La concessione edilizia non era illegittima ... anzi la pronuncia d’appello violava il principio di correlazione tra accusa e sentenza

Il giudice di secondo grado non può qualificare in peius il fatto contestato, addebitando una nuova e diversa causa di illegittimità del provvedimento amministrativo, dalla quale derivi una responsabilità penale.

Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza numero 22429 del 24 maggio 2013. Il caso. Un intricato groviglio di disposizioni di legge e provvedimenti amministrativi quello che ha visto protagonisti un committente dei lavori, la ditta esecutrice e altri soggetti accusati e condannati per aver eseguito una lottizzazione abusiva di un terreno a scopo edificatorio realizzando in una zona destinata ad attività commerciale, artigianale e residenziale numerosi appartamenti in un edificio destinato ad ipermercato, nonché di avere eseguito le opere suddette con concessione edilizia illegittima. Concessione edilizia illegittima? La concessione edilizia del 2006, secondo i giudici che hanno emesso la sentenza di condanna, era conforme al piano di lottizzazione del 1998, ma non al PRG Piano Regolatore Generale , cioè allo strumento che regola l’attività edificatoria nel territorio comunale in ogni caso, secondo i giudici territoriali, la concessione non era conforme alle prescrizioni del PUC cioè, piano urbanistico comunale che era stato emanato otto giorni prima della stipula della convenzione di lottizzazione. Il nuovo PUC fissava infatti limiti più restrittivi all’edificazione di unità abitative in particolari zone, vincolandoli al lotto e all’attività. Nuovo PUC quale destino per il piano di lottizzazione precedente? La Corte di Cassazione evidenzia che la questione dirimente è relativa alla validità delle norme del piano di lottizzazione del 1999 rispetto al nuovo PUC le norme non sono state invalidate o rese inefficaci, anzi, il PUC le ha recepite integralmente, confermando e inserendo nel suo contesto lo stesso piano di lottizzazione. Un giudizio di rimproverabilità sì, ma a carico della Corte d’appello. La Suprema Corte non ha mancato di rimproverare la Corte d’appello per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, principio di portata costituzionale ed europea. Nonostante la sentenza di prime cure non avesse posto in discussione la conformità della concessione edilizia al piano di lottizzazione ma solo al PUC, la Corte territoriale è andata oltre nel suo giudizio, sostenendo che la concessione fosse in contrasto con lo stesso piano di lottizzazione. Questa espansione rappresenta - secondo la Suprema Corte - una violazione dei principi affermati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, perché viola il principio del contraddittorio. Contraddittorio e accusa. Secondo i principi affermati dai giudici di Strasburgo il contraddittorio non è circoscritto alla mera formazione della prova, ma si estende alla valutazione giuridica del fatto l’accusato deve essere messo in condizione di discutere sotto ogni profilo l’imputazione che gli è addebitata, e quindi anche della qualificazione giuridica che viene delineata rispetto ai fatti. Concessione edilizia legittima. Dopo approfondita disamina la Corte di Cassazione ha giudicato la concessione pienamente legittima perché non contrastante con il PUC né con il PRG, né con le norme del piano di lottizzazione, pertanto ha disposto l’annullamento della sentenza di secondo grado, senza rinvio, perché il fatto di reato contestato non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 gennaio - 24 maggio 2013, numero 22429 Presidente Lombardi – Relatore Franco Svolgimento del processo 1. Con la sentenza in epigrafe la corte d'appello di Cagliari confermò la sentenza emessa il 9.11.2010 dal giudice del tribunale di Oristano, sezione distaccata di Macomer, che aveva dichiarato M.G.G. , G.P. , A.L. , B.L. e O.G. colpevoli dei reati di cui A all'articolo 44, lett. c , d.p.R. 6 giugno 2001, numero 380, per avere eseguito una lottizzazione abusiva di un terreno a scopo edificatorio realizzando in una sottozona D2, destinata ad attività commerciale, artigianale e residenziale, 14 appartamenti al primo piano di un edificio destinato a piano terra ad ipermercato, con concessione edilizia conforme al piano di lottizzazione regolarmente approvato, ma contrastante con il PRG all'epoca vigente e con il successivo PUC, alla stregua dei quali nella sottozona D2 era consentito realizzare al primo piano solo una abitazione per residenza del custode o del titolare della attività B all'articolo 44, lett. c , d.p.R. 6 giugno 2001, numero 380, per avere eseguito le dette opere con concessione edilizia illegittima, e li aveva condannati alle pene rispettivamente ritenute di giustizia, con la sospensione condizionale della pena e la confisca delle opere realizzate al piano superiore dell'edificio. La corte d'appello ritenne che la concessione edilizia, pur essendo conforme al piano di lottizzazione non era conforme alle norme del PRG e comunque alle prescrizioni del PUC, che era intervenuto prima sia pure di soli otto giorni della stipula della convenzione di lottizzazione e che quindi prevaleva sulle diverse norme della stessa. La corte d'appello infine affermò altresì che la concessione edilizia era in contrasto anche con il piano di lottizzazione e con il d.m. 1444/1968. In sostanza, mentre nella sottozona D1 era consentito solo l'alloggio del custode, l'edificio in questione era sito nella sottozona D2 destinata ad attività artigianale, commerciale e residenze, nella quale le attività dovevano essere non inquinanti e non rumorose e in cui erano consentite al primo piano unità residenziali. Il piano di lottizzazione poi stabiliva che la superficie delle unità residenziali non doveva superare la metà di quella delle unità commerciali al piano terra. Nella specie, l'imputato aveva acquistato nove lotti ed aveva realizzato al piano terra un ipermercato ed al primo piano 14 unità abitative rispettando i limiti di superficie e di volumetria imposti dal piano di lottizzazione ed in conformità alla concessione edilizia. Tuttavia, otto giorni prima della firma della convenzione di lottizzazione, era entrato in vigore il nuovo PUC che per le zone D2 fissava il limite di una sola unità abitativa per lotto ed attività. Pertanto, secondo la tesi accusatoria fatta propria dalla corte d'appello, queste nuove prescrizioni erano vincolanti anche nella specie, sicché la concessione edilizia era illegittima per avere autorizzato la realizzazione al primo piano di più di una sola unità abitativa. 