Pettegolezzi in Regione: non sempre c’è diffamazione

Non vi è diffamazione nella divulgazione di una sentenza di oblazione della pena trasmessa agli organi competenti per il procedimento disciplinare.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza numero 40903, depositata il 18 ottobre. Il caso. Il Tribunale, quale giudice d’appello, ribalta la pronuncia emessa dal Giudice di Pace e così la condanna per diffamazione non c’è più. La parte civile ricorre allora in Cassazione denunziando come la condotta tenuta dall’imputato configurasse il reato di diffamazione. L’imputato aveva inoltrato una nota a più organi amministrativi e politici della Regione, di cui entrambi erano dipendenti, che evidenziava la necessità di avviare un procedimento disciplinare a carico del collega, perché destinatario di una sentenza di oblazione della pena per i reati di ingiuria e molestia nei suoi confronti. Contenuto non diffamatorio L’oggetto del presunto reato era costituito da una missiva che si limitava a riportare fatti oggettivi, ovvero la sentenza di oblazione, senza utilizzare espressioni offensive o denigratorie, ma solo evidenziando l’opportunità di avviare un procedimento disciplinare vista l’area penale interessata dalla condotta. Secondo il Tribunale il fatto di reato non sussiste. mancata prova della verità del fatto. L’estinzione anticipata del procedimento penale instaurato contro l’attuale parte civile già imputata di ingiurie e molestie impediva di poter esperire la prova liberatoria provare la verità del fatto . Al dirigente va riconosciuta la scriminante dell’esercizio di un diritto. Confermando l’assoluzione, la Suprema Corte non sconfessa la pronuncia del Tribunale, ma - pur non esplicitamente - offre una diversa motivazione rispetto alla insussistenza del fatto. Afferma infatti che l’imputato non è punibile perché ha esercitato un diritto nella sua qualità di dirigente, ha segnalato fatti commessi nell’ambiente lavorativo in danno di un superiore, fatti che avrebbero potuto costituire la genesi di un procedimento disciplinare a carico del dipendente.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 maggio - 18 ottobre 2012, numero 40903 Presidente Marasca – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. La parte civile E.D I. ricorre, tramite il difensore avv. R. P., avverso la sentenza 4-2-2011 con la quale il Tribunale di L'Aquila, riformando quella del Giudice di pace della stessa città in data 4-3-2010, aveva assolto D.F. , con la formula perché il fatto non sussiste, dal reato di diffamazione in suo danno. 2. A D. era ascritto l'inoltro di una nota a vari organi amministrativi e politici della Regione in cui si rappresentava la necessità di avviare un procedimento disciplinare a carico dello I. , dipendente come lui della regione, nei cui confronti era stata emessa sentenza di oblazione per i reati di ingiuria e molestia nei confronti dell'imputato. 3. L'assoluzione si fondava su tre considerazioni nel capo d'imputazione non era evidenziato il contenuto diffamatorio della missiva, nella quale erano indicati fatti oggettivi l'invio a più uffici era giustificato dal potenziale interesse di tutti al procedimento disciplinare nei confronti di I. , che infatti era stato instaurato, anche se si era concluso in modo a lui favorevole era paradossale che D. , dopo essere stato oggetto di pesanti apprezzamenti da parte del subordinato, fosse stato imputato di diffamazione solo perché aveva reso nota la vicenda nell'ambito dell'ente, datore di lavoro sia suo che di I. . 4. Il ricorso è articolato in cinque motivi. 4.1 Violazione di legge con riferimento all'articolo 595 cod. penumero in quanto la decisione impugnata contrasta con la giurisprudenza di questa corte secondo cui integra diffamazione l'attribuzione di fatti penalmente rilevanti, divulgata a più persone, anche a prescindere dall'espressione di un giudizio in merito 11018/1999 31613/2008 , quando non ricorra la scriminante ex articolo 596, comma terzo, numero 2 cod. penumero , dell'avvio o pendenza di un procedimento penale e della prova della verità del fatto. 4.2 Violazione della stessa norma per aver negato rilevanza penale alla divulgazione della nota ad una serie di destinatari privi di competenza in ordine al procedimento disciplinare e seguendo un iter di trasmissione che aveva comportato la conoscenza del contenuto da parte di una serie di dipendenti della regione. 