Dalla previsione della corresponsione periodica di una somma di denaro, a fronte della concessione di un immobile, può desumersi che l’accordo va ricondotto nel’alveo del contratto di locazione e non in quello del diritto reale di abitazione.
Individuare la fattispecie contrattuale in cui sussumere un accordo intercorso tra due parti non sempre è cosa semplice. Non lo è stato, sicuramente, per la Seconda Sezione civile della Corte d’appello di Firenze che, con una sentenza dello scorso 16 novembre, ha deciso sull’appello presentato avverso una pronuncia del capoluogo toscano. Il caso. Con un contratto una persona concedeva alla controparte il godimento di due stanze di una sua unità immobiliare. Il punctum dolens è ruotato attorno alla natura di quell’accordo locazione o concessione del diritto d’abitazione? Per la prima ipotesi propendevano gli eredi della parte concedente, i quali s’erano rivolti alla magistratura per ottenere il riconoscimento della cessazione del contratto. A questa tesi ha aderito il Tribunale e, dopo l’appello del locatario, anche la Corte d’appello. La natura dell’accordo obbligatoria o reale? Locazione o concessione di un diritto di godimento? I giudici di seconde cure, pur specificando che «la questione, non frequente nella pratica, come denota la penuria di precedenti giurisprudenziali specifici, presenta delle difficoltà», hanno preso una decisione che non passa del tutto esente da critiche. Il punto fondamentale che li ha fatti propendere per la conferma della decisione di primo grado è stata la formulazione della scrittura privata oggetto del contendere. Rileva l’aspetto temporale il corrispettivo è legato alla durata del rapporto. In pratica, secondo la Corte fiorentina, le parti, nell’accordarsi, hanno dato preponderante importanza all’aspetto temporale dell’accordo, legando specificamente la dazione di denaro a questo aspetto. Ciò non poteva che far concludere per la natura locatizia del contratto di concessione d’uso delle due stanze. Si, infatti, legge nella sentenza che «nei contratti di durata, nei quali l’utilità della prestazione è in rapporto diretto con il tempo, anche il corrispettivo economico dovuto è, di regola, commisurato alla durata più dura il godimento della cosa locata, maggiore è la somma finale che il conduttore si troverà ad avere sborsato a titolo di corrispettivo». Per questo, spiegano i giudici, il contratto oggetto della causa non poteva essere ricondotto nell’alveo di diritti reali in cui l’esecuzione è istantanea ed il tempo, al massimo, può scandire le modalità di versamento di un prezzo che è stato già globalmente considerato quale contropartita della cessione. In esso non c’era scritto la parte s’impegna a versare la somma di €. X in rate o quote mensili pari ad €. Y ma, diversamente, l’accordo specificava che la parte conduttrice s’impegnava a versare «un compenso mensile di lire 15.000». Per la Corte fiorentina questo è stato un elemento fondamentale per concludere per la natura obbligatoria e non reale dell’accordo. Si trattava di locazione, null’altro. Anche se le parti avessero deciso altrimenti Fin qui nulla su cui obiettare. I giudici di seconde cure, però, si sono spinti oltre e hanno affermato che quand’anche le parti avessero deciso espressamente per la costituzione d’un diritto di abitazione, quella decisione non avrebbe avuto valore. «Il discorso non cambierebbe – si legge in sentenza – ove pure le parti, mantenendo fermo il criterio di determinazione del corrispettivo, cioè il canone che tale esso è, comunque lo si voglia chiamare , avessero deliberatamente dichiarato di volere costituire un diritto reale di abitazione o di uso, ovvero di usufrutto, citando a ragion veduta gli articoli del codice che riguardano questi istituti. In una tale ipotesi, nella quale l’interpretazione letterale del testo negoziale non dovrebbe rendere possibili alternative, non resterebbe all’interprete che la soluzione obbligata del negozio simulato, dal momento che è la struttura del sinallagma, costruita come rapporto di durata addirittura di durata a tempo indeterminato, in cui entrambe le prestazioni, godimento del bene e pagamento del corrispettivo periodico, sono vicendevolmente commisurate sulla base di un criterio di quantificazione temporale , ad attirare, per logica giuridica, la pattuizione verso il contratto di locazione». Alcuni rilievi critici. Ciò che di questa affermazione risulta difficile comprendere è come sarebbe possibile concludere per la simulazione senza la prova che le parti avessero inteso dissimulare un altro accordo e soprattutto in considerazione del fatto che “l’accordo reale” non sia stato sottaciuto ma addirittura inserito in quello sottoscritto. Una sorta di simulazione preterintenzionale che non è prevista dal nostro ordinamento. Probabilmente la Corte toscana con l’intenzione di “blindare” la propria decisione ha finito per lasciarsi andare ad affermazioni che lungi dal rafforzare la sentenza hanno finito per gettare qualche ombra sulla stessa. Ad ogni buon conto, soffermandosi sull’oggetto reale del contendere è possibile sintetizzare la decisione della Corte d’appello di Firenze nel seguente modo l’espressa previsione della corresponsione periodica di una somma di denaro a fronte della concessione di un’unità immobiliare, o di parte di essa, fa si che quell’accordo debba essere ricondotto nel’alveo del contratto di locazione e non in quello del diritto di abitazione. Quest’ultimo, infatti, è caratterizzato dall’immediatezza del trasferimento del diritto ed il fattore temporale non assurge ad elemento primario dell’accordo.
