Alle Sezioni Unite la quaestio sulla sorte delle dichiarazioni testimoniali della persona offesa imputata di reato collegato non sentita come teste assistito

La mancata applicazione – in sede di esame dibattimentale di un imputato di reato connesso o collegato a quello per cui si procede – delle disposizioni di cui all’articolo 210 c.p.p. relativamente alla dichiarazioni testimoniali rese da chi avrebbe dovuto essere sentito come teste assistito, perché imputato in procedimento connesso o di un reato collegato, determina o meno l’inutilizzabilità della deposizione stessa?

Questo il contenuto, sia pure mal prospettato, della controversa quaestio iuris sottoposta alle Sezioni Unite con l’ordinanza della V sezione penale della Suprema Corte, depositata il 30 dicembre 2014, già sollevata recentemente anche dalla II Sezione nella pronuncia numero 52023 del 15 dicembre scorso. La fattispecie concreta. La difesa di un imputato condannato in prime e seconde cure per il delitto di atti persecutori proponeva ricorso per cassazione lamentando la violazione dell’articolo 612- bis c.p. in quanto le condotte moleste e minacciose episodi di ingiurie e minacce, commesse in occasione di numerose telefonate in quanto non era possibile attribuire al ricorrente la paternità delle telefonate mute e di quelle anonime. Sotto altro profilo si escludeva la configurabilità del danno poiché le parti civili, apparentemente perseguitate, erano in realtà responsabili di una grave condotta di appropriazione indebita mancata consegna al professionista di un cospicuo importo , accertata in primo grado. Proprio perché le persone offese, costituite parti civili, sono state escusse semplicemente come testimoni, mentre avrebbero dovuto essere state sentite come persone imputate di un reato collegato dal punto di visto probatorio ai sensi dell’articolo 371, lett. b, c.p.p. in quanto imputate, all’epoca, del reato di appropriazione indebita aggravata ai danni dell’odierno ricorrente, la difesa lamenta la violazione degli articolo 192, comma 3, 197, 197- bis e 210 c.p.p La persona offesa va sentita come teste “assistito”. Su tale ultima questione, la Suprema Corte prende le mosse dalle sentenza delle Sezioni Unite deliberata il 17 dicembre 2009, numero 12067/2010 che, nell’affrontare in tema delle modalità di assunzione del soggetto che riveste la qualità di imputato in procedimento connesso ex articolo 12, comma 1, lett. c , c.p.p. o collegato probatoriamente, ha ritenuto condivisibile l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la persona offesa di un reato che sia pure imputata di altro reato commesso in danno dell’offensore, da considerarsi collegato ai sensi dell’articolo 371, comma 2, lett. b , c.p.p., deve essere sentita non come teste, ma nelle forme di cui all’articolo 210, coma 6, c.p.p. e le dichiarazioni rese valgono secondo la regola dettata dall’articolo 192, comma 3, c.p.p., cioè unitamente ad altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità. In questi casi si crea quella che è stata efficacemente chiamata “compatibilità a testimoniare condizionata” Conti, 2003, 305 , sia pure nella forma “assistita”, con gli obblighi che nel derivano. Quindi, la compatibilità ex articolo 197 c.p.p. di questi soggetti connessi con legame debole o collegati è subordinata a due fattori l’avvertimento sulle conseguenze assunzione dello status di testimone del rendere dichiarazione sul fatto altrui e la decisione dell’interrogato di procedere di procedere comunque in tal senso. Una volta realizzate queste due condizioni, il teste assistito nel nostro caso la persona offesa avrà l’obbligo di presentarsi e rispondere secondo verità, ma non può tacere sui fatti oggetto del suo procedimento non può comunque mentire, neppure sul fatto proprio. Le Sezioni Unite non affrontarono la questione successiva, e cioè quella relativa agli effetti della mancata applicazione delle disposizioni dell’articolo 210 c.p.p. relativamente alle dichiarazioni testimoniali rese da chi avrebbe dovuto essere sentito come teste assistito, perché imputato in un procedimento connesso o di un reato collegato. Ciò perché in quella sede il Supremo Collegio si chiese se la disciplina limitativa della capacità testimoniale di cui agli articolo 197, 197- bis e 210 c.p.p., fosse applicabile alla persona offesa che in cui nel procedimento connesso o collegato nel quale ha assunto la qualità di indagato sia stato emesso nei suoi confronti provvedimento di archiviazione. Poiché si giunse ad una soluzione negativa, la deposizione resa come testimone ordinario dalla persona offesa venne considerata pienamente utilizzabile. I diversi orientamenti di legittimità sulla mancata escussione secondo le norme sul c.d. impu-mone. Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte individua almeno tre indirizzi interpretativi, anche recenti, affermati in seno alla giurisprudenza di legittimità. Nullità a regime intermedio. Secondo un primo orientamento l’effetto della mancata applicazione delle disposizioni sul testimone assistito determinerebbe un’ipotesi di nullità a regime intermedio che, peraltro, non può essere eccepita dall’imputato del procedimento principale, per assenza di un interesse all’osservanza della disposizione violata. Poiché l’istituto dell’articolo 210 c.p.p. sarebbe finalizzato a tutelare l’imputato o l’indagato di procedimento connesso dal rischio che deponendo nel processo principale come testimone obbligato a dire la verità, arrivi inconsapevolmente ad incriminarsi per il reato connesso o collegato e, comunque, a deporre contro se stesso, tale nullità, a regime intermedio, può essere eccepita solo da quest’ultimo e non dall’imputato del procedimento principale. Pertanto, quando, pur sussistendone i presupposti, non si procede all’applicazione dell’articolo 210 c.p.p., la conseguenza dell’inosservanza è la nullità della deposizione testimoniale ai sensi dell’articolo 178 lett. c c.p.p., atteso che la legge non vieta l’esame dell’imputato in procedimento connesso o collegato ma prescrive semplicemente che esso sia assunto secondo determinate formalità. Non ci troveremmo di fronte all’inutilizzabilità della prova poiché tale sanzione processuale, ai sensi dell’articolo 191 c.p.p., è prevista per l’assunzione della prova “in violazione dei divieti stabiliti dalla legge” e non nelle ipotesi in cui la prova, pur consentita, sia stata assunta senza l’osservanza delle formalità prescritte. Inutilizzabilità. Di diverso avviso è l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’effetto della mancata applicazione dell’articolo 210 c.p.p. determina la più grave conseguenza processuale dell’inutilizzabilità, ai sensi dell’articolo 64, comma 3-bis, c.p.p., delle dichiarazioni testimoniali rese da chi avrebbe dovuto essere stato sentito come teste assistito, il quale, in alcuni casi prende le mosse dai principi affermati dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite numero 12067/2010. In altri casi, invece, viene valorizzato il richiamo contenuto all'interno dell'articolo 197-bis c.p.p. all'articolo 64 del codice di rito. Tale rinvio si ritiene esteso contrariamente al primo orientamento anche alla sanzione di inutilizzabilità indicata dall'articolo 64 comma 3-bis c.p.p., che travolge le dichiarazioni dell'interrogato che si presume assistito dal difensore rese senza l'avviso che notifica al dichiarante il suo diritto al silenzio e gli rende noto lo statuto processuale conseguente alla eventuale scelta di rispondere. Nessuna patologia. Infine, una terza opzione interpretativa esclude ogni patologia dell’atto perché circoscrive l’efficacia della sanzione dell'inutilizzabilità all'area degli interrogatori resi in fase investigativa, ritenendo che l'esame dibattimentale sia garantito dal fatto di essere svolto in contraddittorio. Le sentenze che seguono questo orientamento non riguardano, invero il caso in cui la testimonianza sia assunta in assenza del difensore, ma quello in cui la raccolta delle dichiarazioni avvenga in assenza dell'avviso previsto dall'articolo 64 c.p.p Tale indirizzo valorizza il fatto che sia l’articolo 197-bis c.p.p., sia l'articolo 210, comma 6, c.p.p. applicabili a seconda che il soggetto abbia o meno reso, in precedenza, dichiarazioni erga alios si riferiscono ad esami destinati, come tali, a svolgersi nel contraddittorio delle parti, mentre l'articolo 64 c.p.p. si riferisce al solo interrogatorio , e cioè ad un atto che, per sua natura, si svolge al di fuori del contraddittorio, razionalmente legittimando il