Pena sospesa, il lavoro di pubblica utilità ha una durata massima

La prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, cui può essere subordinata, in mancanza di opposizione del condannato, la sospensione condizionale della pena, ha una durata massima di 6 mesi 26 settimane e deve essere svolta prestando 6 ore di lavoro settimanali e, quindi, per una durata complessiva non superiore a 156 ore, salvo che il condannato chieda lo svolgimento della prestazione per una durata giornaliera superiore comunque non eccedente le 8 ore , in modo da abbreviarne i tempi di esecuzione.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 20297, depositata il 15 maggio 2015. Il caso. La Corte d’appello di Trieste, confermando la pronuncia del gup di Gorizia, condannava un imputato, ai sensi dell’articolo 189, comma 6, c.d.s. per non aver ottemperato all’obbligo di fermarsi in seguito ad un incidente stradale da lui provocato. L’imputato ricorreva in Cassazione, censurando la sentenza nella parte relativa alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena di 3 mesi di reclusione, subordinato alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività quantificata in 180 ore. A suo avviso, la durata era illegittima, in quanto non sostituiva la pena base, come avviene ex articolo 186, comma 9 bis, c.d.s. ma costituiva la condizione cui subordinare la sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’articolo 165 c.p., pena che rimane tale per specie e per misura, ed era illegittima, violando i limiti temporali stabiliti dall’articolo 54, commi 2 e 3, d.lgs. numero 274/2000. L’articolo 18 bis disp. att. c.p. stabilisce che, nel disporre lo svolgimento di attività socialmente utili, il giudice deve osservare quanto previsto dall’articolo 54, commi 2, 3, 4 e 6, d.lgs. numero 274/2000 il comma 2 prevede che il lavoro di pubblica utilità non può avere durata superiore a 6 mesi, il comma 3 afferma che l’attività non retribuita comporta la prestazione di non più di 6 ore di lavoro settimanale ma il condannato può chiedere una durata superiore in assenza di esplicita richiesta, la durata massima è di 6 ore per 26 settimane, cioè 6 mesi, quindi complessivamente 156 ore. L’articolo 18 bis disp. att. c.p. non richiama l’articolo 54, comma 5, d.lgs. numero 274/2000, che prevede come specifico rimedio il ragguaglio per la pena del lavoro di pubblica utilità per i reati di competenza del gdp per il computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro . Perciò, la durata di lavoro della pubblica utilità non poteva essere superiore alla pena sospesa. Durata massima. La Corte di Cassazione ricorda che la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, cui può essere subordinata, in mancanza di opposizione del condannato, la sospensione condizionale della pena, ha una durata massima di 6 mesi 26 settimane e deve essere svolta prestando 6 ore di lavoro settimanali e, quindi, per una durata complessiva non superiore a 156 ore, salvo che il condannato chieda lo svolgimento della prestazione per una durata giornaliera superiore comunque non eccedente le 8 ore , in modo da abbreviarne i tempi di esecuzione. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano erroneamente fatto riferimento alla disposizione ex articolo 54 d.lgs. numero 274/2000, non richiamata però dall’articolo 18 bis disp. att. c.p., per cui non era legittima la durata temporale della prestazione lavorativa non retribuita fissata in 180 ore. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, fissa la durata della prestazione lavorativa in 156 giorni.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 5 marzo – 15 maggio 2015, numero 20297 Presidente Brusco – Relatore D’Isa Ritenuto in fatto I.C. ricorre per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d'appello di Trieste di conferma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal GUP del Tribunale di Gorizia in ordine al delitto di cui all'articolo 189 comma VI del C.d.S., perché, alla guida del veicolo Atos Tg , rimaneva coinvolto in un incidente stradale collegabile al suo comportamento, senza ottemperare all'obbligo di fermarsi, segnatamente nel centro abitato di omissis , proveniente da Via omissis e diretto in via non dava precedenza al veicolo Fiat Panda TG auto della polizia municipale , condotto da G.M. e con a