2.1. L'avv. Francesco Pani, per conto di G.P. , committente dei lavori, e di A.L. , legale rappresentante della ditta esecutrice, propone ricorso per cassazione deducendo 1 violazione di legge per avere erroneamente ritenuto che la concessione edilizia numero 19/2006 sia in contrasto con le disposizioni del dm 1444/1968, attinente alla suddivisione in zone territoriali omogenee, secondo quanto stabilito dall'articolo 41 quinquies l. 1150/1942 e dall'articolo 17 l. 765/1967. Osserva che è irrazionale la pretesa di catalogare a priori tutte le possibili situazioni fisiche di uso del territorio mediante zonizzazione. Per la Sardegna comunque si applica il DA numero 2266 del 20.12.1983. In ogni modo, l'imperatività e la inderogabilità del dm 1444/1968 si riferisce solo alle disposizioni in tema di limiti minimi inderogabili di densità edilizia, di altezza e distanza tra i fabbricati articolo 9 e non all'articolo 2 relativo alla definizione delle zone territoriali omogenee. Nessuna norma vieta la possibilità di individuare nei PRG delle sottozone denominate D2 artigianali, commerciali e residenze, dove possono esistere solo attività commerciali ed artigianali non inquinanti e non moleste con possibilità di realizzare anche abitazioni sovrastanti, con opportuni vincoli. Nella specie poi questa possibilità aveva una ben precisa motivazione e giustificazione urbanistica e paesaggistica. 2 inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 17 l. 1150/1942 in relazione alla validità dei piani particolareggiati approvati a seguito della introduzioni di nuove previsioni di PUC. Osserva che erroneamente la corte d'appello ha ritenuto che le norme del PUC prevalevano sulle prescrizioni del PLA approvato nel 1995 in base al PRG previgente e convenzionate in data 26.3.1999. Nella specie l'amministrazione non ha mai apportato varianti al PDL. Inoltre, i piano di lottizzazione, una volta eseguiti, acquistano un carattere di stabilità e rilevano a tempo tendenzialmente indeterminato. Nella specie il PRG approvato con DA 1435 del 1988, nelle NTA stabilisce che nella sottozona D2, denominata artigianale, commerciale e residenze, possono insediarsi soltanto attività non moleste e non inquinanti con possibilità di realizzare anche abitazioni sovrastanti i locali destinati alle attività produttive. Il piano di lottizzazione per la sottozona D2 approvato il 20.1.1994, prevede all'articolo 11 la stessa possibilità stabilendo il limite per la superficie utile abitabile di almeno il 50% rispetto a quella commerciale. Il nuovo PUC, approvato il 18.3.1999, stabilisce invece che nelle zone D2 può realizzarsi al primo piano solo una abitazione per la custodia e la conduzione della attività per lotto ed attività. Sennonché il PUC ha recepito espressamente il piano di lottizzazione inserendolo nella propria cartografia di zonizzazione, con la dicitura D2/PLA ed apposita campitura. Tanto che l'articolo 10 delle NTA del PUC stabilisce espressamente che tale dicitura sta ad indicare la vigenza di un piano di lottizzazione approvato, distinguendo tra disciplina della sottozona D2 e quella della sottozona D2/PLA. Ciò è confermato dalla assenza nel nuovo PUC di qualsiasi volontà di modifica o abrogazione del PLA. È poi palesemente erroneo l'assunto della corte d'appello secondo cui la concessione edilizia sarebbe in contrasto anche con il PRG. Le NTA del piano di lottizzazione non specificavano il numero delle abitazioni realizzabili e non vietavano plurime abitazioni, ma specificavano il limite massimo di edificabilità. Anche l'atto di convenzionamento del 26.3.1999 prevede una parte residenziale degli interventi edificatori, differenziando il contributo per gli oneri di urbanizzazione secondaria e l'onere afferente al costo di costruzione tra le due parti dei fabbricati. 3 erronea applicazione dell'articolo 44, lett. c , d.p.R. 6 giugno 2001, numero 380, per avere qualificato come abusiva la lottizzazione realizzata invece in forza della legittima concessione edilizia numero 19/2006. Osserva che in ogni caso non si può parlare di lottizzazione abusiva in mancanza di una trasformazione urbanistica ed edilizia tale da incidere in modo rilevante sull'assetto urbanistico della zona. Nella specie la zona a piano terra destinata ad ipermercato potrebbe legittimamente essere variata in 14 destinazioni ad attività singole di circa mq. 145 ciascuna, ed il fabbricato avrebbe le stesse caratteristiche e lo stesso numero di residenze. La contestazione in sentenza riguarda infatti soltanto il numero delle residenze realizzate al primo piano e non la regolarità delle volumetrie realizzate. Del resto, si potrebbe chiedere una variante per realizzare una sola unità residenziale al primo piano o trasformare i locali residenziali in locali commerciali o uffici di pertinenza il che è consentito dalle NTA del PLA . 4 violazione dell'articolo 5 cod. penumero e manifesta illogicità della motivazione, perché nella parte in cui afferma che la condotta degli imputati è dettata da un profilo di colpa inescusabile è contraddittoria rispetto agli atti processuali e priva comunque di validi riscontri probatori. 2.2. L'avv. Guido Manca-Bitti, per conto di B.L. e di O.G. , propone ricorso per cassazione deducendo 1 violazione e erronea interpretazione dell'articolo 30 d.p.R. 6 giugno 2001, numero 380, e 3 legge reg. 23/1985. Deduce che la concessione edilizia era legittima e conforme alle norme del PRG che per la zona D2 prevedeva la possibilità di realizzare anche delle abitazioni sovrastanti i locali destinati ad attività produttive il che costituiva frutto di una precisa, ponderata e motivata volontà della amministrazione. Anche il DA 1523 del 21.12.1989 che riapprovava il PRG con alcune correzioni, per quanto concerne le sottozone D2 avvalorava la disciplina precedente riportandola integralmente e confermando la validità di una serie di precedenti decreti assessoriali. La disciplina è stata poi confermata dal nuovo PUC che distingue tra zone D2 e D2/PLA, consentendo di realizzare al piano superiore più abitazioni per l'esercizio della attività nel rispetto della cubatura. Osserva che in ogni caso quanto realizzato è conforme con la disciplina del PUC. Si tratta infatti di sei lotti contigui acquistati e utilizzati insieme per la realizzazione dell'ipermercato che, se edificati separatamente, avrebbero consentito la realizzazione di volumetria più ampia. Inoltre è coerente prevedere la realizzazione di più abitazioni in riferimento ad un ipermercato con una pluralità di attività. E difatti le norme del PUC prevedono una casa di abitazione con il duplice riferimento per lotto ed attività. D'altra parte non risulta che l'amministrazione abbia voluto e tanto meno motivato una modifica del piano di lottizzazione approvato. 