I commi 1, 2 e 3, dell’articolo 58-quater ord. penumero devono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi – nella parte in cui prevedono, nel loro combinato disposto, che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare speciale, prevista dall’articolo 47-quinquies della l. numero 354/1975, al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una delle misure indicate nel comma 2 dello stesso articolo 58-quater – in ragione del loro contrasto con l’articolo 31, comma 2, Cost., da leggersi anche alla luce delle disposizioni internazionali e sovranazionali che ne arricchiscono e completano il significato.
Così la Corte Costituzionale con sentenza numero 187/19 depositata il 18 luglio. La dichiarazione di illegittimità costituzionale deve essere estesa anche al divieto – pure stabilito dal combinato disposto delle disposizioni censurate – di concessione della detenzione domiciliare “ordinaria”, nei casi previsti dall’articolo 47- ter , comma 1, lett. a e b , ord. penumero , nel triennio successivo alla revoca di una delle misure alternative elencate nel comma 2.Queste le conclusioni tracciate dalla Consulta che si pone nel sentiero già avviato della sua precedente giurisprudenza, relativa, da un lato, alla detenzione domiciliare “ordinaria” per esigenza di cura dei minori e, dall’altro, alla omologa forma di detenzione domiciliare speciale, nella quale si afferma l’interesse del minore possa cedere il passo alle esigenze di protezione della società dal crimine solo qualora ci sia un accertamento in concreto da parte del giudice, e non può essere collegata ad indici presuntivi. La fattispecie concreta. Un detenuto padre di un minore di età inferiore a dieci anni presentava, ai sensi dell’articolo 47- quinquies , commi 1 e 7, ord. penumero , istanza per accedere alla misura della detenzione domiciliare speciale, ritenendo che la cui madre si sarebbe trovata nell’impossibilità di prendersi cura di quest’ultimo. Poiché il ricorrente aveva subito la revoca della misura alternativa della semilibertà, il Presidente del Tribunale di Milano dichiarava inammissibile l’istanza da questi formulata esclusivamente sulla scorta del mancato decorso del termine triennale fissato all’articolo 58- quater , comma 3, ord. penumero . Possibile una interpretazione costituzionalmente orientata? Contro tale decisione di inammissibilità il condannato aveva proposto ricorso per cassazione, rilevando che la misura alternativa della detenzione domiciliare speciale non è espressamente richiamata dall’articolo 58- quater , comma 1, e che, pertanto, non potrebbe essere oggetto della preclusione stabilita dal comma 3, di talché la pregressa revoca della misura alternativa della semilibertà non potrebbe essere, di per sé, ostativa alla valutazione nel merito dell’istanza proposta dal condannato. No per la Suprema Corte. La prima sezione di Cassazione ritiene che tale operazione ermeneutica non sia praticabile in quanto l’introduzione di altre forme di detenzione domiciliare diverse da quella ‘ordinaria’ per l’appunto ‘speciale’, come quella richiesta ha voluto soltanto ampliare la sfera dei destinatari della detenzione domiciliare ‘ordinaria’, senza però con ciò voler accordare un trattamento più favorevole di quello già previsto per quest’ultima così, Sez. I, numero 28712/2002 . Il riferimento alla «detenzione domiciliare» compiuto nell’articolo 58-quater, comma 1, comprenderebbe quindi tutti i casi di detenzione domiciliare, ‘ordinaria’ e ‘speciale’, a differenza di quanto accade per l’affidamento in prova, ove lo stesso comma 1 ha cura di indicare che la preclusione ivi stabilita si applica ai casi previsti dall’articolo 47 ord. penumero , con conseguente chiara esclusione dei casi di affidamento in prova previsto per i detenuti tossicodipendenti. La continuità tra le ipotesi di detenzione domiciliare ordinaria e speciale per la prole sino a dieci anni. D’altra parte, la tesi interpretativa propugnata dal ricorrente condurrebbe assurdamente a ritenere operante la preclusione per i casi di detenzione domiciliare ‘ordinaria’ disciplinati dall’articolo 47- ter , comma 1, lett. a e b destinati ai condannati a pene detentive più brevi di quelle cui si riferisce l’istituto della detenzione domiciliare speciale. Quest’ultima disposizione penitenziaria – introdotta dalla legge Simeone numero 165/1998 – prevede infatti che solo quanto la pena residua non supera i quattro anni possono accedere alla detenzione domiciliare a donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente b padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. Invece, la distinta misura della «detenzione domiciliare speciale», è stata introdotta, attraverso l’articolo 47- quinquies , dalla l. numero 40/2001 Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori , per il quale solo quando non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 47- ter quindi la pena residua supera i quattro anni le condannate madri ovvero – in caso di decesso o impossibilità di questa, e non essendovi altro modo di provvedere all’assistenza della prole – il padre di prole di età inferiore a dieci anni, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli possono usufruire della forma speciale di detenzione domiciliare. Espiazione di una parte della pena per accedere alla detenzione domiciliare speciale. Condizione perché il genitore condannato possa essere ammesso alla misura alternativa speciale occorre espiare almeno un terzo della pena, ovvero di quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo. Peraltro, il successivo comma 1- bis , inserito dalla legge numero 62/2011, consente che l’interessato possa essere ammesso alla misura, a particolari condizioni, anche prima della scadenza di tali termini. Tale possibilità era in origine esclusa ove la condanna fosse stata pronunciata per uno dei delitti indicati nell’articolo 4- bis ord. penumero ma anche tale preclusione è venuta meno in conseguenza della sentenza numero 76 del 2017 della Corte costituzionale soluzione che deve intendersi venuta meno anche nei confronti del padre condannato . La preclusione triennale del 58-quater deve intendersi riferita al “genus” della detenzione domiciliare. La Corte costituzionale, in adesione alla Corte di Cassazione remittente, concorda nel ritenere la preclusione prevista nel 58- quater rispetto