Corte di Appello di Firenze, sez. II Civile, sentenza 16 dicembre 2011 Presidente relatore Occhipinti Svolgimento del processo Con scrittura privata del lontano 15.6.1973 fra G. M. in N. e il cugino M. P. si conveniva che la prima avrebbe ceduto in uso due stanze di un suo immobile, da mettersi in comunicazione, a spese del M., con il contiguo appartamento di quest’ultimo, e ciò dietro un corrispettivo mensile di lire 15.000. Più precisamente, la scrittura era così congegnata “ Il Sig. P. M. – avendo richiesto per potere usufruire di sua abitazione di numero 2 stanze facenti parte di un quartiere di proprietà della Sig.ra G. M. in N., unendolo, a sue spese, al quartiere da lui abitato – si obbliga di corrispondere attualmente alla suddetta, che accetta, un compenso mensile di lire 15.000. La Sig.ra G. M. in N. si obbliga per sé e per gli eventuali suoi aventi diritto, a concedere al Sig. P. M. l’uso delle due stanze fino a che egli ne avrà personale necessità. Il Sig. P. M. da parte sua si obbliga, nel caso che per qualsiasi motivo volesse rilasciare i due locali, di provvedere a sue spese alla riunione dei medesimi al quartiere di proprietà della Sig.ra G. M. in N.”. Seguiva la firma della M Ora è accaduto che, deceduta la M., gli eredi, interpretando come locazione l’accordo di cui alla scrittura suddetta, chiedevano la restituzione delle due stanze, per raggiunta scadenza del rapporto ai sensi della legge numero 392 del 1978. L’adito Tribunale di Firenze, aderendo alla tesi attrice, dichiarava cessata alla data del 31.12.2007 la locazione e ordinava al M. il rilascio delle due stanze. Contro tale sentenza ha proposto appello il M., insistendo nella tesi, respinta dal primo giudice, secondo la quale con la scrittura di cui sopra le parti avrebbero inteso costituire non un rapporto di locazione, ma un diritto reale di abitazione, sia pure a titolo oneroso. Gli appellati, per contro, difendono l’operato del Tribunale. Motivi della decisione Effettivamente la questione, non frequente nella pratica, come denota la penuria di precedenti giurisprudenziali specifici, presenta delle difficoltà, a cui il primo giudice, propendendo per la tesi della locazione, ha dato una soluzione che la Corte ritiene condivisibile. Elemento decisivo, al riguardo, e come si accennava nell’ordinanza emessa in fase inibitoria, è il corrispettivo “ compenso mensile ”, viene detto nella scrittura privata , da pagarsi in una misura periodica prestabilita, cioè in un vero e proprio canone, e dimensionato non in un ammontare complessivo certo – come avverrebbe in una vendita a prezzo rateizzato – ma esclusivamente in funzione della durata del godimento del bene. E questo è, per definizione, il canone locativo, cioè il prezzo che il conduttore deve pagare al locatore per il godimento del bene, il quale prezzo, pur potendo teoricamente consistere in una somma globalmente determinata, da corrispondersi in un’unica o in più soluzioni, nella pratica è quasi sempre un importo non determinato né quasi mai determinabile preventivamente, in quanto, a prescindere da eventuali altre variabili, esso è essenzialmente commisurato al perdurare del rapporto, come avviene, di regola, nei contratti di durata, quali sono, appunto, la locazione, il comodato, la somministrazione ecc. Nei contratti di durata, nei quali l’utilità della prestazione è in rapporto diretto con il tempo, anche il corrispettivo economico dovuto è, di regola, commisurato alla durata più dura il godimento della cosa locata, maggiore è la somma finale che il conduttore si troverà ad avere sborsato a titolo di corrispettivo. Tutto questo mal si configura nella vendita , o cessione, se così si preferisce chiamarla, di un diritto reale, sia esso la proprietà, sia uno dei diritti minori, che non dà luogo ad un rapporto di durata, ma ad un rapporto ad esecuzione istantanea si badi che tale va considerata anche l’esecuzione differita o rateizzata dell’obbligazione relativa al pagamento del prezzo . Nella pattuizione per cui è causa, l’elemento costitutivo ed equilibratore del sinallagma contrattuale non è lo scambio di due res predeterminate e certe, ma è essenzialmente il tempo, il quale, con il suo trascorrere, determina progressivamente le due utilità contrapposte. Una locazione che prescinda dal tempo non è teoricamente configurabile, al contrario dei contratti ad esecuzione istantanea, come quelli ad efficacia reale, dove il tempo può avere rilievo, ma soltanto come elemento accidentale e non strutturale. Nel caso di specie, è incontestabile che, con l’acquisizione del godimento delle due stanze, la parte si rende debitrice di un corrispettivo economico progressivamente crescente in rapporto alla durata del godimento stesso e questa è la dinamica tipica del contratto di locazione, non della vendita/cessione del diritto reale. La stessa scansione temporale del pagamento, ad un tot al mese, fino a quando durerà il godimento della