2 violazione dell'articolo 43 cod. penumero ed erronea interpretazione dell'articolo 30 d.p.R. 6 giugno 2001, numero 380, e 3 l. reg. 23/1985. Lamenta che in sostanza gli imputati sono stati condannati a titolo di responsabilità oggettiva. La corte d'appello non ha tenuto conto della peculiarità e della novità del caso, costituito dalla realizzazione di un ampio edificio commerciale che occupava più lotti, sicché dovevano considerarsi sia la complessiva cubatura consentita per l'uso abitativo, sia le diverse attività che si sarebbero potute esercitare nel centro commerciale. 2.3. Gli avv.ti Marcello Vignolo e Massimo Massa, per conto di M.G.G. , propongono ricorso per cassazione deducendo 1 inosservanza di norme giuridiche e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. In particolare osservano a che non esiste alcun contrasto tra concessione edilizia e PUC entrato in vigore il 18.3.2006, la cui interpretazione non può fondarsi solo su un passo della relazione al piano, ma semmai sull'articolo 15 delle NA e sulla tavola relativa alla zonizzazione comunale in cui l'area in questione non è indicata come D2 ma come D2/PLA. Il nuovo PUC quindi disciplina in modo diverso le aree D2 e quelle D2/PLA per le quali vale la disciplina urbanistica del piano di lottizzazione. b che il PUC del 2006 aveva fatto salvo il piano di lottizzazione, che aveva conservato la propria efficacia. c che è irrilevante l'argomento su cui si è diffusa la corte d'appello che alla data di entrata in vigore del piano la convenzione urbanistica riguardante il piano di lottizzazione non era stata ancora sottoscritta, perché ciò che rileva è che il PUC non aveva modificato la precedente disciplina del piano di lottizzazione. d che è manifestamente illogica la motivazione nella parte in cui richiama la norma tecnica di attuazione del piano di lottizzazione numero 18 che fa richiamo ai precedenti strumenti urbanistici per quanto non previsto mentre l'edificabilità a scopo residenziale nella zona D2 era prevista. e che la concessione edilizia numero 19 del 2006 non era in contrasto con il PRG previgente alla approvazione del piano di lottizzazione. In particolare il DA 1523 del 21.12.1989 che riapprovava il PRG faceva espressamente richiamo ad una serie di precedenti decreti assessoriali, confermandone la validità e l'efficacia. In ogni caso sia il PM sia tribunale avevano ribadito che non era in discussione la conformità della concessione edilizia al piano di lottizzazione. La corte d'appello quindi ha introdotto un elemento nuovo, mai contestato e mai nemmeno ipotizzato in violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, riqualificando in peius il fatto attribuito senza che la difesa avesse potuto interloquire al riguardo, interferendo in peggio anche in ordine al profilo soggettivo. Vi è stata chiara violazione dei principi di cui all'articolo 6 della Cedu ed all'articolo 111 Cost In ogni caso le norme di attuazione del piano di lottizzazione prevedono espressamente la possibilità di realizzare abitazioni sovrastanti i locali destinati ad attività produttive. f che è erroneo il punto della motivazione in cui si afferma che la concessione edilizia sarebbe in contrasto col dm 1444/1968 perché la zonizzazione del territorio comunale prevista dalla legge 765/67 non impone affatto di individuare nelle zone territoriali omogenee una unica destinazione urbanistica o d'uso. 2 manifesta illogicità della motivazione nella parte in esclude comunque l'errore incolpevole e quindi scusabile sulla base dei certificati di destinazione urbanistica. Il certificato che riguarda il ricorrente attesta che l'area si trova nella sottozona D2 con PLA approvato e non dice affatto che le previsioni del nuovo PUC dovessero prevalere su quelle del PLA. Motivi della decisione 3. I ricorsi sono fondati essendo effettivamente erronea, sotto più profili, la motivazione della sentenza impugnata. La sentenza di primo grado, confermata da quella d'appello, ha ritenuto, sulla base della contestazione, gli imputati responsabili di una lottizzazione abusiva, consistita nella realizzazione in una area del comune di Bosa sita nella sottozona D2 destinata ad attività artigianale, commerciale e a residenze un edificio destinato al piano terra a supermercato ed al primo piano a 14 appartamenti, in forza della concessione edilizia numero 19 del 2006 la quale era conforme al piano di lottizzazione regolarmente approvato, ma era da ritenersi illegittima perché contrastava con le prescrizioni del nuovo PUC, adottate l'11.3.1998 e entrate in vigore il 18.3.1999, ossia pochi giorni prima della sottoscrizione della convenzione di lottizzazione, prescrizioni secondo le quali nella sottozona D2 sarebbe stato consentito realizzare al primo piano soltanto una abitazione da destinare a residenza del custode o del titolare della attività commerciale o artigianale. La sentenza impugnata ha sviluppato il seguente percorso motivazionale -la concessione edilizia 19/2006 era in contrasto con il PUC entrato in vigore il 18.3.1999 - il PUC del marzo del 1999 non aveva fatto salvo il piano di lottizzazione del 1998, sulla base del quale era stata rilasciata la concessione edilizia numero 19/2006 - il fatto che in nessuna disposizione contenuta nel nuovo PUC si stabilisse l'applicabilità alla lottizzazione già approvata delle prescrizioni previste nel piano di lottizzazione comportava l'inapplicabilità di queste ultime - il fatto che alla data di entrata in vigore del nuovo PUC la convenzione urbanistica riguardante quel piano di lottizzazione non fosse stata ancora sottoscritta e-sclude che il Comune avesse l'onere di motivare la sua nuova e diversa regolamentazione delle zone D2 anche all'interno dell'area interessata da quel piano di lottizzazione - la disposizione contenuta nell'articolo 18 delle N.T.A. del piano di lottizzazione, secondo la quale “per quanto non previsto nelle presenti, si rimanda alla normativa vigente ed in particolare alle norme tecniche di attuazione del P.R.G. e del regolamento edilizio del Comune di Bosa” doveva essere interpretata in senso dinamico e, quindi, sulla norma del piano di lottizzazione doveva prevalere la nuova disposizione riguardante le zone D2 contenuta nel nuovo PUC - la concessione edilizia 19/2006 era in contrasto anche con il PRG previgente all'approvazione del piano di lottizzazione - la concessione edilizia era anche in contrasto con il piano di lottizzazione sulla base del quale era stata rilasciata - la previsione di insediamenti residenziali in zona D è in contrasto con il D.M. 1444/1968, avente rango di fonte primaria, con conseguente illegittimità del piano di lottizzazione e della concessione edilizia che hanno reso possibile l'intervento edificatorio. 