maggior rigore del legislatore a tutela dei diritti dei terzi eventualmente coinvolti nelle dichiarazioni rese dall'interrogato. La parola alle Sezioni Unite. La questione sollevata alle Sezioni Unite per la verità non è stata espressa correttamente in quanto sembra fermarsi al quesito secco in ordine all’utilizzabilità/inutilizzabilità della deposizione della persona offesa non sentita nella veste di teste assistito, mentre invece, come dalla stessa ammessa, sono ulteriori gli orizzonti interpretativi che si potrebbero prospettare come quello della nullità . Più corretta la quaestio iuris già individuata dalla II Sezione nell’ordinanza del 15 dicembre 2014, numero 52023 “se la mancata applicazione - in sede di esame dibattimentale di un imputato di reato connesso o collegato a quello per cui si procede - delle disposizioni di cui all’articolo 210 c.p.p. relativamente alle dichiarazioni testimoniali rese da chi avrebbe dovuto essere sentito come teste assistito, perché imputato in un procedimento connesso o di un reato collegato, determina inutilizzabilità, nullità a regime intermedio o altra patologia della deposizione testimoniale”. In ogni caso il primo passaggio sarà quello di verificare se la violazione delle disposizioni dell’articolo 210 c.p.p. determini una sanzione processuale. Laddove si dia una risposta positiva escludendone la utilizzabilità della dichiarazioni testimoniali della persona offesa che doveva essere “assistita” occorrerà verificare quale sia la sanzione che colpisca la prova formatasi in dibattimento – nullità o inutilizzabilità – con le relative conseguenze in ordine ai diversi tempi e ai soggetti che possono far rilevare tale conseguenza. La soluzione delle Sezioni Unite dipenderà da quale principio riterranno prevalente se riterranno che le norme descritte dall’articolo 197-bis e 210 c.p.p. sul c.d. statuto del testimone assistito siano poste soprattutto a presidio del diritto al silenzio, espressione del principio nemo tenetur se detegere e corollario essenziale dell’inviolabile diritto di difesa nella declinazione specifica di diritto ad evitare l'autoincriminazione , propenderanno per la sanzione della nullità. Laddove, si valorizzerà il rinvio dell’articolo 197- bis c.p.p. all’articolo 64 c.p.p. compresa la relativa sanzione , si pronunceranno per l’inutilizzabilità della deposizione della persona offesa sentita senza l’avvertimento previsto ex articolo 64, comma 3, c.p.p. e senza assistenza del difensore. Difficile, infine, che gli ermellini possano pronunciarsi per l’assenza di conseguenze patologiche in quanto tale orientamento si riferisce ai diversi casi in cui la sola irregolarità riscontrata è il mancato avvertimento essendovi invece il rispetto del contraddittorio garantito dalla presenza della difesa che “assiste” la persona offesa imputata o indagata in procedimento connesso o collegato. Quindi, anche se riterranno che il rinvio all’articolo 64 c.p.p. non si estende alla sanzione dell’inutilizzabilità ivi prevista al comma 3-bis in quanto non espressamente richiamato dall’articolo 197 c.p.p. e laddove volessero valorizzare il contraddittorio nella formazione della prova ritenendolo prevalente rispetto al diritto al silenzio , l’assenza del difensore dell’impu-mone sentito quale persona offesa senza l’assistenza di un legale non garantirebbe comunque tale contraddittorio a differenza del caso in cui, secondo l’orientamento prospettato dell’assenza di patologia, l’unica irregolarità nella deposizione della persona offesa consiste nel mancato avvertimento ex articolo 64, comma 3, c.p.p. .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, ordinanza 24 novembre – 30 dicembre 2014, numero 53739 Presidente Vessichelli – Relatore Positano Ritenuto in fatto 1. Il difensore di B.C. propone ricorso per cassazione contro la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Bologna, in data 12 giugno 2013, che, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Ferrara, in data 29 maggio 2012, concedeva allo stesso anche il beneficio della non menzione della condanna, confermando, nel resto, la decisione impugnata, con la quale il Tribunale aveva affermato la responsabilità penale di B.C. per il delitto di atti persecutori nei confronti di E.C. e Patrizia, in esso assorbiti i reati contestati ai capi b e c dell'imputazione episodi d'ingiuria e minaccia, commessi in occasione di numerose telefonate . Concesse le circostanze attenuanti generiche, l'imputato era stato condannato alla pena, sospesa, di mesi quattro di reclusione, nonché al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili costituite, in favore delle quali il Tribunale liquidava anche una provvisionale di Euro 5000 ciascuna. 