alla concessione di una serie di benefici penitenziari assegnazione del lavoro all’esterno, permessi premio, affidamento in prova al servizio sociale, nei casi previsti dall’articolo 47 ord. penumero , detenzione domiciliare e semilibertà a carico del condannato nei cui confronti sia stata disposta la revoca di altra misura precedentemente concessagli a far data dal provvedimento di revoca della misura si riferisce al genus della detenzione domiciliare, e non alla species della detenzione domiciliare ordinaria, con esclusione dal di quella speciale ex articolo 47- quinquies . Il superiore interesse del minore La fondatezza della quaestio sottoposta per i giudici delle leggi si fonda sulla la speciale rilevanza dell’interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori, e trova riconoscimento e tutela sia nell’ordinamento costituzionale interno – che demanda alla Repubblica di proteggere l’infanzia, favorendo gli istituti necessari a tale scopo articolo 31, comma 2, Cost. – sia nell’ordinamento internazionale, ove vengono in particolare considerazione l’articolo 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge numero 176/1991, e l’articolo 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Queste due ultime disposizioni qualificano come “superiore” l’interesse del minore, stabilendo che in tutte le decisioni relative ad esso, adottate da autorità pubbliche o istituzioni private, tale interesse deve essere considerato “preminente” sentenze nnumero 239/2014, 17 e 76 del 2017 . esclude automatismi ma richiede verifiche in concreto del giudice. Ripercorrendo se stessa, la Consulta ribadisce l’architrave su cui si fonda la sua precedente giurisprudenza è che sia nella detenzione domiciliare ordinaria per esigenza di cura dei minori, sia in quella speciale, nel bilanciamento di contrapposti diritti di rilievo costituzionale, affinché l’interesse del minore possa restare recessivo di fronte alle esigenze di protezione della società dal crimine occorre che la sussistenza e la consistenza di queste ultime venga verificata “in concreto” e non già collegata ad indici presuntivi che precludono al giudice ogni margine di apprezzamento delle singole situazioni sentenza numero 239 del 2014, che ha eliminato per la detenzione domiciliare speciale la preclusione relativa all’accesso ai benefici penitenziari per i condannati 4- bis . Stesso ordine di considerazione hanno svolto le sentenze numero 76/2017 ove è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del meccanismo presuntivo originariamente stabilito dell’articolo 47- quinquies , comma 1- bis , nei confronti delle madri condannate per un delitto 4-bis, alle quali era in via assoluta precluso l’accesso alla detenzione domiciliare speciale sino che non avessero scontato un terzo della pena numero 174/2018 eliminato l’articolo 21-bis ord. penumero nella parte in cui, attraverso il rinvio al precedente articolo 21, non consentiva alle madri condannate per uno dei delitti 4-bis l’accesso all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore ai dieci anni, ovvero lo subordinava in via generale alla previa espiazione di una frazione di pena numero 211/2018 che ha allineato le due ipotesi di detenzione domiciliare, ordinaria e speciale, in quanto in caso di evasione, la Corte costituzionale limita anche per la prima la rilevanza penale del fatto all’allontanamento superiore a 12 ore, come nell’ipotesi della detenzione domiciliare speciale. Incostituzionale l’automatismo del 58-quater per la detenzione domiciliare ‘speciale’ Alla luce di tale vissuto costituzionale, viene ritenuto illegittimo anche l’automatismo preclusivo previsto per la forma speciale di detenzione domiciliare per assistere prole entro i dieci anni. Per i giudici della Consulta, l’assoluta impossibilità per il condannato, madre o padre, di accedere al beneficio della detenzione domiciliare speciale prima che sia decorso un triennio dalla revoca di una precedente misura alternativa sacrifica infatti a priori – e per l’arco temporale di un intero triennio, che come osserva giustamente il rimettente è un periodo di tempo lunghissimo nella vita di un bambino – l’interesse di quest’ultimo a vivere un rapporto quotidiano con almeno uno dei genitori, precludendo al giudice ogni bilanciamento tra tale basilare interesse e le esigenze di tutela della società rispetto alla concreta pericolosità del condannato. Il venir meno dell’automatismo sposta in capo alla magistratura di sorveglianza il compito di operare il bilanciamento di interessi quello di tutela della società quando vi è «un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti» da parte del condannato articolo 47- quinquies , comma 1 o quello di tutela del minore a crescere con almeno uno dei genitori. Tale valutazione non può essere compiuta a monte ed in astratto dal legislatore ma deve essere effettuata in concreto dal giudice. e, di conseguenza, di quella ‘ordinaria’. La Consulta estende, in via consequenziale, la dichiarazione di incostituzionalità anche al divieto di concessione della detenzione domiciliare “ordinaria”, nei casi previsti dall’articolo 47- ter , comma 1, lett. a e b , ord. penumero , nel triennio successivo alla revoca di una delle misure alternative elencate nel comma 2. Tale detenzione domiciliare, prevista per madri e padri di prole inferiore a dieci anni condannati a pene detentive non superiori a quattro anni, anche se costituenti residuo di maggior pena, non potrebbe infatti essere assoggettata a una disciplina deteriore di quella speciale prevista dal 47- quinquies , anche perché, proprio perché più favorevole di quest’ultima si può eccedere alla prima con un tetto di pena inferiore , sarebbe manifestamente irragionevole.