4. Le conclusioni cui è giunta la corte d'appello non sono condivisibili perché si fondano su una interpretazione delle norme giuridiche che vengono in rilievo palesemente erronea. Per pervenire ad una corretta interpretazione di dette disposizioni, occorre ricordare il decreto assessoriale 1435/U del 26.09.1988, che approvò la variante al PRG di Bosa stabilendo le norme tecniche di attuazione. Per quanto qui interessa, relativamente alle zone artigianali D si prevedeva Art. D/1 “ Area per insediamenti artigianali - commerciali e per piccole industrie . Nei lotti industriali classificati D/1 è vietata la costruzione di case di abitazione fatta eccezione per i locali indispensabili per il personale di custodia ”. La volontà della pubblica amministrazione era quindi nel senso di consentire, nella sottozona D1, la costruzione almeno della casa di abitazione per il personale di custodia. Le sottozone D/2 erano invece rubricate come “ Artigianali - commerciali e residenze ” e per esse veniva espressamente prevista la possibilità di insediare “ soltanto attività commerciali ed artigianali non moleste e non inquinanti, con possibilità di realizzare nel rispetto della normativa sopra indicata anche delle abitazioni sovrastanti i locali destinati alle attività produttive ”. Era quindi evidente la chiara volontà di disciplinare diversamente le due sottozone, consentendo la realizzazione di abitazioni al piano superiore nella sottozona D/2. Anche la successiva disposizione, inserita al termine della classificazione analitica delle diverse discipline relative alle sottozone, sotto la rubrica “ Norme valide per tutte le zone D 1, D 2, D/3, D/4 e D/5 ”, secondo cui era vietata la costruzione di case d'abitazione fatta eccezione per i locali necessari per il personale di custodia, va necessariamente interpretata, in forza del criterio di specialità, nel senso che la norma generale non intaccava la norma speciale relativa alla sottozona D/2. La specifica previsione di una possibilità abitativa nella sottozona D/2 era indubbiamente stata il risultato di una precisa volontà dell'Amministrazione, con la conseguenza che l'unica disciplina da applicare relativamente alla sottozona D/2 era quella che consentiva la realizzazione di abitazioni sovrastanti i locali destinati alle attività produttive. Con DA 1523/U del 21.12.1989, l'assessore regionale approvò nuovamente il PRG di Bosa, operando alcune correzioni ma, per quanto riguardava le sottozone D/2, avvalorò la disciplina precedente sia riportandola letteralmente sia confermando la validità e l'efficacia di una serie di precedenti decreti assesso-riali, tra cui anche il DA 1435/U del 26.9.1988. Il comune di Bosa, con delibera numero 3 del 20.1.1994, approvò poi il relativo piano di lottizzazione per la sottozona D/2, nel quale in sostanza furono assorbiti i principi dettati dal PRG. L'articolo 9 delle norme di attuazione confermò che “ in questa zona possono insediarsi soltanto attività commerciali ed artigianali non moleste e non inquinanti, con possibilità di realizzare nel rispetto della legislazione vigente e delle presenti norme anche delle abitazioni sovrastanti i locali destinati alle attività produttive ”. Il successivo articolo 11 delle norme di attuazione stabilì poi il rapporto tra attività artigianali e residenziali, stabilendo che “ per tutti gli edifici realizzati nei singoli lotti deve essere verificato che il rapporto tra la superficie netta degli ambienti destinati ad attività artigianale e/o commerciale e la superficie utile abitabile della parte residenziale sia superiore, o, al massimo uguale a 2 ”. Il rapporto tra locali destinati ad abitazioni e locali destinati ad attività artigianale o commerciale quindi veniva stabilito non in base al criterio di una abitazione per lotto ed attività, poi adottato successivamente dal nuovo PUC, bensì al criterio della superficie utile abitabile nella parte residenziale, stabilendo che non potesse superare il 50% di quella commerciale. Contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, poi, l'articolo 9 delle NTA del PLA consentiva la realizzazione di locali commerciali anche al primo piano v. articolo 9, comma 2 “ È possibile destinare l'intero immobile ad attività produttive in tal caso il piano primo può essere destinato solamente ad attività commerciale ” e comma 6 “ Il primo piano potrà essere adibito ad attività commerciale se l'altezza utile interna non è inferiore a mt. 3,50 ” . Il 18.3.2006 entrò in vigore il nuovo PUC del comune di Bosa, nel quale venne modificata la normativa del previgente PRG in ordine alla sottozona D/2. In particolare, l'articolo 15 ridenominò la zona in “ Artigianali – Commerciali ”, stabilendo che “ in questa zona possono insediarsi soltanto attività artigianali e commerciali non moleste e non inquinanti, con possibilità di realizzare nel rispetto delle normative sopra indicate solo una abitazione per la custodia o la conduzione della attività stessa per lotto ed attività. Tale unità residenziale dovrà essere realizzata al piano superiore dei locali destinati alle attività produttive ”. 5. La corte d'appello ha ritenuto che la concessione edilizia fosse in contrasto con le nuove norme del PUC relative alla sottozona D/2, le quali avrebbero ormai reso invalide ed inefficaci le contrastanti norme del relativo piano di lottizzazione. Ciò - secondo la sentenza impugnata - perché a pag. 83 della relazione al PUC si afferma che sono confermate le scelte delle ultime varianti di PRG e si precisa che sono confermate le sottozone, fra le quali la “ D2 artigianale, con residenza del conduttore ”. Da questa espressione contenuta nella relazione che accompagnò la presentazione del nuovo PUC al consiglio comunale di Bosa, la sentenza ha anzi dedotto che anche per il “ PRG previgente la destinazione della zona D2 fosse riservata ad attività artigianali o commerciali con annessa residenza per il solo custode ”. L'errore interpretativo emerge dalla stessa sentenza laddove si afferma che i “ più elementari principi dell'interpretazione giuridica . impongono di trarre il significato di una norma dal suo significato letterale e all'occorrenza dalla disciplina normativa sopraordinata di riferimento ”. Ora, proprio seguendo questo esatto criterio ermeneutico indicato dalla corte d'appello, deve escludersi l'utilizzabilità del passo della relazione al nuovo piano urbanistico comunale per interpretare le norme del piano stesso, con particolare riferimento alla questione della salvezza o meno del piano di lottizzazione approvato in precedenza. Il piano regolatore generale, infatti, consiste di una parte normativa - le norme tecniche di attuazione e il regolamento edilizio - e di un complesso di tavole destinate a individuare e delimitare graficamente le zone e le aree alle quali si riferisca la parte normativa. Secondo la giurisprudenza amministrativa, invero, “ allorché il territorio comunale risulta suddiviso in