2. Avverso la sentenza del Tribunale proponeva appello la difesa di B. , chiedendo l'assoluzione perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato, in via subordinata, la qualificazione del fatto con riferimento alla sola ipotesi sub b e il riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall'articolo 599, comma 2, codice penale. 3. La Corte d'Appello riteneva infondati tutti i motivi d'impugnazione, ad eccezione della richiesta di riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel certificato penale. 4. Avverso tale ultima decisione propone ricorso per cassazione la difesa di B. Corso lamentando 5. violazione dell'articolo 612 bis del codice penale e mancanza di motivazione riguardo alla prova del danno, oltre che manifesta illogicità della decisione sul punto relativo all'attribuzione al ricorrente della paternità, anche, delle telefonate mute e di quelle anonime 6. violazione dell'articolo 599 e 62, comma 1, numero 2 codice penale e mancanza di motivazione e manifesta illogicità riguardo ai presupposti della provocazione e dello stato d'ira 7. violazione degli articoli 192, comma terzo, 197, 197 bis e 210 del codice di rito e conseguente declaratoria di nullità dell'esame testimoniale di E.P. e C. . 8. Con memoria del 12 novembre 2014 il difensore delle parti civili, E.P. e C. rileva l'infondatezza dei tre motivi di ricorso, evidenziando l'inammissibilità della seconda censura relativa all'erronea applicazione degli articoli 592 e 62, comma 1, codice penale, attesa l'ambigua esposizione delle ragioni che non consentono di individuare la norma invocata. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo la difesa dell'imputato lamenta inosservanza della legge penale articolo 612 bis c.p. , mancanza di motivazione sul punto concernente la prova del danno e manifesta illogicità della motivazione riguardo all'attribuzione, al ricorrente, della paternità delle telefonate mute e di quelle anonime. Evidenzia l'insussistenza del danno previsto dall'articolo 612 bis che è stato soltanto declamato dalle parti civili e non dimostrato. Anche con riferimento alla posizione di E.C. l'episodio del ricovero ospedaliero non sarebbe riferibile alla condotta dell'imputato poiché, fino a quella data, vi sarebbe stata soltanto una telefonata. Sotto altro profilo, la difesa esclude la configurabilità del danno poiché le parti civili, apparentemente perseguitate, erano in realtà responsabili di una grave condotta di appropriazione indebita, accertata con sentenza del Tribunale di Ferrara del 18 marzo 2013. Pertanto, avrebbero dovuto mettere in conto la vibrata reazione del B. . Quanto, infine, all'attribuibilità all'imputato anche delle telefonate mute e di quelle anonime, gli elementi probatori appaiono labili, essendo costituiti esclusivamente dalla narrazione delle parti lese. 2. Con il secondo motivo la difesa lamenta violazione degli articoli 599 e 62, comma 1, numero 2 del codice penale, oltre che mancanza di motivazione e manifesta illogicità. Secondo il ricorrente la Corte avrebbe dovuto applicare l'attenuante prevista all'articolo 62 del codice penale sussistendo lo stato d'ira, determinato dal grave episodio di appropriazione subito dal professionista e dall'ingiustizia del fatto altrui, concretizzatosi nella mancata consegna di un importo assolutamente cospicuo. Sotto altro profilo, lo stato d'ira sarebbe compatibile con un'alterazione emotiva che si protrae nel tempo difettando, al contrario dell'articolo 599 del codice penale, il requisito dell'immediatezza. 3. Con l'ultimo motivo la difesa lamenta violazione degli articoli 192, comma 3, 197,197 bis e 210 del codice di rito, poiché le persone offese, costituite parti civili, sono state esaminate in veste di testimoni, mentre avrebbero dovuto essere sentite quali persone imputate per un reato collegato in quanto imputate, all'epoca, del reato di appropriazione indebita aggravata ai danni dell'odierno ricorrente. 