Corte Costituzionale, sentenza 22 maggio – 18 luglio 2019, numero 187 Presidente Lattanzi – Redattore Viganò Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 13 luglio 2018, la Corte di cassazione, prima sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli articolo 3, primo comma, 29, primo comma, 30, primo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge 26 luglio 1975, numero 354 Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà , «nella parte in cui [detti commi], nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare speciale, prevista dall’articolo 47-quinquies della stessa legge numero 354 del 1975, al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa, ai sensi dell’articolo 47, comma 11, dell’articolo 47-ter, comma 6, o dell’articolo 51, primo comma, della legge medesima». 1.1.– La Sezione rimettente premette di essere investita del ricorso avverso un decreto del Presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano che ha pronunciato, ai sensi e nelle forme di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, l’inammissibilità dell’istanza di accedere alla misura della detenzione domiciliare speciale, avanzata ai sensi dell’articolo 47-quinquies, commi 1 e 7, ordinumero penit., da un detenuto padre di un minore di età inferiore ai dieci anni la cui madre si sarebbe trovata nell’impossibilità di prendersi cura di quest’ultimo. Nel caso di specie, il ricorrente R. G. aveva subito la revoca della misura alternativa della semilibertà, e l’istanza da questi formulata – un anno e otto mesi più tardi – di essere ammesso alla detenzione domiciliare speciale era stata dichiarata inammissibile dal Presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano esclusivamente sulla scorta del mancato decorso del termine triennale fissato all’articolo 58-quater, comma 3, ordinumero penit. Contro tale decisione di inammissibilità il condannato aveva proposto ricorso per cassazione, rilevando che la misura alternativa della detenzione domiciliare speciale non è espressamente richiamata dall’articolo 58-quater, comma 1, ordinumero penit., e che, pertanto, non potrebbe essere oggetto della preclusione stabilita dal comma 3, di talché la pregressa revoca della misura alternativa della semilibertà non potrebbe essere, di per sé, ostativa alla valutazione nel merito dell’istanza proposta dal condannato. 1.2.– Ritiene anzitutto la Sezione rimettente che l’interpretazione dell’articolo 58-quater, comma 1, ordinumero penit. sostenuta dal ricorrente non sia praticabile. Il giudice a quo rammenta come la giurisprudenza di legittimità si sia già pronunciata nel senso di escludere che la detenzione domiciliare speciale si sottragga ai divieti cui è soggetta la detenzione domiciliare “ordinaria” ai sensi dei primi tre commi dell’articolo 58-quater Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 1° luglio 2002, numero 28712 , dal momento che il legislatore del 2001, prevedendo il nuovo istituto della detenzione domiciliare speciale, avrebbe avuto semplicemente l’intento di ampliare la platea dei destinatari della detenzione domiciliare “ordinaria”, senza però con ciò voler accordare un trattamento più favorevole di quello già previsto per quest’ultima. Il riferimento alla «detenzione domiciliare» compiuto nell’articolo 58-quater, comma 1, comprenderebbe d’altra parte tutti i casi di detenzione domiciliare, “ordinaria” e speciale, a differenza di quanto accade per l’affidamento in prova, ove lo stesso comma 1 ha cura di indicare che la preclusione ivi stabilita si applica ai casi previsti dall’articolo 47 ordinumero penit., con conseguente chiara esclusione dei casi di affidamento in prova previsto per i detenuti tossicodipendenti, originariamente previsto dall’articolo 47-bis ordinumero penit. e oggi disciplinato dall’articolo 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309 Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza . D’altra parte, la tesi interpretativa propugnata dal ricorrente condurrebbe assurdamente a ritenere operante la preclusione per i casi di detenzione domiciliare “ordinaria” disciplinati dall’articolo 47-ter, comma 1, lettere a e b , destinati ai condannati a pene detentive più brevi di quelle cui si riferisce l’istituto della detenzione domiciliare speciale. Da ciò deriverebbe la necessità di interpretare il combinato disposto dei primi tre commi dell’articolo 58-quater ordinumero penit. nel senso che da essi discenda effettivamente una preclusione alla concessione della detenzione domiciliare speciale al ricorrente, derivante dall’essere stata nei suoi confronti revocata altra misura alternativa nel triennio precedente. 1.3.– Il rimettente dubita, tuttavia, ex officio della compatibilità di tale combinato disposto, così interpretato, con gli articolo 3, primo comma, 29, primo comma, 30, primo comma, e 31, secondo comma, Cost. 1.4.– La questione sarebbe anzitutto rilevante, dal momento che – in caso di suo accoglimento – il ricorso del detenuto dovrebbe essere accolto, con conseguente annullamento senza rinvio del decreto del Presidente del tribunale di sorveglianza che aveva dichiarato l’istanza inammissibile, e restituzione degli atti allo stesso organo giudiziario affinché esamini «nel merito i presupposti per la concessione della misura, allo stato non preclusa per alcuna tipologia di reato presupposti il cui fattuale riscontro costituisce un posterius rispetto alla decisione che deve essere assunta nel presente giudizio di cassazione». 1.5. – Il dubbio di costituzionalità sarebbe, d’altra parte, non manifestamente infondato alla luce di quanto stabilito da questa Corte nella sentenza numero 239 del 2014, con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’articolo 4-bis, comma 1, ordinumero penit. nella parte in cui non escludeva il beneficio della detenzione domiciliare speciale dal divieto di concessione dei benefici penitenziari da esso stabilito. Rammenta il giudice a quo che con tale decisione questa Corte, partendo dalla peculiare ratio del beneficio della detenzione domiciliare in favore delle madri detenute con prole in tenera età, ha ritenuto che la preclusione di cui all’articolo 4-bis, comma 1, ordinumero penit., accomunasse situazioni profondamente diversificate, trasferendo le sottese esigenze di politica repressivo-criminale a carico di un soggetto terzo – quale il minore di età –, estraneo sia alle attività delittuose che hanno condotto alla condanna, sia alla scelta della condannata o del condannato di non collaborare, in violazione sia dell’articolo 3, primo comma, Cost., sia degli ulteriori parametri di cui agli articolo 29, primo comma, 30, primo comma, e 31, secondo comma, Cost. Ad avviso della Sezione rimettente, i commi 1, 2 e 3 dell’articolo 58-quater ordinumero penit. sarebbero espressivi della stessa politica criminale sottesa all’articolo 4-bis, «volta a sanzionare la scarsa “affidabilità” di un condannato responsabile di condotte negativamente sintomatiche, quali