Apertura di una porta nel muro comune: non è necessario il consenso di tutti i condomini

L’apertura di un varco nel muro condominiale, che consente di trasformare una cantina in un box, non necessita del consenso di tutti i condomini se l’opera non altera la destinazione del bene comune né impedisce agli altri condomini di fare parimenti uso delle parti interessate dall’intervento edilizio.

Questa, in sostanza, la decisione resa dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza numero 6483 depositata in cancelleria lo scorso 24 aprile. Gli ermellini , ciò balza all’occhio leggendo il testo della sentenza, altro non hanno fatto che confermare la sentenza di secondo grado rigettando il ricorso proposto. Una pronuncia utile a rimarcare un aspetto importante in materia condominiale l’uso individuale delle parti comuni è lecito finché non disturba gli altri o non ne limita i diritti. «Condominio a conduzione familiare lite certa». Il detto, coniato per l’occasione, chiarisce il contesto nel quale si è svolta la vicenda. Due condomini, nella loro qualità di proprietari di due distinti appartamenti, fanno causa ai loro vicini questi hanno aperto un varco nel muro comune e dopo qualche tempo si sono concessi il bis. Gli attori, quindi, ritenendo quegli interventi abusivi e comunque illegittimi, chiedevano la riduzione in pristino dello stato dei luoghi e il risarcimento del danno. Il Tribunale di Roma accoglieva parzialmente la domanda obbligando i convenuti al ripristino dello stato dei luoghi ed al pagamento delle spese di lite. I convenuti, nel frattempo in parte sostituiti nel giudizio dai loro eredi, non ci stavano e proponevano appello. A loro dire, infatti, gli interventi di apertura dei varchi sul muro comune rientravano nel novero di una serie di opere, eseguite da tutte le parti in causa, che erano state oggetto di un accordo finalizzato ad ottenere una concessione edilizia in sanatoria poi effettivamente ottenuta. Il giudice di seconde cure accoglieva questa tesi e di conseguenza l’appello le irregolarità di natura urbanistico-edilizia riguardanti le opere realizzate erano state sanate e ad ogni modo, stando ai profili condominiali della vicenda, non era fondamentale il consenso di tutti i condomini per l’apertura dei varchi sul muro comune. In sostanza, questa per grandi linee la decisione della Corte d’appello tanto si desume dal testo della sentenza in esame , le parti convenute, appellanti in secondo grado, avevano fatto un uso legittimo dei beni comuni. Gli originari attori non ci stavano e proponevano ricorso per Cassazione. L’uso individuale dei beni comuni non necessita del consenso di tutti i condomini. Questa, nella sostanza, la risposta della Corte di Cassazione alle doglianze dei ricorrenti. Questi, infatti, lamentavano che la decisione di secondo grado non era legittima in quanto non teneva in considerazione che la bozza di accordo da cui s’era fatta discendere la sanatoria degli interventi contestati non li citava esplicitamente e che comunque non poteva considerarsi accettata, nemmeno tacitamente, da tutti i condomini. I giudici di legittimità hanno messo la parola fine alla vicenda, ritenendo infondate queste considerazioni – anche perché avrebbero condotto ad un riesame del merito della decisione, non consentito in quella sede – ed affermando che la Corte d’appello «osservava che, comunque, il consenso dei comproprietari non era necessario - apparendo l’opera compiuti così nel testo della sentenza numero d.A. soltanto una modificazione della cosa comune eseguita dal comproprietario al fine di farne un uso più inteso e particolare - la modifica dello stato dei luoghi non implicava, quindi, un’alterazione della consistenza e della destinazione della cosa comune né la preclusione del pari uso dei restanti comproprietari, posto che il muro comune continua perfettamente a svolgere la sua funzione e non risulta alcun pregiudizio alla statica di esso e delle strutture portanti dell’edificio». Si tratta di una sentenza, quella appena citata, che non esprime direttamente principi di diritto ma che, comunque, ribadisce ciò che molto spesso viene ignorato le cose comuni possono essere utilizzate e modificate da ciascuno, nel rispetto del pari diritto altrui, senza particolari permessi eccezion fatta per quelli regolamentari ed edilizi se ciò non comporta mutamenti di destinazione d’uso, danni o pericoli di danno alla stabilità dell’edificio e, ultimo ma non ultimo, se non alterano il decoro dell’edificio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 marzo – 24 aprile 2012, numero 6483 Presidente Felicetti – Relatore Nuzzo Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 12.11.91 R.E. e F. esponevano di essere proprietari di due distinti appartamenti dell'immobile sito in omissis , di cui facevano parte altre unità, compreso un vano cantina confinante con la corte comune, in proprietà di P R. ed in usufrutto al di lui padre, M R. P R. , senza autorizzazione comunale ed assenso dei condomini, aveva predisposto, nel gennaio 89, l'apertura di una porta nel muro comune in corrispondenza con detto vano cantina,iniziando, tra l'ottobre ed il novembre del 1990, anche i lavori per l'apertura di una seconda porta. Convenivano, pertanto, in giudizio, innanzi al Tribunale di Roma, R.P. e M. per sentirli condannare al ripristino dello stato dei luoghi ed al risarcimento del danno. Si costituivano i convenuti sostenendo la regolarità amministrativa dell'opera a seguito di licenza in sanatoria e l'accordo intervenuto con tutti i comproprietari in ordine alla trasformazione del vano cantina in box auto. Espletata C.T.U., con