zone, a norma dell'articolo 7 comma 2 numero 2, l. 17 agosto 1942 numero 1150 divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate alla espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona , le relative tavole planimetriche allegate al piano regolatore generale hanno lo scopo precipuo di individuare le singole zone, con piena efficacia precettiva e di integrazione delle disposizioni del piano, costituendo gli elaborati planimetrici parte integrante dello strumento urbanistico generale ” Cons. Stato, sez. IV, 9.6.2009, numero 5401 . Si è anche ritenuto che una interpretazione autentica recata da una relazione istruttoria tecnica ad una variante di un PRG “ non è utilizzabile per risolvere dubbi interpretativi ma solo per far emergere con chiarezza una volontà già interamente contenuta nella norma ” TAR Lombardia, Brescia, 31.8.2009, numero 1578 ossia che la relazione al piano non ne integra il contenuto normativo e in sede di interpretazione ad essa può assegnarsi una utilità soltanto marginale, quando dalla lettera delle norme tecniche o dall'esame della cartografia residuino incertezze circa la disciplina dettata dal piano. 6. Ora, il punto veramente essenziale della questione proposta nel presente processo è che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d'appello, il PUC in realtà non rese invalide ed inefficaci le norme del piano di lottizzazione bensì le recepì integralmente confermando e inserendo nel suo contesto lo stesso piano di lottizzazione. Ed infatti, nella tavola relativa alla zonizzazione del territorio comunale - costituente parte integrante del PUC - l'area per cui è processo non è indicata come D2, bensì come D2/PLA, ossia D2 con piano di lottizzazione approvato, con una campitura diversa dalla zona D2, riportata invece nelle immediate vicinanze per altra porzione del territorio classificata, appunto, semplicemente D2. Inoltre, nella legenda a margine della suddetta tavola, si specifica che alla sigla PLA corrisponde la dicitura “ Piano di Lottizzazione Approvato ”. In altri termini, il piano urbanistico comunale entrato in vigore il 18.03.1999, con riferimento alla zona interessata precisa che nella stessa insiste un piano di lottizzazione approvato, delimitato e identificato con l'acronimo PLA anche nella cartografia, in tal modo distinguendo quella zona D2/PLA dalle altre, distribuite nel territorio comunale, per le quali veniva invece dettata la disciplina relativa alla zona D2. Tanto è vero che nell'articolo 10 delle NTA del PUC, relativo alle Zone Territoriali Omogenee, si prescrive, al punto 4 , Zona D “ La zona è suddivisa in D1-D2-D3-D4-D5 ”, e “ anche in questa sottozona la dicitura PLA sta a significare la vigenza di un piano attuativo approvato ”. È quindi evidente che il nuovo PUC di Bosa approvato nel 1999, disciplina in modo diverso le aree D2, per le quali valgono le previsioni contenute nell'articolo 15 delle NTA che stabilisce che nella sottozona D2 possono “ insediarsi soltanto attività artigianali e commerciali non moleste e non inquinanti, con possibilità di realizzare, nel rispetto della normativa sopra indicata solo una abitazione per la custodia e la conduzione dell'attività stessa per lotto ed attività. Tale unità residenziale dovrà essere realizzata al piano superiore dei locali destinati alle attività produttive ” rispetto alle aree esplicitamente classificate invece come D2/PLA, per le quali vale invece la disciplina urbanistica di natura speciale dettata dal piano di lottizzazione approvato. Il testo del nuovo PUC parla espressamente di “ vigenza ” del piano attuativo approvavo, il che non lascia dubbi sul significato della disposizione e sull'esplicito riconoscimento che il piano di lottizzazione approvato continuava a produrre effetti giuridici come disciplina speciale per quelle zone D2/PLA rispetto a quella generale per le altre zone D2 del PUC. Di conseguenza, le norme applicabili nella specie, trattandosi appunto di zona D2/PLA, erano quelle dello strumento attuativo rimaste in vigore, e pertanto consentivano che il lottizzante realizzasse al piano superiore più abitazioni per l'esercizio dell'attività purché nel rispetto degli indici di cubatura e della superficie nel limite del 50% rispetto alla superficie del piano terra. Si tratta dell'unica interpretazione fedele alla lettera dello strumento urbanistico, il quale, come già ricordato, parla di “vigenza” del piano attuativo approvato articolo 10 NTA del PUC . Altrimenti, del resto, non vi sarebbe stata alcuna ragione per ricordare l'esistenza di un piano di lottizzazione approvato, se non quella di evidenziare la sussistenza di una norma speciale di attuazione PLA rispetto alle norme generali del nuovo PUC. 7. Questa interpretazione - fondata sulla lettera delle disposizioni - è inoltre anche conforme al principio secondo cui “ Nel caso di approvazione di una variante generale al piano regolatore generale, o vi è un espresso e specifico richiamo alle prescrizioni del precedente strumento attuativo su cui si intenda incidere, oppure - in assenza di tale richiamo - tale approvazione è irrilevante per la perdurante efficacia delle prescrizioni del piano attuativo ” Cons. Stato, sez. IV, 4.12.2007, numero 6170 , nonché al principio secondo cui “ la variante di un piano regolatore che conferisce nuova destinazione ad aree che risultano già urbanisticamente classificate necessita di apposita motivazione . quando le classificazioni preesistenti siano assistite da specifiche aspettative, in capo ai rispettivi titolari, fondate su atti di contenuto concreto, nel senso che deve trattarsi di scelte che incidano su specifiche aspettative, come quelle derivanti da un piano di lottizzazione approvato, da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o dalla reiterazione di un vincolo scaduto Cons. Stato, sez. IV, 5.8.2005, numero 4166 Cons. Stato, sez. V, 2.3.2009, numero 1149 . L'interpretazione qui adottata, poi, da senso e razionalità al comportamento della amministrazione comunale che sottoscrisse la convenzione di lottizzazione otto giorni dopo l'entrata in vigore del PUC, utilizzando senza modifiche lo schema di contratto allegato all'approvazione della lottizzazione, a dimostrazione del convincimento che nulla era cambiato essendo stato il PLA espressamente incorporato nel nuovo PUC. Altrimenti, se cioè l'amministrazione avesse ritenuto che con l'adozione del PUC si erano operate modifiche significative alla disciplina del piano di lottizzazione approvato ancorché non fosse stata ancora sottoscritta la convenzione di lottizzazione , avrebbe non solo chiarito esplicitamente nel nuovo piano che venivano superate le norme del PLA, ma avrebbe anche analiticamente motivato le ragioni di tali modifiche, in conformità alla