l’evasione, ovvero le trasgressioni alle prescrizioni di una pregressa misura alternativa, tali da averne determinato la revoca. Rispetto a tale condannato si istituisce una presunzione assoluta di temporanea inidoneità rispetto a forme di espiazione della pena detentiva, che si attuino anche parzialmente al di fuori dell’istituzione carceraria». Secondo il giudice a quo, nei confronti di presunzioni di tal sorta nell’ambito dei benefici penitenziari sarebbero applicabili i principi desumibili dalla giurisprudenza con cui questa Corte ha escluso la legittimità di rigidi automatismi che impediscono la valutazione individualizzata del condannato sono citate le sentenze numero 149 del 2018, numero 291 e numero 189 del 2010, numero 255 del 2006 e numero 436 del 1999 . La Sezione rimettente richiama quindi la sentenza numero 76 del 2017, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’articolo 47-quinquies, comma 1-bis, ordinumero penit., introdotto dall’articolo 3, comma 1, lettera b , della legge 21 aprile 2011, numero 62 Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, numero 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori , nella parte in cui tale disposizione negava alle «madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis» la possibilità di espiare la frazione iniziale di pena detentiva secondo le modalità agevolative ivi previste. L’esigenza di tutela differenziata dell’interesse del minore a fruire in modo continuativo dell’affetto e delle cure genitoriali non sarebbe d’altra parte, ad avviso del giudice a quo, sottratta «ad ogni possibile bilanciamento con esigenze contrapposte, pure di rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena inflitta al genitore, in seguito alla commissione di un reato, e alle condizioni che la regolano» sono richiamate le sentenze numero 76 del 2017, numero 239 del 2014 e numero 177 del 2009 . Risponderebbe anzi a tale logica di bilanciamento la disciplina delle condizioni di accesso alla detenzione domiciliare speciale, stabilita dall’articolo 47-quinquies, comma 1, ordinumero penit., e, in particolare, la condizione dell’insussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti da parte del condannato. Richiamandosi testualmente alla sentenza numero 239 del 2014, il giudice a quo ritiene allora che le esigenze di protezione della società dal crimine possono prevalere sull’interesse del minore a patto che la loro sussistenza e consistenza venga verificata in concreto, e non venga, invece, «collegata ad indici presuntivi [] che precludono al giudice ogni margine di apprezzamento delle singole situazioni». Né varrebbe a confutare il contrasto tra la norma censurata e i parametri di costituzionalità invocati dal rimettente, la limitata durata della preclusione posta dall’articolo 58-quater, comma 3 tre anni costituirebbero infatti un lasso di tempo «assai significativo nel processo di crescita del minore di tenera età, cui l’articolo 47-quinquies Ord. penumero ha principale riguardo tanto più significativo, quanto più ridotta sia l’età del bambino nel momento in cui la preclusione inizi a decorrere. Durante tale periodo ben possono verificarsi quelle importanti, e difficilmente riparabili, alterazioni del suo equilibrio psicofisico che solo l’eliminazione dell’automatismo – e con essa la riespansione del potere discrezionale del giudice, orientato a una logica di attento bilanciamento dei valori in campo – è in grado di sventare». 2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili in ragione dell’omesso esperimento da parte del giudice a quo del tentativo di interpretazione conforme a Costituzione della disciplina censurata. L’Avvocatura generale dello Stato ritiene infatti che la preclusione dell’accesso alla detenzione domiciliare, in caso di revoca di altra misura alternativa intervenuta a danno del condannato nel triennio precedente, non si estenda alla detenzione domiciliare speciale, introdotta del resto soltanto con la legge 8 marzo 2001, numero 40 Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori , successiva all’introduzione della disciplina in questa sede censurata. La possibilità di fornire un’interpretazione costituzionalmente conforme della disciplina censurata sarebbe, d’altra parte, rafforzata da quanto stabilito da questa Corte nella sentenza numero 189 del 2010 che richiama la precedente sentenza numero 436 del 1999 , proprio in riferimento all’articolo 58-quater, comma 1, ordinumero penit., laddove si è ritenuto che, nella materia dei benefici penitenziari, alla luce del criterio della funzione rieducativa della pena di cui all’articolo 27, terzo comma, Cost., l’esclusione di rigidi automatismi e la necessità di una valutazione individualizzata, caso per caso, costituisca «criterio “costituzionalmente vincolante”», che deve orientare l’interpretazione delle singole disposizioni. In una successiva memoria, l’Avvocatura generale dello Stato ha ulteriormente sostenuto la possibilità di interpretazione conforme appena illustrata, instaurando un parallelo con il diverso caso dell’affidamento in prova, disciplinato dall’articolo 47 ordinumero penit., anch’esso incluso nell’elenco delle misure alternative al carcere la cui concessione, ai sensi dell’articolo 58-quater, sarebbe preclusa per tre anni in presenza di accertato delitto di evasione comma 1 o di revoca di determinati benefici penitenziari comma 2 . Rispetto a tale istituto generale, la giurisprudenza di legittimità avrebbe escluso l’applicabilità della preclusione all’affidamento in prova «in casi particolari» è citata Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 12 gennaio 2017, numero 31053 . Posto che entrambi gli istituti della detenzione domiciliare speciale e dell’affidamento in prova «in casi particolari» costituirebbero modalità alternative di esecuzione della pena dirette alla tutela, rispettivamente, dell’integrità psichica del minore in caso di condanna di una figura genitoriale, da un lato, e delle esigenze di salute del condannato, da un altro lato, secondo l’Avvocatura generale dello Stato dovrebbe potersi operare anche in questo caso l’interpretazione conforme già praticata dalla Corte di cassazione per l’affidamento in prova in casi particolari. Nel corso dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato – ribadita in via principale la propria eccezione di inammissibilità – ha aderito in via subordinata alla richiesta di accoglimento delle questioni prospettate formulata dalla parte privata. 