bordo R.A. come passeggera, finendo contro lo stesso, per poi proseguire la sua marcia e dileguarsi tra le vie cittadine. Si denuncia violazione di legge nella specie dell'articolo 54 D.Lgs. 274/2000 ed illegittimità della misura comminata ex articolo 165 cod.penumero . Oggetto della censura è la statuizione della sentenza di primo grado relativa alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena di mesi tre di reclusione subordinato alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività quantificata in 180 ore. Si eccepisce che tale durata è illegittima in quanto non sostituisce la pena base, come avviene ex articolo 186 co. 9 bis del C.d.S., ma costituisce la condizione cui subordinare la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 165 cod. penumero , pena che rimane tale per specie e per misura, ed è illegittima in quanto viola i limiti temporali stabiliti dall'articolo 54, co. 2 e 3 del D.Lgs 274/2000. In forza dell'articolo 18 bis delle disposizioni di attuazione al codice penale, nel disporre lo svolgimento delle attività socialmente utili, il giudice è tenuto ad osservare le prescrizioni del D.Lgs. 274/2000, articolo 44 e 54, commi 2,3,4, e 6 ed articolo 59. L'art, 54, in particolare, al comma 2 prevede che il lavoro di pubblica utilità non può avere durata superiore a sei mesi al comma 3 che l'attività non retribuita comporta la prestazione di non più di sei ore di lavoro settimanale, ma il condannato può chiedere una durata superiore la durata massima, in assenza di una esplicita richiesta del condannato, è, dunque, di 6 ore per 26 settimane sei mesi e cioè complessivamente 156 ore. A differenza di quanto erroneamente ritenuto in sentenza l'articolo 18 bis disp. att. c.p. non richiama il comma 5 dell'articolo 54, il quale prevede quale specifico rimedio il ragguaglio per la pena del lavoro di P.U. per i reati di competenza del Giudice di Pace, che, ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di P.U. consiste nella prestazione di due ore di lavoro. Di conseguenza la durata di lavoro di P.U. non può comunque essere superiore alla pena sospesa e che - analogamente alla sanzione sostitutiva di cui al d.P.R. 309/90 articolo 73 comma 5 bis - il lavoro di P.U. cui è subordinata la sospensione condizionale della pena ha una durata normativa a settimane e a mesi secondo il calendario comune. Si richiama la sentenza di questa Corte I sezione numero 32649 del 16.06.2009. Con il secondo motivo si denuncia erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p. in relazione alla valutazione delle prove e manifesta illogicità della motivazione e travisamento delle prove in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo e/o erronea interpretazione degli articolo 42, co. 2 cod. penumero e 189 co. 6 del C.d.S Si premette che dal verbale di accertamenti urgenti sulle cose, acquisto agli atti, è emerso che la vettura dello I. ha riportato solamente l'abrasione della carrozzeria e l'introflessione di qualche elemento più sporgente, come il sopraruota, da ciò si sarebbe dovuto dedurre che le due vetture si sono sfiorate, a riprova della banalità del sinistro avvenuto a veicoli praticamente fermi, e l'imputato ha ragionevolmente escluso di aver provocato danni ai passeggeri dell'altra autovettura. La sentenza, invece, travisando le prove costituite, ha ritenuto che i danni fossero tali che l'imputato non poteva non rendersi conto di aver cagionato un sinistro che avrebbe potuto comportare danni alle persone. La contraddittorietà della motivazione la si evince laddove la Corte nel ritenere congrua la motivazione del giudice di primo grado che in forza del certificato medico esibito dall'imputato, attestante una sua patologia di sindrome ansiosa, lo ha assolto dal delitto contestato al capo b relativo alai violazione dell'articolo 189, comma VII del C.D.S., non ha poi applicato lo stesso ragionamento per il delitto oggetto della condanna. Con il terzo motivo si denuncia altra violazione di legge in riferimento all'applicazione dell'articolo 62 cod. penumero e comunque in ordine alla quantificazione della pena. Considerato in diritto Il ricorso va accolto con riferimento al primo motivo. Per una ragione di ordine logico va trattato per prima il secondo motivo poiché ha ad oggetto la responsabilità la relativa censura, però, non supera la