giurisprudenza amministrativa sul punto. D'altra parte, questa interpretazione non contrasta affatto con la relazione al piano cui si è riferita la corte d'appello, dal momento che la frase della relazione riportata dalla sentenza impugnata “ Il PUC conferma quindi anche l'articolazione in sottozone . D2 artigianale, con residenza del conduttore ” , deve ovviamente essere correttamente interpretata nel senso che si riferisce all'unica porzione del territorio comunale individuata come D2 e non anche alla sottozona individuata nella cartografia come D2/PLA, sicché non osta certamente alla perdurante efficacia delle norme del piano di lottizzazione approvato. Inoltre, l'Amministrazione non ha mai provveduto mediante specifiche varianti a modificare l'assetto urbanistico-edilizio della zona interessata dal piano di lottizzazione, nonostante avrebbe potuto farlo con semplicità prima del convenzionamento, avvenuto otto giorni dopo l'adozione del piano. La corte d'appello ha invocato anche la circostanza che “ in nessuna disposizione contenuta nel PUC si stabiliva l'applicabilità alla lottizzazione già approvata delle prescrizioni previste nel piano di lottizzazione ”. Si tratta di affermazione che si pone in contrasto con i principi che regolano il rapporto fra piani attuativi e varianti al PRG sopravvenute. La citata decisione del Consiglio di Stato numero 6170/2007, ha invero affermato che in assenza di uno specifico richiamo alla disciplina di un piano attuativo precedentemente approvato sul quale il nuovo PRG voglia incidere, deve ritenersi che il primo conservi la propria efficacia, ancorché le norme del nuovo strumento generale disciplinino in modo diverso le porzioni di territorio insistenti sulla medesima zona omogenea. In ogni modo nel caso in esame questo problema nemmeno si pone, perché il nuovo PUC espressamente ha recepito il piano di lottizzazione approvato per la zona D2 inserendolo nel suo contesto quale sua parte integrante, in tal modo stabilendo espressamente l'applicabilità alla lottizzazione già approvata delle prescrizioni previste nel relativo piano di lottizzazione. La corte d'appello ha altresì osservato che le previsioni del nuovo PUC debbono prevalere su quelle del precedente piano attuativo per la ragione che la convenzione di lottizzazione era stata sottoscritta successivamente otto giorni dopo all'entrata in vigore del nuovo PUC, richiamando il principio secondo cui, in sede di pianificazione urbanistica generale, i comuni non incontrano limiti di sorta nell'ipotesi in cui vogliano modificare - in senso peggiorativo per la proprietà privata - la disciplina prevista da un piano attuativo che non abbia ancora acquistato efficacia. Si tratta però di un argomento palesemente inconferente, e quindi manifestamente illogico, perché nella specie non si discuteva del se il comune avesse il potere di modificare la disciplina dettata dal piano di lottizzazione, ma del se. il nuovo PUC avesse inciso, modificandola, sulla disciplina previgente del piano di lottizzazione. Questa modifica in realtà non è mai avvenuta perché il nuovo piano ha attribuito all'area la specifica classificazione D2/PLA, di modo che è superfluo chiedersi se sussistesse o meno il potere di modificare. È parimenti manifestamente illogica ed erronea la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui richiama la norma tecnica di attuazione del PLA secondo cui “per quanto non previsto nelle presenti, si rimanda alla normativa vigente e, in particolare alle norme tecniche di attuazione del PRG e del regolamento edilizio del Comune di Bosa”. È infatti evidente che questa disposizione, da un lato, faceva riferimento a quanto non previsto, mentre l'edificabilità a scopo residenziale nella sottozona D2 era invece prevista dagli articolo 9 e 11 al tempo dell'approvazione del piano, e, dall'altro, non poteva comunque che riferirsi alle norme preesistenti, non potendo certamente dettare alcuna norma sulla pianificazione futura e sovraordinata di competenza del Consiglio nell'ambito di un procedimento del tutto diverso. 8. La corte d'appello ha peraltro anche affermato che la concessione edilizia numero 19/2006 sarebbe comunque illegittima in quanto in contrasto, non soltanto con il nuovo PUC entrato in vigore nel 1999, ma anche con il precedente PRG, che, sempre a giudizio della Corte, avrebbe consentito nelle sottozone D2 soltanto la realizzazione di un'unità abitativa per lotto e attività. Questo assunto è innanzitutto chiaramente irrilevante perché quel che importa è unicamente la conformità della concessione edilizia al piano di lottizzazione per la zona D2, il quale, come già rilevato, è stato integralmente recepito nel nuovo PUC, di modo che, essendo la concessione edilizia all'epoca del rilascio conforme al PUC vigente, ossia al PUC nel quale era stato inserito il PLA, non ha più alcuna importanza la sua conformità o meno al precedente PRG. Ma l'assunto è altresì infondato perché non è stata prospettata alcuna situazione di contrasto tra il piano di lottizzazione e il previgente PRG. La corte d'appello richiama, a sostegno della propria tesi, il decreto assessoriale 1523/U del 21/12/89, che approvò nuovamente il PRG dopo l'annullamento da parte del TAR. Deve in contrario rilevarsi che tale decreto assessoriale confermò esplicitamente la validità e l'efficacia dei precedenti decreti assessoriali con i quali era stato approvato il precedente PRG e in particolare la validità e l'efficacia del decreto 1435/U del 26/9/1988, che prevedeva appunto la possibilità di realizzare nella sottozona D2 anche le residenze. L'applicabilità di questa disciplina, del resto, era stata poi ribadita anche nella deliberazione numero 63 dell'1/3/1992, con cui il consiglio comunale di Bosa, rispondendo al comitato regionale di controllo incardinato nello stesso assessorato agli enti locali e urbanistica della Regione Sardegna che aveva emanato il decreto 1535/U del 21/12/1989, chiarì che, mentre in generale nelle zone D era consentita soltanto la realizzazione di abitazioni accessorie agli opifici artigianali o commerciali, nella sottozona D2 era invece prevista la destinazione artigianale, commerciale e residenziale. Non è pertanto esatto interpretare le disposizioni contenute nel PRG vigente al momento dell'approvazione del piano di lottizzazione sulla base di un provvedimento il D.A. 1535/U del 21/12/89 letto in modo parziale e senza considerare che proprio quel provvedimento richiamava espressamente la disciplina previgente per asserirne in modo esplicito l'ulteriore validità. D'altra parte, nella specie si trattava di sei lotti contigui acquistati ed utilizzati insieme per la costruzione dell'ipermercato. Ora, anche a prescindere dal piano di lottizzazione, se nello strumento