cosa, è tipica del rapporto locativo. Per contro, appare come una forzatura logica il volere determinare il corrispettivo della cessione di un diritto non in una somma predeterminata magari da pagarsi ratealmente , ma in un quid che risulterà alla fine del godimento, moltiplicando un valore convenzionale periodico per la somma dei periodi per i quali il godimento si è protratto. Anche se in questo modo si cercasse di strutturare la costituzione a termine di una servitù di passaggio o di acquedotto, avremmo in realtà pur sempre un contratto di durata a prestazioni corrispettive, perciò una locazione, se non addirittura una somministrazione. A questo punto, come si vede, il problema di ermeneutica non consiste tanto nel cercare di ricostruire la volontà delle parti ammesso pure che le parti avessero presente la sottile differenza fra locazione e costituzione a titolo oneroso di un diritto reale minore , ma di verificare se il risultato da esse voluto sul piano obbligatorio, così come emerge dai termini semplici e pur chiari della scrittura privata, presenti maggiore compatibilità con lo schema giuridico della locazione o con quello del contratto di cessione di un diritto reale. E la risposta non può che essere quella ora vista. D’altronde, il discorso non cambierebbe ove pure le parti, mantenendo fermo il criterio di determinazione del corrispettivo, cioè il canone che tale esso è, comunque lo si voglia chiamare , avessero deliberatamente dichiarato di volere costituire un diritto reale di abitazione o di uso, ovvero di usufrutto, citando a ragion veduta gli articoli del codice che riguardano questi istituti. In una tale ipotesi, nella quale l’interpretazione letterale del testo negoziale non dovrebbe rendere possibili alternative, non resterebbe all’interprete che la soluzione obbligata del negozio simulato, dal momento che è la struttura del sinallagma, costruita come rapporto di durata addirittura di durata a tempo indeterminato, in cui entrambe le prestazioni, godimento del bene e pagamento del corrispettivo periodico, sono vicendevolmente commisurate sulla base di un criterio di quantificazione temporale , ad attirare, per logica giuridica, la pattuizione verso il contratto di locazione. Né mancherà di notare l’appellante i rischi che, in una siffatta materia, una difesa ad oltranza del testo letterale del contratto comporterebbe per la sopravvivenza della locazione come istituto, ove bastasse alle parti stabilire di cedere ad un tanto al mese il diritto d’abitazione sulla casa o di uso o usufrutto sul locale o sul negozio, per tirarsi fuori dai molti vincoli di ordine sociale imposti dalla normativa sulle locazioni. Tutti i contratti di locazione, ove dovesse poi essere il c.d. intuitus personae il discrimine costituzione di diritto reale minore e locazione, comincerebbero presso a poco così “ Premesso che ho un appartamento, ovvero un locale, sito ecc., che è la luce degli occhi miei e che per niente al mondo darei in locazione, meno che mai a sconosciuti che si dà, tuttavia, il caso che il rag. F. è persona benemerita, di alto sentire e squisita assai”. L’ intuitus personae, appunto, ed infine, è elemento troppo opinabile, soggettivo ed evanescente, per costituire la ragione di una distinzione fra figure giuridiche strutturalmente differenti. L’essere il contraente cugino e già vicino di casa può rappresentare una ragione umanamente sufficiente a spiegare il sacrificio – controinteressato dal pagamento di un canone, tutt’altro che irrisorio, almeno in origine - di scorporare dal proprio appartamento due stanze, e cedergliele in locazione. Per la stessa ragione, non può condurre a diverso risultato la valorizzazione di sfumature lessicali, come l’ancorare la durata del rapporto alle necessità pratiche del cessionario “ fino a che egli ne avrà personale necessità ” , le quali sono, anzi, pienamente compatibili con i contratti di durata, quali il comodato e la locazione. Infine, la richiesta subordinata di protrarre ulteriormente la durata della locazione, fino alla esistenza in vita del locatario, urta contro il disposto dell’articolo 1573 c.c., il quale vieta la pattuizione di locazioni di durata ultratrentennale la presente è andata già ben oltre tale limite . In conclusione, l’impugnata sentenza non merita censura, per questi aspetti decisionali. Per quanto riguarda, invece, le spese processuali, effettivamente il primo giudice è stato severo. La questione, non frequente, come si è detto, in giurisprudenza, ha una sua problematicità che indubbiamente meritava il vaglio di una pronuncia giudiziale. Perciò, la compensazione sarebbe stata, ed è, in un caso del genere, soluzione appropriata. P.Q.M. La Corte, definitivamente pronunciando, in parziale riforma della impugnata sentenza, dichiara compensate fra le parti le spese processuali di primo grado. Rigetta nel resto il proposto appello. Dichiara ulteriormente compensate le spese del giudizio.