Il datore di lavoro non può collocare unilateralmente in aspettativa il lavoratore che abbia superato il periodo di comporto.
È illegittima la collocazione in aspettativa non retribuita di un dipendente, avvenuta in assenza di una sua espressa richiesta lo afferma la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 9346/11 intervenuta in materia di assenze per malattia superiori al periodo di comporto.I fatti. Poste italiane, ritenendo che un suo dipendente avesse superato il periodo di comporto, gli intima di regolarizzare la propria posizione presentando un'istanza per l'aspettativa non retribuita. Nonostante il rifiuto del lavoratore, procede con la sospensione dello stipendio per il periodo eccedente il comporto.Il lavoratore si rivolge al Tribunale, chiedendo la restituzione delle somme dovute, stante l'illegittimità del comportamento del datore di lavoro. La domanda viene rigettata in primo grado, e parzialmente accolta nel secondo, dove viene riconosciuto solo in parte il diritto alla retribuzione. Si giunge, infine, in Cassazione.Il datore di lavoro non può disporre l'aspettativa non retribuita senza la richiesta del dipendente. La Corte ritiene fondato il motivo principale di ricorso con il quale il lavoratore fa valere le proprie pretese, in ordine all'integrale restituzione di quanto dovuto. Sostiene, infatti, che risulta in ogni caso precluso al datore di poter collocare in aspettativa non retribuita il lavoratore, senza la richiesta di quest'ultimo. In primo luogo, perché ciò contrasta con il principio, pacifico anche nella giurisprudenza di legittimità, della non modificabilità unilaterale delle condizioni contrattuali, soprattutto con riferimento alla sospensione dell'obbligazione retributiva. In second'ordine, si tratta di un'aperta violazione della norma contrattuale collettiva articolo 18, comma 3, CCNL , che espressamente prevede la possibilità di concedere l'aspettativa non retribuita solo su richiesta del lavoratore interessato.Il danno non patrimoniale va provato. Con altro motivo, il lavoratore censura la sentenza per non avergli riconosciuto il danno non patrimoniale nascente dall'inadempimento del datore di lavoro. In merito, il Collegio afferma che è onere del lavoratore dimostrare l'esistenza del danno e, soprattutto, il nesso di causalità tra questo e l'inadempimento, ai sensi dell'articolo 1223 c.c. La S.C. ammette la possibilità di ricorrere a prova presuntiva, spettando in ogni caso al lavoratore fornire una serie adeguata di circostanze concrete che consentano al giudice di formare il proprio convincimento. Tuttavia, nel caso di specie non è stata fornita la prova del danno, di conseguenza il ricorso viene accolto solo nel suo motivo principale.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 febbraio -26 aprile 2011, numero 9346Presidente Canevari - Relatore BalestrieriSvolgimento del processo , dipendente delle P.I. s.p.a. presso il Centro di meccanizzazione Postale di Lamezia Terme con la qualifica di operatore di gestione, adiva il locale Tribunale esponendo che in data 21 aprile 2000 il datore di lavoro gli comunicava che aveva superato il periodo di comporto, di cui all'articolo 18 comma III del CCNL che non aveva aderito a tale invito facendo rilevare che le assenze erano anche imputabili ad inidoneità alle mansioni cui era adibito che il datore di lavoro dava comunque corso alla sospensione dello stipendio per un periodo di mesi tre e giorni ventuno, illegittimamente sia perché avrebbe dovuto adibire il lavoratore a mansioni compatibili con il suo stato di salute, sia perché l'applicazione della norma contrattuale citata era subordinata alla domanda dell'interessato, nella specie mancante.Chiedeva pertanto la condanna delle P.I. s.p.a., alla restituzione delle somme trattenute e quantificate in mesi tre e giorni ventuno di retribuzione, oltre interessi e rivalutazione, e al risarcimento del danno ex articolo 2087, del danno biologico e di tutti i danni patrimoniali subiti.Si costituiva la società P.I. chiedendo il rigetto del ricorso, assumendo di avere applicato l'articolo 18 c.c.numero l. al solo fine di evitare il licenziamento del dipendente a cui avrebbe dovuto dare corso, avendo egli superato il periodo di comporto previsto dal medesimo contratto collettivo.Il Tribunale di Lamezia Terme, in funzione di giudice del lavoro, rigettava la domanda, con sentenza del 9 maggio 2002 avverso la quale proponeva appello.Si costituiva la società P. resistendo al gravame.La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza numero 177\06, accoglieva parzialmente il gravame, dichiarando il diritto del alla retribuzione per il periodo 15 aprile - 4 giugno 1999 data quest'ultima della comunicazione dell'esito della seconda visita , condannando la società alla restituzione delle corrispondenti retribuzioni trattenute, con gli accessori di legge dal 25 maggio 2000.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il affidato a cinque motivi.Resiste la società P. con controricorso, contenente ricorso incidentale.Motivi della decisione1.