urbanistico generale il collegamento attività - abitazione in una zona artigianale e commerciale era inteso e consentito come rapporto funzionale tra le due, era coerente con il sistema prevedere e permettere nel rispetto degli indici previsti la realizzazione di più abitazioni in riferimento ad una multivendita. Esattamente la difesa eccepisce che in un centro commerciale, seppure riuniti in un unico vasto ambiente di vendita generalizzata, operano anche diversi commercianti e artigiani, titolari di spazi autonomi e riservati alla loro specifica attività. La sottozona D2 era ispirata proprio dall'esigenza di consentire una eccezione all'ordinario divieto di realizzare abitazioni in zona D in vista di agevolare il gestore dell'attività, sicché anche il limite numerico non poteva essere che quello del rapporto tra abitazione e le diverse imprese commerciali o artigiane, nel rispetto della percentuale consentita di cubatura e di superficie. E difatti le norme del PUC prevedono espressamente di realizzare una casa di abitazione per lotto e per attività. Come già si è accennato, peraltro, tutte queste considerazioni sono in realtà irrilevanti perché il piano di lottizzazione approvato in questione, quand'anche per ipotesi non fosse stato conforme al previgente PRG, è stato recepito ed inserito, così com'era, nel nuovo PUC del 1999. La legittimità della concessione edilizia numero 19 del 2006, quindi, deve essere valutata solo con riferimento al piano di lottizzazione così come recepito dal PUC. 9. La corte d'appello, inoltre, sebbene la sentenza di primo grado avesse più volte ribadito che non era in discussione la conformità della concessione e-dilizia numero 19/2006 al piano di lottizzazione la cui mancanza peraltro non era stata contestata con il capo di imputazione sostiene che la concessione edilizia sarebbe stata non conforme allo stesso piano di lottizzazione. Ciò perché a le norme di attuazione del piano di lottizzazione, pur prevedendo la possibilità di realizzare abitazioni sovrastanti i locali destinati alle attività produttive, non ne specificavano il numero b le norme di chiusura dell'articolo 18 in realtà la sentenza si riferisce all'articolo 19 “ Poteri di deroga ” del piano di lottizzazione rinviano, per quanto non previsto, alle norme tecniche di attuazione del PRG e del regolamento edilizio. Ora, questa affermazione si pone innanzitutto in contrasto con il principio di correlazione tra accusa e sentenza perché non solo riqualifica in peius il fatto contestato, ma addebita una nuova e diversa causa di illegittimità della concessione edilizia, con riflessi anche sul profilo soggettivo e sulla scusabilità dell'errore, senza che la difesa abbia avuto modo di interloquire al riguardo, in violazione dei principi affermati dalla Corte EDU dee. 11.12.2007, Drassich c. Italia dee. 25.3.1999, Pellissier e Sassi c. Francia in riferimento all'articolo 6, par. 3, lett. a e b della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, che impone un concetto ampio del principio del contraddittorio, che non è circoscritto alla sola formazione della prova, ma che proietta i suoi effetti anche alla valutazione giuridica del fatto, nel senso che l'imputato deve essere messo nelle condizioni di discutere in contraddittorio ogni profilo dell'accusa che gli viene mossa, compresa la qualificazione giuridica dei fatti addebitati Sez. I, 3.2.2011, numero 25881, Massoleni, non mass. . In ogni caso, anche questo assunto della sentenza impugnata è chiaramente infondato. Ed infatti, le norme di attuazione del piano di lottizzazione, approvate con la deliberazione del Consiglio comunale, all'articolo 9 prevedono la possibilità di realizzare nell'area “ anche delle abitazioni sovrastanti i locali destinati alle attività produttive ”, e, all'articolo 11, pongono i limiti di questa potestà edificatoria con esclusivo riferimento al rapporto fra superficie netta destinata alle attività commerciali o artigianali e superficie utile abitabile. Quindi, benché il piano ÈL di lottizzazione approvato non indicava il numero delle abitazioni realizzabili e non vietava espressamente la costruzione di plurime abitazioni, ma specificava solo il limite massimo di edificabilità il 50% della superficie realizzata per il piano terra destinato alle attività commerciali . Ed era proprio questo limite massimo di edificabilità che di fatto assicurava una limitazione del numero delle abitazioni, stante la ridotta superficie della gran parte dei lotti. È poi inappropriato il richiamo all'articolo 18 in realtà 19 del PLA, sia perché la possibilità di locali destinati a residenza nel piano superiore era prevista dagli articolo 9 e 11, sia comunque perché né le NTA del PRG né quelle del regolamento edilizio del comune di Bosa contrasterebbero con la concessione edilizia in esame. D'altra parte, la conformità della concessione edilizia agli strumenti urbanistici sovraordinati è confermata anche dalla delibera del consiglio comunale di Bosa numero 63 del 1992, la quale, nell'approvare un piano di lottizzazione in località Santa Caterina, inserita anch'essa nella zona D/2 del previgente PRG, specificò che “ l’interpretazione da dare alle NTA è quella di vietare costruzioni di case di civile abitazione, fatta eccezione per i locali necessari per il personale di custodia, per tutte le sub zone ad eccezione della zona D2 artigianale - commerciale – residenze ”. Ossia, per la sottozona D2 si dava per pacifico che erano consentite anche case di abitazione non destinate al personale di custodia. È pertanto evidente che la PA, già all'atto della emanazione del PRG, volle prevedere dal punto di vista urbanistico una zona mista con più destinazioni compatibili e con adeguati limiti quantitativi per le residenze rispetto alla destinazione d'uso prevalente dell'area di tipo artigianale e commerciale, e ciò anche al fine di rendere più coerente con l'architettura del paesaggio la vista della lottizzazione dai tornanti della SS 291, unica arteria stradale all'epoca di accesso all'agglomerato urbano. Del resto, anche nella deliberazione numero 70 del 20/11/98, relativa all'integrazione dello schema di convenzione già approvato con deliberazione numero 68 del 29/05/95, è espressamente detto che il piano di lottizzazione in questione è inserito in sottozona D2, artigianale, commerciale e residenziale. Inoltre, anche l'atto di convenzionamento sottoscritto il 26.3.1999, prevede una parte residenziale negli interventi edificatori, dal momento che all'articolo 14 differenzia il contributo afferente agli oneri di urbanizzazione secondaria e l'onere afferente il costo di costruzione tra la parte artigianale - commerciale e la parte residenziale dei fabbricati da realizzare nel PLA. E, a questo fine, la giurisprudenza amministrativa differenzia tra residenze e abitazione del custode o conduttore dell'attività produttiva, in considerazione del carattere pertinenziale di questa. 