3.– Si è costituita in giudizio la parte privata R. G., chiedendo l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale prospettate. Richiamandosi, sostanzialmente, alle argomentazioni svolte dall’ordinanza di rimessione, la parte sottolinea che, nel caso concreto, la revoca del beneficio della semilibertà era avvenuta a distanza di quattro anni dalla sua concessione. In tale lasso di tempo, il ricorrente aveva intrapreso un’attività commerciale, aveva contratto matrimonio ed era diventato padre. La revoca del beneficio era stata causata dall’essere stato sorpreso il ricorrente in compagnia di soggetti pregiudicati. Ad avviso della difesa, si sarebbe trattato dunque di una revoca «non riconducibile alla commissione di reati bensì unicamente a violazioni comportamentali». Nella memoria presentata in prossimità dell’udienza, la parte privata ha ribadito quanto già sostenuto in merito alla fondatezza delle questioni, invocando a ulteriore supporto degli argomenti ivi spiegati la recente sentenza di questa Corte numero 99 del 2019, in cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 47-ter, comma 1-ter, della legge numero 354 del 1975, «nella parte in cui non consente che la detenzione domiciliare “umanitaria” sia disposta anche nelle ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta». Secondo la parte privata, in tale sentenza questa Corte avrebbe valorizzato le capacità della detenzione domiciliare di bilanciare i confliggenti interessi in gioco in quel caso, il diritto alla salute del detenuto e le esigenze di difesa della collettività , in virtù della possibilità della misura di poter essere «configurata in modo variabile, con un dosaggio ponderato di limitazioni, degli obblighi e delle autorizzazioni secondo le esigenze del caso [], assicurando al tempo stesso la sicurezza della collettività». Considerato in diritto 1.– Con l’ordinanza descritta in epigrafe, la Corte di cassazione, prima sezione penale, ha sollevato d’ufficio, con riferimento agli articolo 3, primo comma, 29, primo comma, 30, primo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge 26 luglio 1975, numero 354 Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà , «nella parte in cui [detti commi], nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare speciale, prevista dall’articolo 47-quinquies della stessa legge numero 354 del 1975, al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa, ai sensi dell’articolo 47, comma 11, dell’articolo 47-ter, comma 6, o dell’articolo 51, primo comma, della legge medesima». In sostanza, la Sezione rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’automatismo preclusivo rispetto alla concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare speciale, che le disposizioni menzionate stabilirebbero per un periodo di tre anni a carico del condannato nei cui confronti sia stata revocata altra misura in particolare, dell’affidamento in prova al servizio sociale, della detenzione domiciliare o della semilibertà precedentemente concessagli. 2.– Prima di procedere all’esame dell’ammissibilità e della fondatezza di tali censure, appare opportuno ricostruire brevemente il quadro normativo che fa da sfondo alle questioni. 2.1.– La detenzione domiciliare, prevista in via generale dall’articolo 47-ter ordinumero penit. cosiddetta “ordinaria” , è misura alternativa alla detenzione che consente al condannato di espiare la propria pena, o una parte di essa, nella propria abitazione, in altro luogo di privata dimora o cura, assistenza e accoglienza, in presenza di situazioni soggettive età avanzata o, all’opposto, giovane età in presenza di comprovate esigenze di salute, studio, lavoro o famiglia gravi condizioni di salute stato di gravidanza esigenze di cura di prole in tenera età che renderebbero particolarmente pregiudizievole per il condannato la permanenza in carcere. Sin dall’introduzione della misura ad opera della legge 10 ottobre 1986, numero 663 Modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà , tra i casi in cui il condannato può essere ammesso alla detenzione domiciliare figurava l’ipotesi della madre di prole in tenera età con lei convivente ipotesi alla quale fu ben presto affiancata, in conseguenza della sentenza numero 215 del 1990 di questa Corte, quella del padre della prole medesima, allorché la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a darvi assistenza. Nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’articolo 4 della legge 27 maggio 1998, numero 165 Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, numero 354, e successive modificazioni , in parte qua ancora in vigore, l’articolo 47-ter, comma 1, lettere a e b , ordinumero penit. prevede – in particolare – che possano essere ammessi al beneficio in parola la madre, ovvero – nel caso di decesso o impossibilità di questa – il padre di prole di età inferiore a dieci anni convivente con il genitore esercente la responsabilità genitoriale e ciò purché la condanna da espiare, ancorché costituente il residuo di maggior pena, non superi i quattro anni di reclusione, ovvero consista nella pena dell’arresto. 2.2.– Su tale impianto normativo è poi intervenuta la legge 8 marzo 2001, numero 40 Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori , che ha introdotto – con il nuovo articolo 47-quinques ordinumero penit. – la distinta misura della «detenzione domiciliare speciale», prevista per consentire anche ai condannati nei cui confronti non ricorrano le ordinarie condizioni previste dall’articolo 47-ter la possibilità di accudire la propria prole in tenera età. In particolare, la nuova disposizione prevede che possano essere ammessi al beneficio la madre, ovvero – in caso di decesso o impossibilità di questa, e non essendovi altro modo di provvedere all’assistenza della prole – il padre di prole di età inferiore a dieci anni, purché non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti da parte del genitore condannato, e vi sia la possibilità di ripristinare la sua convivenza con i figli. Ai sensi del comma 1 dell’articolo 47-quinquies ordinumero penit., condizione perché il genitore condannato possa essere ammesso alla misura è l’espiazione di almeno un terzo della