I furti e le rapine, poste in essere dal tossicodipendente per procurarsi le dosi, configurano reato continuato le condotte integrano un unico disegno criminoso.
La Corte di Cassazione, con sentenza numero 20144 del 20 maggio, ha stabilito che i reati, come rapine e furti, commessi da un tossicodipendente al fine di procurarsi le dosi, rientrano nella fattispecie del reato continuato.La fattispecie. La Corte d'appello di Milano, in funzione di giudice dell'esecuzione, respingeva la richiesta di riconoscimento della continuazione, avanzata da un tossicodipendente accusato di furti e rapine, in quanto tali reati non erano ritenuti frutto del medesimo disegno criminoso.Il condannato ricorreva per cassazione lamentando l'omessa valutazione, da parte del giudice dell'esecuzione, del dedotto stato di tossicodipendenza.Il ricorrente chiedeva l'applicazione della disciplina del reato continuato articolo 671, comma 1, c.p.p. visto che l'attività illecita era finalizzata a reperire denaro per acquistare sostanze stupefacenti per uso proprio e, quindi, le condotte poste dovevano essere considerate frutto dello stesso disegno criminoso.La consumazione di più reati, in relazione allo stato di tossicodipendenza, configura un reato continuato. Con l'articolo 4-vicies L. numero 49/06 è stata novellata la disciplina del reato continuato, con l'aggiunta, tra le gli elementi che incidono sull'applicazione di questa disciplina, della consumazione dei reati in relazione allo stato di tossicodipendenza. Così, la Suprema Corte ha annullato l'ordinanza impugnata e rinviato, per nuovo esame, alla Corte d'appello di Milano per uniformarsi al principio di diritto secondo cui il giudice dell'esecuzione, nel riconoscere la continuazione del reato, deve verificare che i reati siano frutto della medesima preventiva risoluzione criminosa, tenendo conto se il condannato, in concomitanza della relativa commissione, era tossicodipendente e se tale stato aveva influito sulla commissione delle condotte criminose .
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 aprile - 20 maggio 2011, numero 20144Presidente Giordano - Relatore VecchioRileva1. - Con ordinanza, deliberata il 28 giugno 2010 e depositata il 9 ottobre 2010, la Corte di appello di Milano, in funzione di giudice della esecuzione, ha respinto la richiesta di riconoscimento della continuazione, avanzata dal condannato C.A., motivando che non era dato apprezzare - né l'interessato aveva prospettato - elementi idonei a suffragare la supposizione che le rapine e i furti perpetrati dall'instante fossero frutto del medesimo disegno criminoso, a dispetto degli intervalli di tempo trascorsi tra i delitti e dei periodi di detenzione medio tempore patiti.2. - Ricorre per cassazione il condannato, personalmente, mediante atto recante la data del 19 ottobre 2010, col quale denunzia inosservanza dell'articolo 671 c.p.p. per aver il giudice della esecuzione omesso di valutare il dedotto stato di tossicodipendenza.3. - Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte suprema, con requisitoria del 18 gennaio 2011, rileva il condannato ha posto a base della richiesta di riconoscimento della continuazione la considerazione del proprio stato di tossicodipendenza l'ordinanza impugnata è, pertanto, viziata da palese carenza della motivazione .4. - Il ricorso è fondato.L'ultimo periodo del primo comma dell'articolo 671 c.p.p. - siccome novellato dall'articolo 4-vicies dalla legge 21 febbraio 2006, numero 49, di conversione del decreto legge 30 dicembre 2005, numero 271 - recita Fra gli elementi che incidono sulla applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza .Nella specie il condannato aveva dedotto col libello introduttivo di essere dedito all'uso di sostanze stupefacenti allegando opportuna documentazione aveva prospettato che la attività illecita perpetrata era finalizzata a reperire denaro per l'acquisto di sostanza stupefacente per uso proprio e aveva invocato la applicazione della novella 21 febbraio 2006, numero 49.Risulta, pertanto, palese che il giudice della esecuzione, avendo omesso di valutare la deduzione del condannato circa il succitato stato di tossicodipendenza, è incorso nella inosservanza della anzidetta disposizione.Conseguono l'annullamento della ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Milano la quale si uniformerà al seguente principio di diritto che questa Corte suprema enuncia ai sensi dell'articolo 173, comma 2, disp. att. c.p.p. Nel deliberare in ordine al riconoscimento della continuazione il giudice della esecuzione verifica che i reati siano frutto della medesima, preventiva risoluzione criminosa, tenendo conto se il condannato, in concomitanza della relativa commissione, era tossicodipendente e se il suddetto stato aveva influito sulla commissione delle condotte criminose.P.Q.M.Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Milano.