10. La corte d'appello ha altresì affermato che la concessione edilizia numero 19/2006 sarebbe comunque illegittima perché in contrasto con il d.m. 1444/1968, e precisamente col disposto dell'articolo 2, che definisce le zone territoriali omogenee ed in particolare definisce come zona D “ le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati ”, intendendo le parti del territorio comunale a prevalente destinazione industriale, artigianale e commerciale. Preliminarmente va rilevato che anche questa causa di illegittimità della concessione edilizia non è stata mai regolarmente contestata con il capo di imputazione o successivamente. In ogni modo, anche questo assunto - che sembrerebbe rifarsi ad una vecchia concezione, ormai da lungo tempo superata - è chiaramente infondato, pur se utilizzato a soli fini interpretativi degli strumenti urbanistici comunali. Preliminarmente, deve precisarsi che le disposizioni che si applicano agli strumenti urbanistici dei comuni della Sardegna, ai sensi dell'articolo 5 della legge reg. 19.5.1981, numero 17, non sono quelle del d.m. 2 aprile 1968 numero 1444, erroneamente indicato dalla corte d'appello, bensì quelle del d.a. 20 dicembre 1983, numero 2266/U c.d. decreto Floris Sez. III, 2.7.2008, numero 38044, Locci, non mass. . Va poi rilevato che la zonizzazione del territorio di cui alla legge 765/67, non impone affatto di individuare nelle zone omogenee definite con il d.m. 1444/1968 e, in Sardegna, con il d.a. 20.12.1983, numero 2266/U , un'unica destinazione urbanistica o d'uso. Invero, la pretesa di catalogare a priori tutte le possibili situazioni fisiche e di uso del territorio di un aggregato urbano mediante la zonizzazione appare irrazionale e contraria ad una tempestiva recezione delle mutevoli istanze economico-sociali della collettività locale. Gli ostacoli alla corretta definizione delle zone territoriali omogenee, quindi, possono essere e vengono superati sulla base degli obiettivi di pianificazione che l'amministrazione intende perseguire. Pertanto, la zonizzazione del territorio risponde all'esigenza di fissare, in chiave programmatica, e in ragione del tipo di insediamento prevalente, limiti di densità, di altezze e di distanza nelle nuove costruzioni, ma non vieta che funzioni tipiche dell'una o dell'altra zona possano andare a far parte di altre, così determinando destinazioni miste cfr. Sez. III, 29.1.2001, numero 11716, Matarrese, m. 221197, in motivazione, punto 1, dove si afferma che “ La divisione in zone del territorio comunale può non coincidere con la individuazione delle zone territoriali omogenee previste dal D.M. numero 1444/1968, sicché ben può verificarsi come nel caso in esame che in una zona territoriale omogenea sia compresa più di una destinazione di P.R.G. e, nelle situazioni di incertezza e di ambiguità, la individuazione delle zone omogenee viene ad essere completamente determinata dalla successiva operazione di definizione delle quantità minime di aree per i servizi e di vincolo per l'edificazione, che si intendono perseguire e porre in atto ” . Unico limite alla possibilità di prevedere zone omogenee miste deve individuarsi nel dovere dell'Amministrazione di definire comunque quantità minime di aree per servizi e vincoli di altezza e di distanza nella normativa di attuazione, il che nella specie è avvenuto. D'altra parte, la giurisprudenza civile di questa Corte ha più volte affermato che il d.m. 2 aprile 1968, numero 1444, essendo stato emanato su delega dell'articolo 41 - quinquies della legge 17 agosto 1942, numero 1150 c.d. legge urbanistica , aggiunto dall'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, numero 765, ha efficacia imperativa e si impone come fonte sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali, sicché le sue disposizioni sono inderogabili, ma ciò unicamente per quanto concerne “ le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati [che] prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica ”, ossia soltanto con riferimento alle disposizioni dell'articolo 9, e non anche a quelle dell'articolo 2, relativo alla definizione delle zone territoriali omogenee cfr. Cass. civ., Sez. Unumero , 7.7.2011, numero 14953, m. 617949 Sez. II, 14.3.2012, numero 4076, non mass. . Pertanto, né l'articolo 2 del d.m. 1444/1968 né altre norme sovraordinate vietavano alla amministrazione comunale di Bosa di individuare nel proprio PRG e nei piani di lottizzazione una sottozona urbanistica denominata D/2 artigianali - commerciali - residenze, dove “ devono insediarsi soltanto attività commerciali ed artigianali non moleste e non inquinanti, con possibilità di realizzare anche abitazioni sovrastanti i locali destinati alle attività produttive ”. La previsione è poi certamente razionale nel suo insieme, perché l'attività prevalente consentita è quella commerciale e artigianale come previsto per le zone D , mentre tali attività devono obbligatoriamente avere il requisito di non essere moleste o inquinanti per essere compatibili con le residenze, la cui realizzazione è stata peraltro consentita, stante la sua sussidiarietà, con opportuni vincoli solo al piano superiore del fabbricato e con opportuni limiti quantitativi nella misura non superiore al 50% delle superfici del piano terra, come specificato dal piano di lottizzazione . Le difese hanno inoltre evidenziato anche sulla base di una relazione pro ventate del redattore del piano, prof. Mistretta come questa possibilità avesse altresì una ben precisa motivazione e giustificazione sia dal punto di vista urbanistico che di inserimento con l'architettura di paesaggio della città di Bosa, oltre che di volontà della amministrazione comunale di incentivare gli interventi produttivi locali e al fine di una maggiore integrazione delle attività nel tessuto periferico urbano. 11. In conclusione, non sussistono né i contestati profili di contrasto della concessione edilizia numero 19/2006 con le norme del nuovo PUC del 1999 o del previgente PRG del comune di Bosa, né i profili di contrasto non contestati ma ipotizzati dalla sentenza impugnata con le norme del piano di lottizzazione approvato nel 1999 e del d.m. 1444/1968. La predetta concessione edilizia numero 19 del 2006, pertanto, deve ritenersi, sotto i profili che sono venuti in evidenza nel presente processo, pienamente legittima. Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, in relazione ad entrambi i reati contestati, perché il fatto non sussiste. Ne deriva, ovviamente, anche il venir meno della statuizione di confisca. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.