pena, ovvero di quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo. Peraltro, il successivo comma 1-bis, inserito dalla legge 21 aprile 2011, numero 62 Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, numero 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori , consente che l’interessato possa essere ammesso alla misura, a particolari condizioni, anche prima della scadenza di tali termini. Tale possibilità era in origine esclusa ove la condanna fosse stata pronunciata per uno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis ordinumero penit. ma anche tale preclusione è venuta meno in conseguenza della sentenza numero 76 del 2017 di questa Corte, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 1-bis, «limitatamente alle parole “Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis”». In forza poi del comma 7 dello stesso articolo 47-quinquies ordinumero penit., a tenore del quale «[l]a detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre», la preclusione relativa ai delitti di cui all’articolo 4-bis ordinumero penit. originariamente stabilita dall’articolo 47-quinquies, comma 1-bis ordinumero penit., deve intendersi venuta meno anche nei confronti del padre condannato. 2.3.– Il combinato disposto dei primi tre commi dell’articolo 58-quater ordinumero penit., in questa sede censurati, stabilisce in via generale una preclusione rispetto alla concessione di una serie di benefici penitenziari – in particolare, a dell’assegnazione del lavoro all’esterno, b dei permessi premio, c dell’affidamento in prova al servizio sociale, nei casi previsti dall’articolo 47 ordinumero penit., d della detenzione domiciliare, e della semilibertà – a carico del condannato che sia stato riconosciuto colpevole del delitto di evasione comma 1 , ovvero nei cui confronti sia stata disposta la revoca di altra misura precedentemente concessagli – in particolare, a ai sensi dell’articolo 47, comma 11, ordinumero penit. per quanto concerne l’affidamento in prova al servizio sociale, b ai sensi dell’articolo 47-ter, comma 6, ordinumero penit. per quanto concerne la detenzione domiciliare, nonché c ai sensi dell’articolo 51, comma 1, ordinumero penit. per quanto concerne la semilibertà – comma 2 . La preclusione in parola ha durata triennale a far data dal provvedimento di revoca della misura, o, in caso di evasione, dal momento in cui è ripresa l’esecuzione della custodia o della pena comma 3 . L’elenco, contenuto nel comma 1 dell’articolo 58-quater ordinumero penit. – la cui introduzione risale al decreto-legge 13 maggio 1991, numero 152 Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa , convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, numero 203 –, delle misure che non possono essere concesse nel triennio successivo alla revoca di altra misura non comprende espressamente la detenzione domiciliare speciale, introdotta del resto nell’ordinamento soltanto nel 2001. L’elenco in parola si limita a stabilire, tra l’altro, la preclusione rispetto a una nuova concessione della «detenzione domiciliare», senza chiarire se anche la nuova misura della «detenzione domiciliare speciale» debba ritenersi interessata dalla preclusione in quanto species riconducibile al genus “detenzione domiciliare”, ovvero se – proprio in quanto non espressamente menzionata – debba ritenersi sottratta alla preclusione in parola. L’ordinanza di rimessione opta, sul punto, per la prima soluzione interpretativa, già accolta da un precedente di legittimità Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 1° luglio 2002, numero 28712 , ritenendo dunque che la preclusione di cui al combinato disposto dei primi tre commi della disposizione censurata si estenda anche all’ipotesi della detenzione domiciliare speciale Ritenuto in fatto, punto 1.2. . 3.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni prospettate, per omessa interpretazione costituzionalmente conforme della disciplina censurata. Secondo la difesa statale, infatti, la preclusione di cui all’articolo 58-quater, ordinumero penit., per espressa previsione del comma 1, sarebbe riferibile alla sola misura della detenzione domiciliare “ordinaria” di cui all’articolo 47-ter, ordinumero penit., e non già a quella speciale di cui all’articolo 47-quinquies. L’eccezione non è fondata. Il giudice rimettente ha esposto puntualmente, attraverso un percorso interpretativo non implausibile, le ragioni che l’hanno indotto a ritenere non praticabile l’interpretazione sostenuta dall’Avvocatura generale dello Stato ciò che deve ritenersi sufficiente ai fini della valutazione di ammissibilità delle questioni prospettate ex multis, sentenze numero 135 del 2018, numero 42 del 2017, numero 262 e numero 221 del 2015 . 4.– Nel merito, le questioni sono fondate, in ragione del contrasto delle disposizioni censurate con l’articolo 31, secondo comma, Cost. 4.1.– Come più volte affermato da questa Corte, «la speciale rilevanza dell’interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione e istruzione», trova «riconoscimento e tutela sia nell’ordinamento costituzionale interno – che demanda alla Repubblica di proteggere l’infanzia, favorendo gli istituti necessari a tale scopo articolo 31, secondo comma, Cost. – sia nell’ordinamento internazionale, ove vengono in particolare considerazione le previsioni dell’articolo 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, numero 176, e dell’articolo 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea CDFUE , proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. Queste due ultime disposizioni qualificano come “superiore” l’interesse del minore, stabilendo che in tutte le decisioni relative ad esso, adottate da autorità pubbliche o istituzioni private, tale interesse deve essere considerato “preminente” “precetto che assume evidentemente una pregnanza particolare quando si discuta dell’interesse del bambino in tenera età a godere dell’affetto e delle cure materne” così, in particolare, sentenza numero 239 del 2014 » sentenze numero 76 del 2017 e, in termini pressoché sovrapponibili, numero 17 del 2017 e numero 239 del 2014 . 4.2.