sentenza numero 5416/02, il Tribunale, accertata l'illegittimità del parziale sfondamento del muro condominiale da parte dei convenuti, li condannava al rifacimento dello stato dei luoghi con ordine di chiudere senza indugio l'apertura stessa a piano terra ed al pagamento delle spese di lite. Avverso tale sentenza P R. proponeva appello essendo nel frattempo deceduto R.M. cui resistevano le appellate R.F. e R.A. , quest'ultima nella qualità di erede di R.E. , deceduto nelle more del giudizio di appello. Con sentenza depositata il 13.4.2005 la Corte d'Appello di Roma, in accoglimento dell'appello di R.P. , in totale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda avanzata da R.F. e R.E. condannando le appellate al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Osservava la Corte di merito che il progetto sottoscritto congiuntamente dai fratelli Ri.Al. , E. e M. , comproprietari di detto fabbricato,prevedeva espressamente la possibilità di praticare un'apertura nel lato di accesso dal cortile comune alla cantina, così da utilizzarla quale box e che nella richiesta di sanatoria, riguardante numerose opere abusive concernenti l'intero fabbricato, doveva intendersi compresa l'apertura nel muro comune delimitante la cantina, come pure risultava dalla bozza di convenzione con cui erano stati regolamentati i rapporti inerenti le cose comuni, bozza sottoscritta solo da Ri.Al. ed E. cui avevano aderito tacitamente anche M R. ed il suo erede P. ,realizzando l'apertura nel muro comune. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso per cassazione R.F. sulla base di due motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso R.P. l'intimata R.A. non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione La ricorrente deduce 1 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, quale l'apertura di un varco nel muro comune al riguardo la Corte di merito aveva erroneamente interpretato il progetto di recupero in sanatoria di opere abusive ex L. numero 47/85, da ritenersi privo di efficacia probatoria in quanto senza data e non sottoscritto e timbrato da un tecnico progettista peraltro il C.T.U. non aveva potuto accertare se la planimetria fosse stata effettivamente allegata ad una richiesta di condono edilizio tale documento si riferiva, comunque, ad una richiesta di concessione in sanatoria depositata nel 1987, per opere realizzate prima di tale anno, sicché non poteva riferirsi all'apertura in questione in quanto realizzata da R.P. nel 1989, in epoca successiva. La bozza di convenzione doveva ritenersi nulla perché sottoscritta, in data imprecisata, solo da Ri.Al. e R.E. e non da R.M. né poteva ritenersi che quest'ultimo ed il suo erede, R.P. , avessero aderito tacitamente solo alle disposizioni della bozza di convenzione ad essi più vantaggiose, risultando la stessa composta da diverse reciproche concessioni tra le parti al fine di una equilibrata regolamentazione dei rapporti inerenti la cosa comune 2 nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli articolo 112 e 115 c.p.c. e vizio di ultrapetizione ed extrapetizione la Corte territoriale aveva considerato legittima l'apertura di una porta collegante il cortile comune alla proprietà esclusiva di un condomino, pur difettando la prova sulla mancanza di pregiudizi al bene in comunione nonché sulla effettiva possibilità, da parte degli altri compartecipanti,di trarre un uso paritetico dal bene medesimo né il richiamo alla relazione tecnica per Arch. D. , allegata ex articolo 13 alla domanda di accertamento di conformità delle opere abusive, era sufficiente a garantire la mancanza di pregiudizio alla statica dell'edificio, trattandosi di relazione incompleta nei calcoli afferenti la staticità dell'edificio e diretta solo all'ottenimento di autorizzazione amministrativa. Il ricorso è infondato. La prima censura si risolve in una contestazione di merito in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie documentali, non consentita in sede di legittimità, a fronte di una motivazione del giudice di appello esente da errori logici - giuridici. Questi ha escluso, infatti, la necessità dell'autorizzazione dei restanti condomini in ordine all'apertura in questione, rilevando,sulla base di accertamenti in fatto e, sopratutto, della sottoscrizione congiunta del progetto da parte dei tre comproprietari che sussisteva la volontà comune di ottenere la sanatoria in ordine ad ogni opera realizzata abusivamente, tra cui anche l'apertura del muro comune delimitante la cantina . Osservava che, comunque, il consenso dei comproprietari non era necessario apparendo l'opera compiuta soltanto una modificazione della cosa comune eseguita dal comproprietario al fine di farne un uso più intenso e particolare la modifica dello stato dei luoghi non implicava,quindi, un'alterazione della consistenza e della destinazione della cosa comune né la preclusione del pari uso dei restanti comproprietari, posto che il muro comune continua perfettamente a svolgere la sua funzione e non risulta alcun pregiudizio alla statica di esso e alle strutture portanti dell'edificio . Va pure rigettato il secondo motivo di ricorso, avendo la Corte distrettuale dato conto, con adeguata e logica motivazione, dell'assenza di pregiudizio statico all'edificio, sulla base della relazione tecnica allegata alla richiesta di sanatoria ex articolo 13 L. numero 47/87, tenuto conto, inoltre, della stessa morfologia dell'opera eseguita. Alla stregua di quanto osservato il ricorso va rigettato. Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nei confronti di R.P. , liquidate in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.