Co.co.co. nei call-center, ma rispettando la paga minima del contratto nazionale

Con la circolare numero 14 il Ministero del Lavoro ha precisato i limiti di applicabilità del lavoro a progetto nel settore dei call-center limiti – precisa il Ministero - «legati all’introduzione da parte della contrattazione collettiva, di corrispettivi minimi per i lavoratori impegnati in tale settore». La circolare si occupa anche delle disposizioni volte a contrastare il fenomeno della delocalizzazione dei call-center nei Paesi comunitari ed extracomunitari.

Con l’articolo 24 bis d.l. numero 83/2012 conv. da L. numero 134/2012 , è stato introdotta una specifica disciplina del contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto nel settore dei call-center. Gli interventi hanno inciso, da un lato, sui requisiti necessari per la stipula del contratto e, dall’altro, sulle conseguenze legate ad una “delocalizzazione” delle attività. Autonomia dell’attività outbound. Il Ministero aveva già definito, con la circolare numero 17/2006, le attività outbound come quelle «nell’ambito delle quali il compito assegnato al collaboratore è quello di rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l’utenza di un prodotto o servizio riconducibile ad un singolo committente». Al contrario, nell’inbound, «l’operatore non gestisce la propria attività, né può in alcun modo pianificarla giacché la stessa consiste prevalentemente nel rispondere alle chiamate dell’utenza, limitandosi a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie psicofisiche per un dato periodo di tempo». Co.co.co applicabile alle attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call-center outbound. La circolare chiarisce che, «nelle more della introduzione di specifiche clausole da parte della contrattazione collettiva di riferimento che diano indicazioni sui corrispettivi in questione ed al fine di non impedire l’utilizzo della tipologia contrattuale», il contratto di collaborazione coordinata e continuativa nell’ambito dei call-center è consentito, ma nel rispetto di quanto stabilito dall’articolo 63, comma 2, d.lgs. numero 276/2003, secondo il quale «in assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto». Il compenso non deve essere inferiore alle retribuzioni minime previste dal CCNL In pratica, si legge nella circolare, è necessario garantire contrattualmente che il compenso legato alle prestazioni effettivamente rese dal collaboratore «non sia inferiore alle retribuzioni minime previste dalla citata contrattazione collettiva» ai fini della legittimità del rapporto di collaborazione. altrimenti il rapporto diventa di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Anche perché, la mancata pattuizione di corrispettivi «definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento», comporta la violazione di una norma inderogabile di natura «autorizzatoria», cosicché il ricorso alla co.co.pro. potrà ritenersi illegittimo con conseguente riconduzione del rapporto a quella che costituisce «la forma comune di rapporto di lavoro» il lavoro subordinato a tempo indeterminato. La delocalizzazione va comunicata al Ministero Per quanto riguarda l’altra problematica affrontata dal Ministero, la delocalizzazione dei call-center, viene precisato che «qualora un’azienda decida di spostare l’attività di call-center fuori dal territorio nazionale deve darne comunicazione, almeno 120 giorni prima del trasferimento, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali indicando i lavoratori coinvolti». Si tratta dei lavoratori che, a prescindere dall’inquadramento, subordinato o autonomo, e in conseguenza della delocalizzazione della attività di call-center, siano ritenuti in esubero dal datore di lavoro e pertanto interessati da un minor impiego o addirittura da procedure di licenziamento. Ma non è tutto. e all’Autorità garante per la protezione dei dati personali. È infatti necessario darne comunicazione anche all’Autorità garante per la protezione dei dati personali, indicando quali misure vengono adottate per il rispetto della legislazione nazionale, «in particolare del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, numero 196, e del registro delle opposizioni». Senza esuberi la comunicazione non serve. Tuttavia, la circolare numero 14 ritiene che gli obblighi di comunicazione in questione «non ricorrano nel caso in cui, nel corso di svolgimento di uno specifico appalto, l’azienda delocalizzi senza generare esuberi o un minor impiego del personale sino a quel momento impegnato su tale commessa».

TP_LAV_circ.14