- I ricorsi proposti contro la stessa sentenza devono essere riuniti ai sensi dell'articolo 335 cod. proc. civ Con primo motivo il ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. .Si duoleva in particolare il che la corte di merito aveva erroneamente qualificato come malattia computabile nel periodo di comporto l'assenza dal 15 ottobre 1998 al 14 aprile 1999, con valutazione meramente presuntiva e prescindendo dalla valutazione di permanente inidoneità certificata in data 7 gennaio 1999.Sosteneva in particolare che quest'ultima non poteva rientrare nel concetto di malattia, che presuppone un'impossibilità solo temporanea.2. - Con secondo motivo il ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. .Lamenta il che allorquando gli venne comunicato 21 aprile 2000 il superamento del periodo di comporto, con invito a presentare richiesta di aspettativa, egli aveva già ripreso a lavorare da ben 11 mesi. Che la società P. non poteva comunque disporre la sua aspettativa, in mancanza di richiesta, come previsto dall'articolo 18 del c.c.numero l 3. - Con terzo motivo il denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. .Lamenta in particolare che la corte di merito non ritenne sussistere nella specie una valida offerta delle prestazioni lavorative, che invece poteva essere presunta quale ragionevole conseguenza dell'interesse del lavoratore alla continuità del rapporto e della retribuzione Cass. numero 2232 del 1997 , tanto più che nella specie era pacifico che egli aveva offerto la sua prestazione al responsabile delle risorse umane , che tuttavia le aveva rifiutate.4. - Con quarto motivo il censura la sentenza per omessa motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. , consistente nell'imputabilità del ritardo con cui venne accertato 14 aprile 1999 e comunicato 4 giugno 1999 l'esito della seconda visita che lo giudicava idoneo al lavoro . Ciò sia in relazione alla errata individuazione dell'organo sanitario competente per gli accertamenti, sia quanto alla tardiva comunicazione dell'esito degli stessi.5. I primi quattro motivi possono essere congiuntamente esaminati, risultando fondato il secondo, con assorbimento degli altri.Ed invero, a prescindere dalla computabilità o meno di talune assenze ai fini del computo del periodo di comporto, ed a maggior ragione laddove per tale motivo esso non sia stato superato, risulta precluso al datore di lavoro di collocare unilateralmente il dipendente in aspettativa non retribuita, essendo ciò in contrasto sia col principio della immodificabilità unilaterale delle condizioni del contratto di lavoro, con sospensione da parte del datore di lavoro dell'obbligazione retributiva Cass. 16 aprile 2004 numero 7300 , sia, nel caso di specie, con la norma contrattuale collettiva di cui all'articolo 18, 3° comma, che espressamente prevede che l'aspettativa non retribuita può essere concessa solo su richiesta del lavoratore interessato.6. - Con quinto motivo il censura la sentenza per omessa e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. , consistente nella prova del danno non patrimoniale richiesto, esclusa dalla corte di merito, ma invece da ritenersi, nella specie, in re ipsa. Il motivo è infondato.Come chiarito dalle sezioni unite di questa Corte, articolo 1223 cod. civ., l'esistenza di un nesso di causalità fra l'inadempimento e il danno ed a precisare quali, fra le molteplici forme di danno, ritenga di aver subito, fornendo, a tal proposito, ogni elemento utile per la ricostruzione della loro entità.Se è pur vero che in materia ben può farsi ricorso alla prova presuntiva, è altrettanto vero che a tal fine è pur sempre necessario che, ai sensi dell'articolo 115 cod. proc. civ., all'esistenza del danno, il quale funge da presupposto indefettibile per una sua liquidazione, anche in forma equitativa.7. - Con ricorso incidentale la società Poste denuncia la sentenza impugnata per violazione degli 100 del cod.proc.civ. e di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Lamentala che il giudice di appello aveva riconosciuto come non imputabile a malattia il periodo 14 aprile 1999-4 giugno 1999, detraendolo dal periodo di comporto malgrado l'assenza di qualsiasi contestazione al riguardo in sede di gravame, confermando inoltre la sentenza di primo grado relativamente al periodo 15 ottobre 1998-14 dicembre 1998 pur in assenza di specifico motivo di impugnazione.La corte territoriale aveva inoltre violato l'articolo 100 c.p.c. per non aver ritenuto la carenza di interesse del ricorrente alla giuridica valutazione del periodo 14 aprile 1999-4 giugno 1999, in quanto successivo allo scadere del periodo di comporto.Ed infatti, le assenze successive al 25 marzo 1999 non potevano essere detratte dal comporto perché successive alla scadenza del medesimo, non sussistendo così alcun interesse del lavoratore al riguardo. Il ricorso incidentale risulta assorbito.Premesso che la Corte di merito non ha ritenuto che le assenze successive al 25 marzo 1999 dovessero essere detratte dal comporto, bensì retribuite essendo ascrivibile la mancata prestazione lavorativa e la relativa retribuzione alla società P., il motivo risulta assorbito per le considerazioni svolte al punto 5, mirando comunque all'accertamento della legittimità della sospensione unilaterale del rapporto, e di fatto della sola retribuzione, da parte della società P 8. - Il secondo motivo del ricorso principale deve essere quindi accolto, con cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'articolo 384 cod. proc. civ. Alla enunciazione del principio indicato al punto 5 consegue l'accoglimento della domanda di condanna delle P.I. s.p.a., alla restituzione delle somme trattenute e pacificamente quantificate in mesi tre e giorni ventuno di retribuzione, oltre interessi e rivalutazione monetaria in base agli indici ISTAT dal momento della ritenuta sino all'effettiva restituzione. La parziale reciproca soccombenza consiglia la compensazione delle spese di giudizio.P.Q.M.Riunisce i ricorsi. Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigetta il quinto motivo e dichiara assorbiti gli altri. Dichiara assorbito il ricorso incidentale.Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie la domanda di inerente la restituzione delle somme relative alla retribuzione per tre mesi e ventuno giorni, oltre accessori di legge.Compensa le spese dell'intero giudizio.