– Muovendo da tali premesse, la sentenza numero 239 del 2014, più volte richiamata dalla Sezione rimettente, ha osservato che la detenzione domiciliare speciale – originariamente anch’essa abbracciata dalla generale preclusione relativa all’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis, comma 1, ordinumero penit. – costituisce «una misura finalizzata in modo preminente alla tutela dell’interesse di un soggetto distinto [dal condannato] e, al tempo stesso, di particolarissimo rilievo, quale quello del minore in tenera età a fruire delle condizioni per un migliore e più equilibrato sviluppo fisio-psichico». Ne deriva che subordinare l’accesso alle misure alternative a particolari condizioni dettate dalla presunta pericolosità del condannato «può risultare giustificabile quando si discuta di misure che hanno di mira, in via esclusiva, la risocializzazione dell’autore della condotta illecita. Cessa, invece, di esserlo quando al centro della tutela si collochi un interesse “esterno” ed eterogeneo», quale quello del minore in tenera età sentenza numero 239 del 2014 nello stesso senso, sentenze numero 174 del 2018 e numero 76 del 2017 . Nella successiva sentenza numero 76 del 2017, questa Corte ha ribadito che l’istituto della detenzione domiciliare speciale, «pur partecipando della finalità di reinserimento sociale del condannato, è primariamente indirizzato a consentire l’instaurazione, tra madri detenute e figli in tenera età, di un rapporto quanto più possibile “normale” sentenze numero 239 del 2014 e numero 177 del 2009 . In tal senso, si tratta di un istituto in cui assume rilievo prioritario la tutela di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, quale è il minore». Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del meccanismo presuntivo originariamente stabilito dell’articolo 47-quinquies, comma 1-bis, ordinumero penit. nei confronti delle madri condannate per un delitto di cui all’articolo 4-bis ordinumero penit., alle quali era in via assoluta precluso l’accesso alla detenzione domiciliare speciale sino che non avessero scontato un terzo della pena meccanismo presuntivo che, sulla base di una valutazione di maggior pericolosità delle condannate per quei reati, impediva al giudice di compiere un bilanciamento caso per caso tra le esigenze di tutela della società e il pericolo di commissione di nuovi reati da parte della madre e la protezione degli interessi del minore. Identica ratio è stata posta alla base della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’articolo 21-bis ordinumero penit. nella parte in cui, attraverso il rinvio al precedente articolo 21, non consentiva alle madri condannate per uno dei delitti di cui all’articolo 4-bis ordinumero penit. l’accesso all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore ai dieci anni, ovvero lo subordinava in via generale alla previa espiazione di una frazione di pena. La sentenza numero 174 del 2018 ha, in proposito, osservato che «[i] requisiti legislativi previsti per l’accesso a un beneficio prevalentemente finalizzato a favorire, al di fuori della restrizione carceraria, il rapporto tra madre e figli in tenera età, non possono coincidere con quelli per l’accesso al diverso beneficio del lavoro all’esterno [disciplinato dall’articolo 21 ordinumero penit.], il quale è esclusivamente preordinato al reinserimento sociale del condannato, senza immediate ricadute su soggetti diversi da quest’ultimo. L’articolo 21-bis della legge numero 354 del 1975, operando invece un rinvio al precedente articolo 21 e parificando i requisiti in discorso, si pone in contrasto con l’articolo 31, comma secondo, Cost.», impedendo all’amministrazione penitenziaria prima, e al giudice poi, di valutare la concreta sussistenza di esigenze di difesa sociale, da bilanciare con l’interesse del minore a vivere il proprio rapporto con la madre. Infine, la sentenza numero 211 del 2018 – ribadita l’unitarietà delle due tipologie di detenzione domiciliare “ordinaria” e speciale previste per consentire al genitore di assistere i propri figli in tenera età – ha dichiarato illegittima la mancata estensione al padre, che fruisca della detenzione domiciliare “ordinaria” per esigenze di cura dei propri figli, della più favorevole disciplina dettata per la madre in caso di violazione delle prescrizioni che accompagnano la concessione del beneficio situazione questa che non comporta sempre e necessariamente la configurabilità del delitto di evasione a carico del condannato, ma che, «escluso ogni automatismo», lascia «al giudice il compito di esaminare caso per caso, attribuendo il giusto peso all’interesse del minore, l’opportunità di sanzionare con la revoca comportamenti della condannata non giustificabili dal punto di vista della doverosa osservanza delle prescrizioni». 4.3.– Alla base dell’intera giurisprudenza di questa Corte, relativa, da un lato, alla detenzione domiciliare “ordinaria” per esigenza di cura dei minori e, dall’altro, alla detenzione domiciliare speciale, sta dunque il principio per cui «affinché l’interesse del minore possa restare recessivo di fronte alle esigenze di protezione della società dal crimine occorre che la sussistenza e la consistenza di queste ultime venga verificata [] in concreto [] e non già collegata ad indici presuntivi [] che precludono al giudice ogni margine di apprezzamento delle singole situazioni» sentenza numero 239 del 2014 . Tale principio non può che condurre a ritenere costituzionalmente illegittimo anche l’automatismo preclusivo derivante dal combinato disposto delle disposizioni censurate, così come interpretate dal giudice rimettente. L’assoluta impossibilità per il condannato, madre o padre, di accedere al beneficio della detenzione domiciliare speciale prima che sia decorso un triennio dalla revoca di una precedente misura alternativa sacrifica infatti a priori – e per l’arco temporale di un intero triennio, che come osserva giustamente il rimettente è un periodo di tempo lunghissimo nella vita di un bambino – l’interesse di quest’ultimo a vivere un rapporto quotidiano con almeno uno dei genitori, precludendo al giudice ogni bilanciamento tra tale basilare interesse e le esigenze di tutela della società rispetto alla concreta pericolosità del condannato. 4.4.