Confermata anche in Cassazione la condanna nei confronti di un uomo per il bacio sulle guance di una ragazza che abita nello stabile di cui lui è portiere. Decisive le modalità della condotta tenuta, ossia prima avances pressanti, con un tentativo di baciare la ragazza sulle labbra, e poi il ripiego su un bacio più ‘casto’, ma comunque catalogabile come violenza sessuale.
Anche un bacio sulla guancia può essere considerato come violenza sessuale. Soprattutto se esso, valutabile come «insidioso e rapido», è solo un ‘ripiego’ rispetto ad avances, più pressanti e troppo sopra le righe, andate non a buon fine Cassazione, sentenza numero 44480, Terza sezione Penale, depositata oggi . Libertà violata. A finire sotto accusa è il portiere di un condominio per un bacio ‘a sorpresa’ - ma non troppo - rifilato alla figlia di una coppia che abita nello stabile. Di bacio sulla guancia si tratta, ma per i giudici l’azione va ‘letta’ come una lesione della libertà sessuale della ragazza. Ecco spiegata la condanna a quattordici mesi di reclusione e a 6mila euro da pagare come risarcimento del danno. Modalità fatali. Ma l’uomo ribatte alla dura condanna contestando - come da ricorso in Cassazione - il ‘peso’ dato al gesto da lui compiuto. «Semplice affettuosità», sostiene l’uomo, un bacio «scambiato in un contesto scevro da qualsiasi dimensione erotica o connotazione sessuale», per giunta nei confronti di una ragazza con cui esistevano «rapporti cordiali». Per i giudici, però, ciò che conta è l’intero episodio, meglio ancora le «modalità della condotta». Difatti, l’uomo «ha chiesto dei bacetti» alla ragazza, poi «ha tentato di baciarla sulla bocca», infine «ha repentinamente appoggiato le labbra sulle guance» della ragazza. Evidente, per i giudici, l’invasione della «sfera sessuale della vittima, costretta a subire, per la repentinità dell’azione, gli atti» posti in essere dall’uomo, atti che esprimono un chiaro «impulso sessuale». Assolutamente condivisibile, quindi, l’ottica adottata in Appello anche per i giudici di Cassazione è legittima la condanna nei confronti dell’uomo per il reato di violenza sessuale.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 settembre – 15 novembre 2012, numero 44480 Presidente Squassoni – Relatore Gazzara Ritenuto in fatto Il Tribunale di Messina, con sentenza del 2/5/08, dichiarava G.P. colpevole del reato di cui all’articolo 609 bis cod. penumero , e, ritenuto il fatto di minore gravità di cui al co. 3 del citato articolo, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, lo condannava alla pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione, con applicazione delle pene accessorie, pena sospesa, e risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, liquidato in euro 10.000,00, nonché alla rifusione delle spese processuali in favore della stessa. La Corte di Appello dì Messina, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 20/6/11, in parziale riforma del decisum di prime cure, ha ridotto la entità della somma liquidata in favore della parte civile, a titolo di risarcimento del danno, liquidandola in euro 6.000,00, Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, con i seguenti motivi - insussistenza del reato contestato, in quanto è evidente che nella condotta assunta dal P. non sono ravvisabili gli elementi cristallizzanti il delitto di violenza sessuale - il giudice di appello non ha fornito adeguato riscontro alle doglianze libellate in gravame, riportandosi al discorso giustificativo svolto dal Tribunale, senza spiegare l’iter logico ed argomentativo che ha portato alla conferma di una sentenza di condanna. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. La argomentazione motivazionale, adottata dal decidente in relazione alla ritenuta concretizzazione del reato in contestazione ed alla ascrivibilità di esso in capo al prevenuto, si palesa logica e corretta. Con il primo motivo di impugnazione la difesa del P. contesta la inquadrabilità della condotta posta da costui in essere nei confronti di M.M. nella fattispecie di cui all’articolo 609 bis cod. penumero , in quanto inidonea a ledere la libertà o la integrità sessuale della ragazza, trattandosi di un semplice bacio sulla guancia, scambiato in un particolare contesto, scevro da qualsiasi dimensione erotica, tanto da escluderne a priori la connotazione sessuale sarebbe stato più opportuno definirlo un semplice gesto di affettuosità da parte di soggetto che da ben sette anni conosceva la ragazza, con la quale intratteneva cordiali rapporti. Rilevasi che la Corte territoriale, dopo avere ritenuto attendibile la vittima e credibile il narrato da essa fornito, perché coerente e confermato da estrinseci riscontri, ha evidenziato che le modalità della condotta posta in essere dal prevenuto, il quale, prima aveva tentato di baciare sulla bocca la ragazza, e, poi, l’aveva baciata sulla guancia, non lasciano adito a dubbi sulla cristallizzazione del delitto contestato integra, infatti, il delitto di violenza sessuale anche il mero sfioramento con le labbra del viso altrui per dare un bacio, posto che tra gli atti suscettibili di concretizzare il reato de quo possono essere ricompresi anche quelli insidiosi e rapidi, riguardanti zone erogene su persona non consenziente Cass. 15/11/05, numero 549 . Peraltro, nel caso di specie, è da evidenziare che l’imputato, portiere nello stabile abitato dalla famiglia della M., recatosi nell’appartamento della p.o., prima ha chiesto, senza alcuna ragione, a M. dei bacetti al mancato positivo riscontro da parte di costei, ha tentato di baciarla sulla bocca poi, vista la resistenza della ragazza, ha repentinamente appoggiato le labbra sulle guance della stessa è evidente che con la condotta posta in essere il prevenuto ha invaso la sfera sessuale della vittima, costretta a subire, per la repentinità della azione, gli atti dall’imputato posti in essere. Va rilevato che la scansione progressiva degli atti predetti rappresenta chiari segni individuanti la volontà del P. di soddisfare, contro la volontà della vittima, un proprio impulso sessuale, non curante della dissenso della ragazza a fronte delle prime avances, tanto da perseverare e baciare la stessa, pur nella consapevolezza che tale gesto non sarebbe stato accettato dalla p.o., così determinando una intrusione nella sfera sessuale di quest’ultima. La censura formulata è, peraltro, da ritenere inammissibile in quanto con essa si tende ad una analisi rivalutativa delle emergenze istruttorie, sulle quali al giudice di legittimità precluso procedere a nuovo esame estimativo, in specie allorchè dal discorso giustificativo, sviluppato dal giudice di merito, emerga che il decidente ha esaminato tutti gli elementi a sua disposizione, fornendo una corretta interpretazione di essi, e ha applicato esattamente le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni, poste a giustificazione della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre Cass. 15/4/99, numero 863 Cass. S.U. 29/1/96, numero 930 elementi questi ravvisabili in sentenza. Con il secondo motivo di ricorso la difesa dell’imputato rileva che il giudice di seconde cure si sarebbe limitato a richiamare la pronuncia dei Tribunale, in maniera ripetitiva, omettendo di dare il dovuto riscontro ai motivi libellati con l’atto di appello. Anche detta censura è del tutto infondata. Dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la gravata decisione emerge, con netta evidenza, che la Corte territoriale ha proceduto ad un ampio e corretto riesame della piattaforma probatoria, nonché ad una puntuale analisi delle ragioni poste a sostegno della impugnazione, ed ha fornito esaustiva giustificazione del proprio convincimento e della ritenuta inconferenza delle doglianze sollevate nell’interesse dell’imputato, così pervenendo alle medesime conclusioni a cui era giunto il primo decidente, sia in ordine alla sussistenza del delitto per cui si procede, sia in relazione alla responsabilità del P. Tenute, conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, numero 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il P. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’articolo 616 cod. proc. penumero , deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1,000,00. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e ai versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 1.000,00.