4. Preliminarmente rileva la Corte come le doglianze oggetto del primo motivo di ricorso siano connesse e assorbite in quelle poste a fondamento del terzo motivo, poiché, con riferimento alla posizione delle persone offese, ricorre l'ipotesi di imputati in reati reciproci, oltre che di reato collegato da un punto di vista probatorio. Conseguentemente l'esame del primo e terzo motivo sarà preceduto dalla valutazione della fondatezza del secondo motivo. 5. Riguardo a tale ultima doglianza la censura è manifestamente infondata poiché, come correttamente evidenziato dalla Corte, una volta derubricati gli episodi di cui ai capi a e c nella fattispecie di cui al capo b , non trova applicazione l'articolo 599, secondo comma, c.p. che si riferisce soltanto alle ipotesi previste dagli articoli 594 e 595 c.p. Quanto all'invocata circostanza attenuante prevista all'articolo 62, primo comma, numero 2 codice penale, appare incensurabile, in quanto giuridicamente corretta, la motivazione della Corte territoriale secondo cui lo stato d'ira è costituito da una situazione caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo. Tale ipotesi non può riferirsi al comportamento dell'imputato il quale, a fronte di un fatto ingiusto subito nel mese di gennaio 2010, ha continuato a minacciare e a offendere le parti offese per mesi, nonostante la richiesta delle stesse di rivolgersi al proprio legale e l'invito a interrompere le comunicazioni. 6. L'ultimo motivo di ricorso richiede l'esame della questione di diritto riguardante gli effetti della mancata applicazione - in sede di esame dibattimentale - delle disposizioni di cui all'articolo 210 cod. proc. penumero relativamente alle dichiarazioni testimoniali rese da chi, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere sentito come teste assistito, perché imputato in un procedimento connesso o di un reato collegato dal punto di vista probatorio, ai sensi dell'articolo 371 lett. b c.p.p 7. Sulla questione è opportuno prendere le mosse dalla decisione delle Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, numero 12067 del 17/12/2009 - dep. 29/03/2010, De Simone e altro, Rv. 246375 che, nell'affrontare il tema delle modalità di assunzione del soggetto che rivesta la qualità di imputato in procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma primo lett. c , cod. proc. penumero o collegato probatoriamente, ha ritenuto condivisibile l'indirizzo giurisprudenziale inaugurato da questa Sezione con la decisione, 25 settembre 2007, numero 39050, Costanza, Rv. 238188, seguita e sviluppata da Sez. 5, 13 novembre 2008, numero 47363, Petrelli, Rv. 242305 e, ancora, fra le altre, da Sez. 5, 17 dicembre 2008, numero 599, Mastroianni, Rv. 242384 Sez. 1, 24 marzo 2009, numero 29770, Vernengo, Rv. 244462 Sez. 6, 28 maggio 2009, numero 32841, Erler, Rv. 244448 , secondo il quale la persona offesa di un reato che sia anche imputata di altro reato commesso in danno dell'offensore, da considerarsi collegato ai sensi dell'articolo 371, comma 2, lett. b , c.p.p., deve essere sentita non come teste, ma nelle forme di cui all'articolo 210, comma 6, c.p.p. e le dichiarazioni rese vanno valutate secondo la regola dettata dall'articolo 192, comma 3, c.p.p., cioè unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità. Le Sezioni Unite, nell'occasione, non hanno affrontato anche la questione successiva, e cioè quella relativa agli effetti della mancata applicazione - in sede di esame dibattimentale di un imputato di reato connesso o collegato a quello per cui si procede - delle disposizioni di cui all'articolo 210 cod. proc. penumero relativamente alle dichiarazioni testimoniali rese da chi avrebbe dovuto essere sentito come teste assistito, perché imputato in un procedimento connesso o di un reato collegato. 8. Sul punto è possibile individuare almeno tre indirizzi interpretativi che, anche di recente, sono stati affermati da questa Corte. 