– Il venir meno dell’automatismo censurato non esclude, d’altra parte, che le esigenze di tutela della società possano e debbano trovare adeguata considerazione in sede di valutazione, da parte del tribunale di sorveglianza, dei presupposti della concessione della misura. La detenzione domiciliare speciale deve infatti essere negata in presenza di «un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti» da parte del condannato articolo 47-quinquies, comma 1, ordinumero penit. pericolo nel cui accertamento non potrà non tenersi conto della tipologia e della concreta gravità della condotta che ha determinato la revoca della precedente misura. Laddove il tribunale giunga alla conclusione che un tale pericolo sussista, l’interesse del minore dovrà essere necessariamente salvaguardato con strumenti alternativi rispetto al ristabilimento della convivenza con il genitore, quale – ad esempio – l’affidamento ad altro nucleo familiare idoneo. Per ciò che concerne specificamente il padre, poi, l’articolo 47-quinquies, comma 7, ordinumero penit. gli consente l’accesso al beneficio soltanto ove la madre sia deceduta o impossibilitata, e non vi sia modo di affidare la prole ad altri che a lui. Secondo la giurisprudenza di legittimità, inoltre, la mera circostanza dell’impegno lavorativo della madre non basta a integrare il suo assoluto impedimento a prendersi cura della prole, essendo al contrario necessario «verificare caso per caso se esistano strutture di sostegno e di assistenza sociale, ovvero se sia disponibile l’assistenza di altri familiari che possano, all’occorrenza, sostituire la madre» Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 15 marzo-12 settembre 2016, numero 37859 in senso conforme, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 19 dicembre 2014-10 settembre 2015, numero 36733 . A ciò si aggiunge la possibilità per il tribunale di sorveglianza di subordinare la concessione della misura alle prescrizioni contemplate, per la misura cautelare degli arresti domiciliari, dall’articolo 284, comma 2, del codice di procedura penale richiamato sia dall’articolo 47-ter, comma 4, sia dall’articolo 47-quinquies, comma 3, ordinumero penit. , e in particolare al divieto per il detenuto di allontanarsi dal luogo a cui è assegnato, salve specifiche autorizzazioni da parte del giudice, il quale può anche imporgli limiti o divieti alla facoltà di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono. Prescrizioni, tutte, alle quali si aggiungono quelle specifiche relative agli interventi del servizio sociale, disciplinate dai commi da 3 a 5 dello stesso articolo 47-quinquies. La violazione delle prescrizioni da parte del condannato può, d’altra parte, dar luogo alla revoca della misura ai sensi dell’articolo 47-quinquies, comma 6, con conseguente necessità – in tale ipotesi – di salvaguardare gli interessi del bambino in maniera diversa dall’affidamento al genitore. 4.5.– I commi 1, 2 e 3, dell’articolo 58-quater ordinumero penit. devono pertanto essere dichiarati costituzionalmente illegittimi – nella parte in cui prevedono, nel loro combinato disposto, che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare speciale, prevista dall’articolo 47-quinquies della legge numero 354 del 1975, al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una delle misure indicate nel comma 2 dello stesso articolo 58-quater – in ragione del loro contrasto con l’articolo 31, secondo comma, Cost., da leggersi anche alla luce delle disposizioni internazionali e sovranazionali che ne arricchiscono e completano il significato sentenza numero 388 del 1999 . 4.6.– Restano assorbite le ulteriori censure. 5.– La presente dichiarazione di illegittimità costituzionale deve essere estesa, in via consequenziale, anche al divieto – pure stabilito dal combinato disposto delle disposizioni censurate – di concessione della detenzione domiciliare “ordinaria”, nei casi previsti dall’articolo 47-ter, comma 1, lettere a e b , ordinumero penit., nel triennio successivo alla revoca di una delle misure alternative elencate nel comma 2. Tale detenzione domiciliare, prevista per madri e padri di prole inferiore a dieci anni condannati a pene detentive non superiori a quattro anni, anche se costituenti residuo di maggior pena, non potrebbe infatti essere assoggettata a una disciplina deteriore rispetto a quella applicabile per condannati a pene superiori ai quattro anni, cui si rivolge la disciplina della detenzione domiciliare speciale. Come già accaduto in precedenti occasioni sentenze numero 211 del 2018, numero 239 del 2014 e numero 177 del 2009 , l’estensione alla disciplina della detenzione domiciliare “ordinaria” della più favorevole disciplina prevista per la detenzione domiciliare speciale deve, peraltro, essere abbinata all’esplicita previsione della prognosi – alla cui sussistenza è condizionata la detenzione domiciliare speciale, ai sensi dell’articolo 47-quinquies, comma 1, ordinumero penit. – che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti. Ai sensi dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, numero 87 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , va pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge numero 354 del 1975, nella parte in cui detti commi, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare, prevista dall’articolo 47-ter, comma 1, lettere a e b , della legge numero 354 del 1975, al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una delle misure indicate al comma 2 dello stesso articolo 58-quater, sempre che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE 1 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge 26 luglio 1975, numero 354 Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà , nella parte in cui detti commi, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare speciale, prevista dall’articolo 47-quinquies della stessa legge numero 354 del 1975, al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una delle misure indicate nel comma 2 dello stesso articolo 58-quater 2 dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, numero 87 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , l’illegittimità costituzionale dell’articolo 58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge numero 354 del 1975, nella parte in cui detti commi, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare, prevista dall’articolo 47-ter, comma 1, lettere a e b , della stessa legge numero 354 del 1975, al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una delle misure indicate al comma 2 dello stesso articolo 58-quater, sempre che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.