soglia dell'ammissibilità. Si versa infatti nella cornice di una serie di critiche di merito contro un'argomentata decisione nella quale non si rinvengono manifeste incoerenze logiche, né, tanto meno, errori ricostruttivi. Le censure sviluppate nel gravame inoltre non risultano rivestire forza invalidante, laddove confrontate con la ragionevole linearità della giustificazione di responsabilità, quale proposta dai giudici di merito con doppia conforme pronuncia, che il motivo pretende di aggredire, sviluppando ipotesi di più favorevoli interpretazioni, notoriamente non apprezzabili in questa sede. Il ricorrente, invero, dimentica che il Tribunale lo aveva assolto dal reato di omissione di soccorso ritenendolo responsabile del solo reato di fuga, il cui evento materiale consiste nell'allontanarsi del conducente dal luogo dell'investimento così da impedire o, comunque, ostacolare l'accertamento della propria identità personale e la ricostruzione delle modalità del sinistro. Ed in tale paradigma rientra senz'alcun dubbio, come rileva la Corte del merito, la condotta dello I. rimasta accertata incontrovertibilmente, a nulla rilevando la giustificazione della dedotta malattia sotto il profilo della carenza dell'elemento psicologico, in quanto, se pur gli si volesse dare credito che al momento del fatto era stato colto da una crisi di ansia che gli ha impedito di fermarsi, non si spiega poi per quale motivo a distanza di tempo, quando oramai tale crisi gli doveva essere passata, non si è neppure presentato spontaneamente presso gli uffici della Polizia Urbana. Fondato è, invece, il secondo motivo in quanto la censura è conforme sia al dettato normativo che alla giurisprudenza di questa Corte. Si è, infatti affermato che V. Sez. 1, Sentenza numero 32649 del 16/06/2009 Cc. Rv. 244844 la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, cui può essere subordinata, in mancanza di opposizione del condannato, la sospensione condizionale della pena, ha una durata massima di sei mesi ventisei settimane e deve essere svolta prestando sei ore di lavoro settimanali e, quindi, per una durata complessiva non superiore alle centocinquantasei ore, salvo che il condannato chieda lo svolgimento della prestazione per una durata giornaliera superiore, che non può comunque eccedere le otto ore, in modo da abbreviarne i tempi di esecuzione. In motivazione, la S.C. ha affermato che la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività prevista dall'articolo 165, comma primo, cod. penumero ha una durata definita a settimane e a mesi secondo il calendario comune, fermo restando che, a richiesta del condannato, può essere esaurita con modalità concentrate in un intervallo temporale effettivo diverso . Poiché la Corte d'appello ha erroneamente richiamato, nel determinare la durata della prestazione di attività lavorativa non retribuita, la disposizione di cui all'articolo 54 D.Lgs. 274/2000, ma tale articolo non è a sua volta richiamato dall'articolo 18 bis disp. att. , risulta, secondo il principio su riportato, non legittima la durata temporale della prestazione lavorativa non retribuita come fissata in 180 ore Va, quindi, disposto l'annullamento della sentenza impugnata sul punto, ma senza rinvio potendo provvedere il Collegio a fissare la durata della prestazione lavorativa in 156 giorni, durata indicata dallo stesso ricorrente come legittima. Da ultimo, il terzo motivo è del tutto infondato dovendosi rammentare che La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra, invece, nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell'articolo 133 c.p. da ultimo, Cass., Sez. 4^, 13 gennaio 2004, Palumbo . A ciò dovendosi aggiungere che non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale di recente, Cass., Sez. 4A, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri . Nella specie, risulta evidente che il potere discrezionale in punto di trattamento dosimetrico, alla luce della pena inflitta, è stato dal giudice correttamente esercitato, con la concessione delle attenuanti generiche, così dimostrando di aver tenuto conto degli elementi indicati nell'articolo 133 c.p P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla durata della prestazione di attività non retribuita a favore della collettività durata che determina in ore 156. Rigetta il ricorso nel resto.