9. Secondo un primo orientamento l'effetto della mancata applicazione delle disposizioni sopra richiamate determinerebbe un'ipotesi di nullità a regime intermedio Sez. V, 27 marzo 2013, numero 26206, Sebastianelli, Rv. 257575 in senso analogo, cfr. Sez. I, 8 novembre 2012, numero 43187, Di Noio, Rv. 253748 Sez. I, 1 marzo 2010, numero 8082, Visentin, Rv. 246329 Sez. Ili, 5 ottobre 2004, numero 38748, Mainiero ed altri Sez. 6, 22 gennaio 2014, numero 10282, Romeo, Rv. 259267 Sez. V, 1 aprile 2014, numero 29561, Racco, Sez. I, 10 luglio 2014, numero 43622, Fusar Bassini Sez. 6, 23 maggio 2014, numero 41004, Saviano Sez. IV, 8 luglio 2014, numero 36259, Barisone . 10. Secondo altre decisioni di questa Corte tale omissione darebbe luogo ad un'ipotesi di inutilizzabilità Sez. V, 28 ottobre 2010, numero 1898/11, Micheli Clavier, Rv. 249045 Sez. I, 24 marzo 2009, numero 29770, Vernengo ed altri, Rv. 244462 Sez. V, 17 dicembre 2008, numero 599/2009, Mastroianni, Rv. 242384 Sez. V, 23 ottobre 2007, numero 39050, Costanza ed altro, Rv. 238188 Sez. V, 27 maggio 2014, numero 29227, Cavaliere Rv. 260320 Sez. V, 13 marzo 2014, numero 26016, Bivona Sez. V, 10 ottobre 2013, numero 3524/2014, Guadalaxara . 11. Infine, secondo un terzo indirizzo giurisprudenziale non vi sarebbe alcun profilo patologico dell'atto Sez. V, 29 settembre 2013, numero 7595, p.c. in proc. Zannelli, Rv. 259032 Sez. V, 24 settembre 2013, numero 41886, Perri, Rv. 257839 Sez. I, 23 settembre 2014, numero 41745, Ubaldini Sez. V, 17 febbraio 2014, numero 23578, Finazzi Sez. V, 31 gennaio 2012, numero 12976, Belotti ed altri, Rv. 252317 Sez. V, 5 novembre 2013, numero 18837/2014, Corso . 12.Secondo la prima opinione, l'inosservanza delle predette disposizioni determina la nullità a regime intermedio, che, peraltro, non può essere eccepita dall'imputato del procedimento principale, per assenza di interesse all'osservanza della disposizione violata Sez. V, 27 marzo 2013, numero 26206, Sebastianelli, Rv. 257575 in senso analogo, cfr. Sez. I, 8 novembre 2012, numero 43187, Di Noio, Rv. 253748 Sez. I, 1 marzo 2010, numero 8082, Visentin, Rv. 246329 Sez. Ili, 5 ottobre 2004, numero 38748, Mainiero ed altri . In particolare, poiché l'istituto di cui al citato articolo 210 è finalizzato a tutelare l'imputato o l'indagato nel procedimento connesso dal rischio che, deponendo nel processo principale come testimone obbligato a dire la verità, arrivi inconsapevolmente ad incriminarsi per il reato connesso o collegato e, comunque, a deporre contro se stesso, tale nullità a regime intermedio non può essere eccepita dall'imputato del procedimento principale, per assenza di interesse all'osservanza della disposizione violata. L'ordinamento prevede che egli debba essere avvertito della facoltà di non rispondere e che sia obbligatoriamente assistito da un difensore, il quale ha diritto di partecipare all'esame. Pertanto quando, pur sussistendone i presupposti, non si procede all'applicazione dell'articolo 210 cod. proc. penumero , la conseguenza dell'inosservanza è la nullità della deposizione testimoniale ai sensi dell'articolo 178 lett. c cod. proc. penumero , atteso che la legge non vieta l'esame dell'imputato in procedimento connesso o collegato ma, semplicemente, prescrive che esso sia assunto secondo determinate formalità. Le decisioni adottate da questa giurisprudenza, consapevolmente, si distaccano dal secondo orientamento che ritiene sussistente l'inutilizzabilità della prova, poiché tale sanzione processuale, ai sensi dell'articolo 191, comma 1, cod. proc. penumero , è prevista per l'assunzione della prova in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e non per le ipotesi in cui la prova, pur consentita, sia stata assunta senza l'osservanza delle formalità prescritte inoltre, l'articolo 197, comma 2, cod. proc. penumero richiama esclusivamente il comma 3 dell'articolo 64 stesso codice e non il comma 3 bis, entrambi introdotti dall'articolo 2 legge 1 marzo 2001, numero 63, sul giusto processo. Tale indirizzo ha trovato ulteriore conferma in una recente decisione della Sezione Sesta Sez. 6, 22 gennaio 2014, numero 10282, Romeo, Rv. 259267 che in motivazione ha ribadito la centralità della tutela dell'imputato o dell'indagato, nel procedimento connesso, rispetto al rischio che, deponendo nel processo principale come testimone obbligato a dire la verità, arrivi inconsapevolmente ad autoincriminarsi per il reato connesso o collegato e, comunque, a deporre contro se stesso. Nello stesso, ancora più di recente Sez. V, 1 aprile 2014, numero 29561, Racco, Sez. I, 10 luglio 2014, numero 43622, Fusar Bassini Sez. 6, 23 maggio 2014, numero 41004, Saviano Sez. IV, 8 luglio 2014, numero 36259, Barisone. 