Costi non documentati uguale ricavi in nero

I versamenti e i prelievi bancari non giustificati dal contribuente rappresentano ricavi da riprendere a tassazione. In particolare, le spese rintracciabili dal conto corrente bancario dell'azienda sono sempre imponibili se non documentate il Fisco può infatti considerarle come ricavi in nero.

Lo ha statuito la Corte di Cassazione che, con la sentenza numero 4688 del 23 marzo, ha respinto il ricorso congiunto dei soci di una società di persone e della società stessa contro un accertamento, rispettivamente Irpef e Iva, scattato in seguito ad alcune verifiche sul conto corrente bancario aziendale. La vicenda. Una società di persone aveva ricevuto diversi avvisi di accertamento ai fini Irap e Iva relativamente agli anni 2001, 2002 e 2003 per omessa contabilizzazione dei ricavi, desunti anche dai risultati di indagini bancarie. Nel caso concreto si recuperavano a tassazione circa 400milioni di vecchie lire. Tale importo era costituito in gran parte da accrediti sul conto corrente, che dovevano essere qualificati come ricavi che aumentavano il reddito mentre la parte restante era rappresentata, invece, dai costi e dalle spese non contabilizzati che rappresentavano sempre ricavi da ricondurre a imposizione. I giudici di merito avevano confermato la pretesa tributaria nei confronti della società e dei soci. Con ricorso unitario cumulativo la società e i soci hanno presentato ricorso in cassazione - ma senza esito positivo -, lamentando la contraddittorietà di entrambe le decisioni di merito su un punto decisivo del giudizio e cioè sul riconoscimento dei prelevamenti bancari quali costi di esercizio deducibili salvo poi sommarli ai ricavi e la violazione dell’articolo 32, dpr numero 600/1973, avendo il giudice di merito riconosciuto i prelevamenti bancari quali costi d’esercizio deducibili da sommare ai ricavi e detrarli con una surrettizia sommatoria tra le due componenti. Controlli sui c/c da tassare versamenti e prelievi non giustificati. Secondo la sentenza citata , «anche i costi relativi ad acquisti non documentati devono considerarsi ricavo operando la presunzione di operazioni non fatturate e, nel caso di specie, la società contribuente non è stata in grado di produrre fatture emesse o ricevute riconducibili alle operazioni bancarie indicate». Questo risponde al principio generale per cui «le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l'Ufficio a considerare come ricavi i versamenti e i prelevamenti dei quali il contribuente non riesca a dare giustificazione per poter accertare la natura di costi degli addebiti, in particolare, al fine della loro deducibilità, è necessario che il contribuente fornisca prova contraria alla rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie». Ciò anche perché la presunzione legale relativa posta dall’articolo 32, dpr numero 600/1973, costituisce un’eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice ed alla regola dell'onere della prova. Costi non contabilizzati. Secondo un preciso orientamento se il fisco procede analiticamente pur utilizzando indagini bancarie, per far valere costi non contabilizzati occorre una prova certa da fornire. Se l’ufficio procede con il metodo analitico–presuntivo, indicato al primo comma lett. d , articolo 39, dpr numero 600/73, nessun margine si offre all’ufficio procedente di un possibile riconoscimento di componenti negative di cui non è stata fornita da parte del contribuente prova certa. La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 18016/2005, ha stabilito che spetta al contribuente provare la sussistenza di costi non contabilizzati riconducibili alle operazioni di prelevamento risultanti dai conti bancari, in quanto non è lecito presumere che se un soggetto ha occultato componenti positivi di redditi debba anche aver dichiarato parzialmente i costi sostenuti nell'esercizio. Partendo dal presupposto che il contribuente logicamente tenda ad occultare i ricavi, non i costi, al fine di realizzare un risparmio d’imposta, per la Suprema Corte, ricade sul contribuente stesso l'onere di documentare l'esistenza di maggiori costi deducibili dal reddito poiché non si può presumere che a ricavi occulti debbano corrispondere necessariamente costi occulti. Il legislatore, in sostanza, considera fino a prova contraria ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti, in quanto non ritiene che il contribuente evasore occulti in pari misura i ricavi ed i costi anzi, la norma muove dal presupposto che il contribuente tenda ad occultare i ricavi, ma non i costi. Ne appare lecito presumere che in ogni caso a ricavi occulti necessariamente corrispondano costi occulti. In merito ai costi, diventa pertanto regola generale il principio secondo cui, se un contribuente invoca la deducibilità di un costo, ha di conseguenza anche l’onere di provarne l’esistenza e l’inerenza. A chi spetta provare l'esistenza e la deducibilità dei costi? L'onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla