ai sensi dell'articolo 40 capoverso del codice penale e ciò prima ancora che per il ruolo di amministratore di fatto, pure successivamente ricoperto. 8. Con il terzo motivo la difesa deduce violazione di legge e incongruità della motivazione riguardo alla configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta e non di quello di bancarotta semplice, rilevando che le operazioni compiute potevano essere, al massimo, ricondotte ad una gestione trascurata, da collocare in un'ottica aziendale aliena da ogni componente lesiva e distrattiva. Si sarebbe trattato, in sostanza, di una gestione dei beni dell'impresa diretta a fini istituzionali, anche se viziata da eccessiva approssimazione. 9. In particolare, con riferimento all'ipotesi dissipativa, l'effettività dell'utilizzo di autovetture per esigenze di spostamento di lavoro rende logico il rimborso da parte della fallita di spese documentate sostenute da Erregi. Il commercialista della società ha esposto le ragioni fiscali per le quali si era preferita tale soluzione rispetto all'acquisto dei veicoli. 10.Con riferimento all'ipotesi di distrazione appare inverosimile attribuire natura distrattiva alle spese, comunque, connesse alla progettazione di un aeroporto sul confine russo ucraino, ivi comprese le spese di ingaggio di un consulente locale e di locazione di un immobile in Mosca. 11. Per le considerazioni già espresse con riferimento al motivo precedente ricorre certamente l'elemento soggettivo costituito dalla coscienza e volontà di compiere il fatto della distrazione e della dissipazione e dalla consapevolezza dell'appartenenza del bene al patrimonio della società. La Corte territoriale, con motivazione incensurabile ha evidenziato che non vi sono dubbi sulla circostanza che entrambi gli imputati, per loro stessa ammissione, avessero tale consapevolezza e ciò consente di superare l'ipotesi di riqualificazione del reato in termini di bancarotta semplice, sulla base di una gestione disattenta e leggera dei trasferimenti dei costi tra società del gruppo. 12. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge e mancanza di motivazione con riferimento agli articoli 216 della legge fallimentare e 37 del codice penale il quale prevede che la pena accessoria debba avere una durata pari a quella di quella principale inflitta e ciò contrariamente a quanto stabilito dai giudici di merito. 13. La doglianza è infondata avendo i giudici di merito fatto buon governo del principio secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta, la pena accessoria dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa ha la durata fissa ed inderogabile di dieci anni Corte Cost. numero 134 del 2012 Sez. 5, numero 11257 del 31/01/2013, Raccanello Fiori, Rv. 254641. . 14. In effetti, la questione sottoposta a questo collegio aveva conosciuto, di recente, un contrasto nella giurisprudenza di legittimità. Secondo l'orientamento più risalente la pena accessoria prevista dalla L. Fall., articolo 216, u.c., non è indeterminata, essendo stabilita in misura fissa e inderogabile nella durata di dieci anni, e, di conseguenza, si sottrae alla disciplina di cui all'articolo 37 c.p. Sez. 5^, 29 settembre 2007, numero 39337, RV 238211 . Un più recente orientamento, invece, ha ritenuto che la pena accessoria in esame sia determinata solo nel massimo, sicché, ai sensi dell'articolo 37 c.p., deve avere durata uguale a quella della pena principale irrogata Sez. 5^, 22 gennaio 2010, numero 9672, RV 246891 nello stesso senso Sez. 5^, numero 23720 del 21 marzo 2010, e poi Sez. 5^, numero 23606 del 16/02/2012, Ciampini, Rv. 252960 . L'orientamento secondo cui la durata della pena accessoria L. Fall., ex articolo 216, u.c., è stabilito in misura predeterminata e fissa è stato, tuttavia, ribadito di recente Sez. 5^, 18 febbraio 2010, numero 17690 Sez. 5^, numero 269 del 10/11/2010, Marianella, Rv. 249500 ed infine Sez. 5^, numero 30341 del 30/05/2012, Pinelli, Rv. 253318 . 15. Un collegio di questa stessa 5^ sezione Sez. 5^, numero 16083 del 23/03/2011, Capizzi, Rv. 250089 - che aderiva all'indirizzo più risalente, ritenendo insuperabile il dato testuale - ha però ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli articolo 3 e 27 Cost., della L. Fall., articolo 216, comma 4, nella parte in cui determina in maniera fissa in dieci anni la durata della pena accessoria dell'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e dell'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, ed ha rimesso gli atti al Giudice delle leggi. La Consulta, con sentenza del 31 maggio 2012, numero 134, ha dichiarato l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale ritenendo che la sentenza additiva richiesta al fine di rendere applicabile l'articolo 37 c.p. non costituisse una soluzione costituzionalmente obbligata, rimanendo pertanto legata a scelte affidate alla discrezionalità del legislatore. La Consulta ha, dunque, implicitamente confermato la validità dell'interpretazione proposta dal collegio remittente, secondo cui nell'attuale formulazione legislativa la pena accessoria è prevista in misura fissa e ciò non lede alcun diritto costituzionalmente protetto . Deve pertanto ribadirsi che la pena accessoria che consegue alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta è indicata in misura fissa e inderogabile dal legislatore nella durata di anni dieci. 16. Alla pronuncia di rigetto consegue ex articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.