13. L'indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'effetto della mancata applicazione dell'articolo 210 c.p.p. determina la più grave conseguenza processuale dell'inutilizzabilità, ai sensi dell'articolo 64, comma 3 bis, cod. proc. penumero , delle dichiarazioni testimoniali rese da chi avrebbe dovuto essere sentito come teste assistito, perché imputato in un procedimento connesso o di un reato collegato Sez. V, 28 ottobre 2010, numero 1898/11, Micheli Clavier, Rv. 249045 Sez. I, 24 marzo 2009, numero 29770, Vernengo ed altri, Rv. 244462 Sez. V, 17 dicembre 2008, numero 599/2009, Mastroianni, Rv. 242384 Sez. V, 23 ottobre 2007, numero 39050, Costanza ed altro, Rv. 238188 , è stato di recente ribadito, con riferimento ad un'ipotesi di reato collegato, da Sez. V, 27 maggio 2014, numero 29227, Cavallero, Rv. 260320 e, per l'ipotesi di imputato di reato collegato, da Sez. V, 13 marzo 2014, numero 26016, Bivona ma già Sez. V, 10 ottobre 2013, numero 3524/2014, Guadalaxara , prendendo le mosse dai principi affermati dalla citata decisione Sez. U, 17 dicembre 2009, numero 12067, De Simone, Rv. 246375. 14. Infine, secondo una terza opzione interpretativa, qualora l'esame dibattimentale di un imputato di reato connesso ai sensi dell'articolo 12, comma primo, lett. c , o collegato ai sensi dell'articolo 371, comma secondo, lett. b , si svolga senza essere preceduto dall'avviso di cui all'articolo 64, comma terzo, lett. c, cod. proc. pen deve essere esclusa ogni ipotesi di patologia dell'atto, in quanto l'articolo 197 bis c.p.p. e l'articolo 210, comma sesto, c.p.p. applicabili, a seconda che il soggetto abbia o meno reso, in precedenza, dichiarazioni erga alios si riferiscono ad esami destinati, come tali, a svolgersi nel contraddittorio delle parti, mentre l'articolo 64 c.p.p. si riferisce al solo interrogatorio , e cioè ad un atto che, per sua natura, si svolge al di fuori del contraddittorio, legittimando il maggior rigore del legislatore a tutela dei diritti dei terzi eventualmente coinvolti nelle dichiarazioni rese dall'interrogato così, Sez. V, 24 settembre 2013, numero 41886, Perri, Rv. 257839 in motivazione, Sez. V, 29 settembre 2013, numero 7595, p.c. in proc. Zannelli, Rv. 259032 e Sez. I, 23 settembre 2014, numero 41745, Ubaldini . Secondo Sez. V, 17 febbraio 2014, numero 23578, Finazzi ma già, in precedenza, Sez. V, 31 gennaio 2012, numero 12976, Belotti ed altri, Rv. 252317 e da Sez. V, 5 novembre 2013, numero 18837/2014, Corso , all'imputato o indagato di reato connesso o collegato, esaminato quale teste assistito ai sensi dell'articolo 197 bis, deve essere dato l'avviso di cui all'articolo 64, comma terzo, lett. c ovvero l'avvertimento che, se si renderanno dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, si assumerà in ordine ad essi l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità di cui all'articolo 197 e le garanzie di cui all'articolo 197 bis del codice di rito in sede di interrogatorio svolto durante le indagini e dunque al di fuori delle garanzie del contraddittorio , ma non anche in sede di esame dibattimentale ex articolo 197 bis, in cui la persona è chiamata a riferire - con l'assistenza difensiva - quanto a sua conoscenza nella già dichiarata non futura ed eventuale veste di testimone . 15. Alla stregua dei riferiti rilievi, rilevato che la tematica esaminata ha dato luogo ad un contrasto giurisprudenziale, appare necessario rimettere alle Sezioni Unite Penali di questa Corte, a norma dell'articolo 618 c.p.p., la seguente questione se la mancata applicazione - in sede di esame dibattimentale di un imputato di reato connesso o collegato a quello per cui si procede - delle disposizioni di cui all'articolo 210 cod. proc. penumero relativamente alle dichiarazioni testimoniali rese da chi avrebbe dovuto essere sentito come teste assistito, perché imputato in un procedimento connesso o di un reato collegato, determina o meno l'inutilizzabilità della deposizione stessa. P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell'articolo 618 c.p.p