4.3 Vizio di motivazione in quanto, con valutazione manifestamente illogica, la sentenza aveva tratto elementi a favore dell'imputato dall'instaurazione del procedimento disciplinare a carico di I. , il cui esito a questi favorevole era peraltro scontato data la tardività della segnalazione, senza tener conto che ciò era avvenuto a cura della sola Direzione del Personale, primo destinatario della missiva, senza l'intervento di alcun altro destinatario della stessa, cui era stata inoltrata “per conoscenza”. Inoltre in sentenza era stato tratto ulteriore elemento a favore di D. dal rilievo che questi era stato pesantemente offeso dal sottoposto, senza considerare che il procedimento penale si era concluso con una pronuncia di estinzione dei reati e che la condotta del prevenuto era addirittura significativa della sua intenzione di offendere colui dal quale si riteneva a sua volta offeso. 4.4 Violazione di legge in relazione all'articolo 97 Cost. e al Regolamento delle Norme disciplinari del personale della Regione , per essere stato ritenuto irrilevante l'inoltro della missiva ad organi od uffici incompetenti all'azione disciplinare, oltre tutto a grande distanza di tempo dal fatto di ingiuria. 4.5 Vizi di cui alle lettere b e c dell'articolo 606 cod. proc. penumero in quanto i fatti d'ingiuria ascritti a I. nel procedimento penale, dichiarati estinti per oblazione, erano stati dati per accertati, in sentenza, come “pesanti apprezzamenti”. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e merita rigetto. 2. La censura inerente all'asseritamente distorta lettura degli articolo 595 e 596 cod. penumero , che, secondo il ricorrente, sarebbe sottesa alla conclusione assolutoria del giudice di secondo grado, è priva di fondamento. Per quanto la giurisprudenza di questa corte evocata nel ricorso, abbia affermato che integra diffamazione l'attribuzione di fatti penalmente rilevanti, divulgata a più persone, anche a prescindere dall'espressione di un giudizio in merito, quando non ricorra la scriminante ex articolo 596, comma terzo, numero 2 cod. penumero , va però considerato che l'esattezza dell'affermazione di responsabilità era stata correlata, in un caso, all'accertamento che i modi usati affissione di sentenza di condanna, con il beneficio della non menzione, in luogo pubblico rendevano per se stessi applicabili le disposizioni di cui all'articolo 594 cod. penumero Cass. 31613/2008 , nell'altro al rilievo della mancanza della prova della verità dei fatti per i quali pendeva procedimento penale, in relazione ad una vicenda in cui l'addebito diffamatorio consisteva nell'affissione, in una vetrinetta appesa nel negozio dell'imputato, nei pressi della cassa, di un ritaglio di giornale dal cui titolo risultava che il diffamato era “alla sbarra” per fatti di cui non era precisata l'epoca, in realtà risalenti ad alcuni anni prima, essendo quindi anche in questo caso i modi usati di per sé diffamatori. 3. La vicenda in esame è del tutto diversa. Come puntualmente evidenziato nella sentenza impugnata, non solo lo stesso capo d'imputazione non reca la descrizione di un contenuto diffamatorio della missiva -il cui tenore è indicato come oggettiva rappresentazione ad alcuni organi regionali della necessità di avviare procedimento disciplinare nei confronti dello I. , destinatario di una sentenza di estinzione per oblazione dei reati di ingiuria e molestia in danno dello scrivente -, ma l'invio a più destinatari era giustificato dal potenziale interesse degli stessi, tutti direttamente o indirettamente collegati al settore omissis di cui l'imputato era dirigente e la persona offesa dipendente, al procedimento disciplinare nei confronti di I. , di fatto instaurato, anche se conclusosi in modo a questi favorevole per tardività della segnalazione. 4. Ne consegue che, al di là della mancata prova della verità del fatto, preclusa dal carattere estintivo della pronuncia di oblazione, l'imputato, assolto con il provvedimento impugnato per insussistenza del fatto, è in realtà non punibile per aver agito nell'esercizio di un diritto, quello di segnalazione di fatti, commessi nell'ambito dell'ambiente di lavoro in danno di un superiore, rilevanti ai fini dell'instaurazione di un procedimento disciplinare a carico del responsabile. Né, come risulta dalla sentenza di appello, le modalità del fatto, alla luce della giurisprudenza richiamata nel ricorso, erano qualificabili di per sé diffamatorie, in quanto caratterizzate, da un lato, dalla scarna ed oggettiva comunicazione della pronuncia della sentenza di oblazione, accompagnata dall'allegazione di un verbale relativo alle indagini svolte dalla polizia postale, dall'altro, dalla divulgazione della notizia limitatamente all'ambito dei diretti, o potenziali, interessati all'instaurazione del procedimento disciplinare a carico della p.o., dipendente del settore omissis . 5. Superflua, ma comunque irrilevante, è l'osservazione metagiuridica del tribunale secondo cui sarebbe stato paradossale che D. , offeso da I. , dovesse rispondere di diffamazione ai danni di questi. 6. Il giudizio di infondatezza dei primi due motivi ha carattere assorbente rispetto all'esame dei successivi, accessori rispetto ai precedenti. 7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.