formazione del reddito di impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, incombe al contribuente. In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, l'onere della prova circa l'esistenza di fatti che danno luogo ad oneri e costi deducibili, ivi compreso il requisito dell'inerenza, incombe al contribuente che invoca la deducibilità. A tal proposito, occorre ricordare che l'articolo 109, comma 4, TUIR stabilisce che costi ed oneri afferenti ai ricavi sono deducibili «se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi». In assenza di validi elementi giustificativi oppure di una idonea documentazione contabile o extracontabile, la rivendicazione di costi occulti collegati a ricavi non dichiarati appare — secondo i giudici della Cassazione — una mera congettura o addirittura una ipotesi contrastante in linea teorica con le motivazioni stesse che spingono un contribuente all’evasione. In definitiva , l'articolo 32, D.P.R. numero 600/1973 muove dalla considerazione che gli evasori occultano le poste attive e non le poste passive. Pertanto, in caso di acquisizione dei movimenti di un conto corrente bancario riconducibili all'impresa, debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive sia quelle passive a meno che l'imprenditore non dimostri che corrispondano ad operazioni già contabilizzate o estranee all'attività aziendale . Inoltre, non occorre procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, essendo onere del contribuente indicare e provare eventuali specifici costi deducibili. Infine, va ricordato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l'articolo 32, d.P.R. numero 600/1973, chiaramente impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili. Pertanto, posto che sussiste inversione dell'onere della prova, alla presunzione di legge relativa va contrapposta una prova, non un'altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale, anche perché non sempre a ricavi occulti corrispondono costi occulti, mentre a ricavi occulti possono accompagnarsi costi dichiarati in misura maggiore del reale. Secondo diversa impostazione, accolta dalla sentenza in commento, alla luce della sentenza numero 225/05 della Consulta, della rilevanza dei costi neri si dovrà tenere conto in ogni caso anche nelle ipotesi di accertamento analitico o analitico-induttivo.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 14 - 23 marzo 2012, numero 4688 Presidente Cicala – Relatore Chindemi Fatto Con sentenza numero 104/18/09, 105/18/09, 106/18/09, tutte depositate il 13/5/2009 la Commissione Tributaria Regionale della Campania accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che, in relazione agli anni 2001, 2002 e 2003 aveva, invece, ritenuto fondato il ricorso del I. & amp c. srl avverso l'avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle entrate di Teano rettificava il reddito ai fini Irap e Iva rilevando una maggiore percentuale di carico, l'omessa contabilizzazione di ricavi, desunti anche dalle risultanze dei controlli bancari. Con sentenze 190/18/09, 185/18/09, 195/18/09, 196/18/09,196/18/09, 186/18/09, 189/18/09 relative al socio L.P. e 187/18/09, 188/18/09, 191/18/09, 192/18/09, 193/18/09 ,194/18/09, relative al socio L.A., tutte depositata il 15/7/2009, veniva rigettata la richiesta di sospensione del processo a carico dei soci in attesa dell'esito della decisione definitiva sulla società, dichiarandosi che il reddito di partecipazione dei soci venisse determinato per quote sulla base del reddito assegnato alla società. Proponevano ricorso unificato per cassazione la società contribuente avverso le tre sentenze pronunciate nei suoi confronti e i soci contro le 12 sentenze emesse nei loro confronti, deducendo i seguenti motivi a contraddittorietà delle sentenze su un punto decisivo della controversia in relazione all'articolo 360, numero cinque, c.p.c. avendo la Commissione regionale riconosciuto i prelevamenti bancari quali costi di esercizio deducibili salvo poi sommati ai ricavi e detrarli con una surrettizia sommatoria tra le due componenti b falsa applicazione di norme di diritto,ex articolo 32 d.p.r. n 600/1973, in relazione all'articolo 360, numero tre c.p.c., ritenendo che, essendo stato riconosciuto al valore dei prelevamenti la qualificazione di costo giustificato, tale valore non poteva mutare valenza e sommarsi ai ricavi costituiti da versamenti non giustificati L’Agenzia delle Entrate si è costituita tardivamente nel giudizio di legittimità, al solo fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione della causa ai sensi dell'articolo 370, comma uno, c.p.c. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 14/3/2012, in cui il PG ha concluso come in epigrafe. Motivi della decisione 1 Deve, preliminarmente, ritenersi ammissibile nel giudizio tributario il ricorso unitario cumulativo ove la contestazione dell'Ufficio si fondi su questioni di diritto, e non di fatto, comuni ai contribuenti, cosicché il richiamo alla necessaria identità in fatto delle questioni appaia in concreto ultroneo. Cass. 27 ottobre 2010 numero 21955 . Poiché nella fattispecie, i provvedimenti impugnati, pur formalmente autonomi, si risolvano nel loro concreto articolarsi in un unico fatto storico nei confronti di più contribuenti, che versando in un'analoga situazione muovono identiche contestazioni, può ritenersi che la definizione delle questioni comuni abbia carattere pregiudiziale rispetto alla decisione di tutte le cause, così da consentire l'ammissibilità, nel processo tributario, di un ricorso al tempo stesso collettivo proposto da più contribuenti e cumulativo nei confronti di più atti impugnabili , suscettibile di dar vita ad un giudicato rilevabile d'ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto d'imposta cfr Cass. S.U. 16/02/2009 numero 3692 . La possibilità di ricorso cumulativo, assicura in concreto il principio di cui all'articolo 24 Cost. rendendo economicamente possibile la tutela in giudizio dei diritti, oltre che quello della ragionevole durata del processo in quanto è evidente che il numero dei giudizi influisce sulla loro durata cfr Cass. 29 marzo 2011 numero 7159 . Trattasi dunque di cause connesse che possono essere riunite ai sensi dell'articolo 274 c.p.c., stesse parti, stesse questioni di fatto e di diritto anche e al fine prevenire il rischio di contrasto sostanziale di giudicati, posto che la riunione non comporta alcun ritardo nella trattazione. I ricorsi dei soci, nel presente giudizio, vanno riuniti a quelli della società, anch'essi riuniti per connessione soggettiva, in ragione del vincolo di pregiudizialità necessaria che si ricava dal D.P.R. 22 dicembre 1986, numero 917, articolo 5. Infatti, nella specie, i soci non prospettano tesi difensive autonome rispetto a quelle prospettate dalla società. Si tratta dunque di cause inscindibili, connesse per vincolo di consequenzialità - pregiudizialità necessaria, che vanno decise unitariamente, in ossequio al principio, affermato da questa Corte, secondo il quale ogni volta che per effetto della norma tributaria o per l'azione esercitata dall'amministrazione finanziaria oggi l'Agenzia delle Entrate l'atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell'obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario ai sensi dei D.Lgs numero 546 del 1992, articolo 14, comma 1 Cass. SS.UU. numero 1054/2007 . 2 I motivi di ricorso vanno trattati unitariamente, stante la loro connessione, anche se denunciano vizi differenti violazione di legge e vizio di motivazione . Le censurevanno disattese. La Commissione regionale ha rilevato che l'ufficio ha fondato, con l'atto di accertamento, la rettifica del reddito solo sulla base delle movimentazioni bancarie, prescindendo dalla maggiore percentuale di carico e dalle quote di ammortamento. Le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l'Ufficio a considerare come ricavi i versamenti e i prelevamenti dei quali il contribuente non riesca a dare giustificazione per poter accertare la natura di costi degli addebiti, in particolare, al fine della loro deducibilità, é necessario che il contribuente fornisca prova contraria alla rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie Cass, 17/6/2008, numero 16341 . La presunzione legale relativa posta dal D.P.R. numero 600 dei 1973, articolo 32, costituisce una eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice ed alla regola dell'onere della prova. La motivazione dei giudici d'appello è esente da censura, in ordine ad entrambi i vizi denunciati, avendo fatto corretta applicazione, con un'adeguata motivazione, dei principi in tema di presunzione ricavabile dalla movimentazione bancaria in quanto ogni accredito nel conto corrente bancario equivale a ricavo che aumenta il reddito, in mancanza di prova contraria. Anche i costi relativi ad acquisti non documentati devono considerarsi ricavo operando fa presunzione di operazioni non fatturate e, nel caso di specie, in base alla motivazione della sentenza impugnata, non specificamente contestata sul punto, la ricorrente non è stato in grado di produrre fatture emesse o ricevine riconducibili alle operazioni bancarie indicate. Appare coerente e logica la valutazione della Commissione regionale che ha ritenuto corretto detrarre dall'importo dei versamenti e prelievi bancari per complessive L 388.786000, riconoscendo le spese e costi non contabilizzati, la somma di L. 172.665.000, tassando quali ricavi varie versamenti bancari di L. 212.733.000 che non hanno trovato riscontro in contabilità. Non è oggetto di contestazione l'importo delle spese e costi non contabilizzati, ritenuti pari ai prelevamenti, indipendentemente dalla circostanza della corrispondenza di tale importo ai costi relativi ad acquisti non documentati che devono considerarsi, come già evidenziato, ricavo. Vanno quindi respinti i ricorsi. Nulla sulle spese stante la mancata costituzione dell'agenzia intimata P.Q.M. Respinge i ricorsi.