Soldi in nero per un avvocato: è grave

Rischia una condanna penale senza le attenuanti generiche il professionista che riceve parte dei suoi ricavi in nero.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 24816, depositata il 6 giugno 2013, pronunciandosi su un ricorso presentato da un avvocato, condannato per dichiarazione infedele, finalizzata all’evasione fiscale. L’avvocato trasferisce milioni di euro su conti esteri. L’indagato, infatti, aveva ricevuto, in via non ufficiale, su un conto estero la parte più consistente milioni di euro del pagamento di una prestazione professionale e fatto emettere, allo studio professionale di cui è socio, la fattura relativa a una minima parte soltanto del compenso pattuito con la cliente. Condanna senza attenuanti. Il ricorrente ha lamentato errata applicazione di legge in relazione alla mancata applicazione delle attenuanti generiche ex articolo 62-bis c.p Piazza Cavour, però, ha ritenuto corretto il ragionamento dei giudici di appello. Questi ultimi, correttamente, oltre al ricorso a sottofatturazione, hanno evidenziato il complessivo meccanismo di frode posto in essere dall’uomo trasferimento di denaro su conto estero, riferibilità a un noto studio professionale associato della fattura emessa e dell’operazione contabile. Inoltre, è stato formulato un giudizio di gravità del fatto anche in considerazione della natura della prestazione professionale. Codice deontologico violato. Pertanto, gli Ermellini hanno considerato corretta la valutazione dei giudici di merito in tema di applicazione dell’articolo 62 c.p., in base alla quale è stata tenuta in considerazione la qualificazione professionale dell’imputato e i doveri che a questa si collegano, nonché l’entità dell’importo evaso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 febbraio – 6 giugno 2013, numero 24816 Presidente Teresi – Relatore Marini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 2/3/2012 la Corte dì appello dì Milano, in riforma della sentenza emessa il 30/3/2010 dal Giudice dell'udienza preliminare in sede a seguito di rito abbreviato, ha assolto il sig. G. dal reato ex articolo 61, numero 7, e 640, commi 1 e 2, cod. penumero capo A e lo ha condannato io stesso alla pena, condizionalmente sospesa, di otto mesi di reclusione per il reato previsto dall'articolo 4 del d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74 capo B commesso in relazione all'anno d'imposta 2004. In particolare la Corte di appello ha ritenuto di confermare la ricostruzione dei fatti addebitati al sig. G., accusato di avere, quale professionista partecipe di uno studio legale, ricevuto in via non ufficiale su conto estero la parte più consistente pari a 13,5 milioni di euro del pagamento di una prestazione professionale e fatto emettere allo studio professionale la fattura relativa a una parte soltanto pari a 1,5 milioni del compenso pattuito con la cliente. Ha, quindi, escluso che oltre al reato tributario contestato al capo B possa sussistere la violazione prevista dall'articolo 640, comma 2, cod. penumero Sez.Unumero , sentenza numero 1235/2011, ud. 28/10/2010 e determinato la pena per il reato sub B in otto mesi di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e di quella prevista dall'articolo 13 del d.Igs. 10 marzo 2000, numero 74. 2. Avverso tale decisione II sig. G. propone ricorso tramite il Difensore, in sintesi lamentando a. Vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett.c cod. proc. penumero in relazione alla determinazione della pena, dovendosi escludere il carattere fraudolento della condotta che, invece, la Corte di appello ha preso in considerazione come elemento qualificante ai fini della decisione sul punto b. Errata applicazione dì legge ex articolo 606, lett.b cod. proc. penumero con riguardo agli articolo 62-bis, 132 e 133 cod. penumero e vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett.e cod. proc. penumero per avere la Corte di appello considerato i medesimi elementi di fatto sia ai fini della determinazione delta pena base sia ai fini della valutazione delle circostanze. Considerato in diritto 1. La Corte ritiene che entrambi i motivi di ricorso siano infondati e che l'impugnazione debba essere respinta. 2. Va osservato, in primo luogo, che la valutazione di gravità delle condotte in quanto collegata anche alla natura fraudolenta delle stesse è stata oggetto di specifica e non illogica motivazione da parte della Corte di appello. Risulta, infatti, evidente che i giudici di appello non hanno preso in esame il solo elemento del ricorso a sottofatturazione, ma hanno sottolineato il complessivo meccanismo di frode poste in essere dall'imputato e caratterizzato sia dal trasferimento delle somme di denaro estero su estero sia dallo schermo costituito dalla riferibilità a un noto studio professionale associato della fattura emessa e della relativa operazione contabile. 3. Va osservato, poi, che non appare illogico che i giudici di merito abbiano formulato un giudizio di gravità del fatto non solo, ma anche in considerazione dell'obiettivamente elevata entità dell'importo evaso, soprattutto in considerazione della natura della prestazione professionale. 3. Fatte queste premesse, la Corte rileva che non risponde a realtà che i giudici di appello nel determinare in concreto il trattamento sanzionatorio abbiano operato un richiamo ai medesimi elementi con riguardo ai diversi profili esaminati, e cioè alla determinazione della pena base e al giudizio in tema di circostanze. E' sufficiente rilevare che per il primo profilo i giudici di appello hanno considerato la natura fraudolenta dell'operazione e la complessiva gravità del fatto, mentre il giudizio in tema di applicazione dell'articolo 62-bis cod. penumero hanno considerato la qualificazione professionale dell'Imputato, e i doveri che a questa si collegano, nonché l'entità dell'importo sottratto a imposizione tributaria. 4. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.