Il detenuto isolato ha diritto al controllo sanitario, ma non alla visita “a domicilio” da parte del medico

La situazione di isolamento dei detenuti deve essere sottoposta a particolare attenzione mediante degli adeguati controlli giornalieri nel luogo di isolamento da parte di un medico. Il «luogo di isolamento» non coincide però con l’ambito spaziale circoscritto della cella in cui il detenuto è ristretto.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 10638, depositata il 12 marzo 2015. Il caso. Il magistrato di sorveglianza di Novara rigettava i reclami presentati da un detenuto relativi alla mancata ricezione, durante la sanzione disciplinare dell’isolamento diurno, del quotidiano controllo del sanitario. Secondo il magistrato, era stato lo stesso detenuto a rifiutarsi di essere visitato dal medico che quotidianamente si recava in reparto. Il detenuto ricorreva in Cassazione, deducendo che, ai sensi dell’articolo 73, comma 7, d.P.R. numero 230/2000 regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privativa e limitative della libertà , il medico deve recarsi in cella, che deve essere intesa come «luogo di isolamento», e non limitarsi a convocare in ambulatorio il detenuto, attestando che l’interessato rifiuta la visita, secondo quanto riferito dagli agenti. Situazione di isolamento. La Corte di Cassazione ricorda che, secondo l’articolo 73, comma 7, d.P.R. numero 230/2000, la situazione di isolamento dei detenuti deve essere sottoposta a particolare attenzione, mediante degli adeguati controlli giornalieri nel luogo di isolamento, sia da parte di un medico sia di un componente del gruppo di osservazione e trattamento. Inoltre, ci deve essere vigilanza continuativa ed adeguata da parte del personale di polizia penitenziaria. Dove avvengono le visite? Secondo il ricorrente, il «luogo di isolamento» deve coincidere con l’ambito spaziale circoscritto della cella in cui è ristretto. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 11 o.p., l’assistenza sanitaria viene fornita dall’organizzazione di ogni singolo istituto penitenziario, e questa deve anche individuare degli appositi locali dove sottoporre al trattamento necessario i detenuti. Si tratta di locali che, «per intuibili ed evidenti ragioni logistiche, di igiene e di sicurezza», nonché per quanto disposto dall’articolo 17, comma 7, d.P.R. numero 300/2000 assistenza sanitaria , devono essere identificati con le infermerie o i reparti clinici e chirurgici degli istituti, non con le celle. Perciò, per luogo di isolamento non può che farsi riferimento all’istituto penitenziario dove il detenuto risulta ristretto. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 16 dicembre 2014 – 12 marzo 2015, numero 10638 Presidente Siotto – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza dei 12.5.2013, il Magistrato di Sorveglianza di Novara rigettava i reclami presentati da A.A. a proposito della mancata ricezione durante la sanzione disciplinare dell'isolamento diurno del quotidiano controllo dei sanitario, così come legislativamente previsto. Il Magistrato dava atto della risposta fornita, al riguardo, dalla Direzione della Casa Circondariale di Novara il 7.6.2013, in cui sì precisava che era stato il detenuto a rifiutarsi di essere visitato dal medico che quotidianamente si recava in reparto lo stesso, tra l'altro, accadeva per le contestazioni disciplinari e i consigli di disciplina cui l'A. rifiutava di partecipare. 2. Nel ricorso per cassazione personalmente proposto, l'interessato deduce che, ai sensi dell'articolo 73, comma 7, D.P.R. numero 230/2000, il medico debba recarsi in cella questa dovendosi intendere per luogo di isolamento e non limitarsi a convocare in ambulatorio il detenuto, attestando, sulla base di quanto gli riferiscono gli agenti, che l'interessato rifiuta la visita. Il ricorso è stato trasmesso dalla Settima sezione con provvedimento emesso all'udienza camerale del 27.3.2014. Considerato in diritto 1. II ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza. 2. La norma della cui interpretazione si discute è quella dell'articolo 73, comma 7, D.P.R. 30 giugno 2000, numero 230 Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà , nel corpo di un articolo volto a disciplinare la situazione di isolamento . Il comma 7 citato recita La situazione di isolamento dei detenuti e degli internati deve essere oggetto di particolare attenzione, con adeguati controlli giornalieri nel luogo di isolamento, da parte sia di un medico, sia di un componente del gruppo di osservazione e trattamento, e con vigilanza continuativa e adeguata da parte del personale del Corpo di polizia penitenziaria . L'interpretazione del ricorrente, che fa rigidamente coincidere il luogo di isolamento menzionato dalla norma con l'ambito spaziale circoscritto della cella dove si trovi ristretto è errata. Posto che, a norma dell'articolo 11 O.P., l'assistenza sanitaria è fornita dall'organizzazione di ogni singolo istituto penitenziario, all'uopo necessariamente dotato di servizio medico e farmaceutico per le esigenze dei ristretti, è a detta organizzazione che va demandata la competenza a individuare appositi locali dove sottoporre al trattamento necessario ogni singolo detenuto locali che, per intuibili ed evidenti ragioni logistiche, di igiene e di sicurezza, ma anche per quanto disposto espressamente dell'articolo 17 Assistenza sanitaria del D.P.R. numero 230/2000, comma 7, vanno identificati con le infermerie o i reparti clinici e chirurgici degli istituti , e non certo con le celle . E' evidente, pertanto, che per luogo di isolamento , secondo la dizione riportata al comma 7 dell'articolo 73 D.P.R. numero 230/2000, non può che farsi riferimento all'istituto penitenziario dove il detenuto risulti ristretto. 3. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento della somma, ritenuta congrua, di 1.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 1.000,00 euro alla Cassa delle ammende.