In presenza di un fatto ingiusto del datore di lavoro che possa avere inciso su diritti costituzionalmente rilevanti, collegati alla famiglia od alla vita di relazione del lavoratore, l’obiettivo peggioramento delle condizioni di vita di quest’ultimo non è in re ipsa.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione – sezione Lavoro, con la sentenza numero 11527, depositata il 14 maggio 2013. Il dipendente illegittimamente trasferito deve provare il danno esistenziale . La pronuncia in commento si inserisce nel più generale filone giurisprudenziale secondo cui il pregiudizio non si pone come conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo del datore di lavoro. Pertanto, non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, ma incombe sul lavoratore, non solo di allegare l’illegittimità di tale condotta, ma anche di fornire la prova ex articolo 2697 c.c., anche con presunzioni, del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con detta condotta cfr. Cass. numero 25575/2011, Cass. numero 19785/2010, e Cass. numero 29832/2008 . Con particolare riferimento al danno esistenziale, la Suprema Corte ha affermato che detto danno deve essere provato dal dipendente che lamenti di averlo subito, atteso che la liquidazione equitativa attiene soltanto alla quantificazione e non all’accertamento del danno. Conseguentemente, il lavoratore che adduca il verificarsi di un danno esistenziale da trasferimento, ha l’onere, quantomeno, di allegare quali conseguenze, sul piano degli affetti e della vita di relazione, avrebbe comportato la prolungata assenza da casa. Scelta del dipendente da trasferire il datore non è obbligato a considerare le esigenze familiari . La pronuncia in commento ha, poi, ribadito il principio secondo cui, i n tema di trasferimento del dipendente, ove una disposizione collettiva integri, in senso più garantistico, la disciplinadell’articolo 2103 c.c. avente riguardo soltanto alle ragioni tecniche, organizzative e produttive , attribuendo rilievo anche alle esigenze familiari del lavoratore, resta comunque escluso, in mancanza di espressa previsione in tal senso da parte della disciplina collettiva, che l’obbligo di valutare tali esigenze familiari comporti una comparazione fra le situazioni dei possibili destinatari del provvedimento di trasferimento. Una soluzione diversa, infatti, si porrebbe in contrasto con il potere organizzativo del datore di lavoro, che comprende anche la possibilità di una scelta discrezionale fra più soluzioni ugualmente ragionevoli. Il datore di lavoro, pertanto, è obbligato ad una scelta diversa solamente nel caso in cui le esigenze personali o familiari del lavoratore trasferito o da trasferire siano particolarmente rilevanti ai fini del rispetto dei precetti di buona fede e correttezza cfr. Cass. numero 16801/2002 . Il lavoratore assegnato a mansioni inferiori deve provare il danno da demansionamento . In tema di demansionamento e dequalificazione, valgono gli stessi principi enunciati dalla Suprema Corte in ordine al danno esistenziale da illegittimo trasferimento. Ed infatti, il diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente deriva dall’assegnazione a mansioni inferiori, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. Inoltre, mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo, peraltro, precipuo rilievo la prova per presunzioni. Ed infatti, solo dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto si può riconoscere, attraverso un prudente apprezzamento, l’esistenza del danno in parola Cass. numero 29832/2008 . Ne discende che il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, deve fornire la prova dell’esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l’inadempimento detta prova costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa Cass. numero 19785/2010 .
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 30 gennaio - 14 maggio 2013, numero 11527 Presidente Lamorgese – Relatore Stile Svolgimento del processo P.A S., premesso di essere ricorso al Tribunale di Tempio per vedere riconosciute le numerose pretese che vantava nei confronti della ditta Autotrasporti G M. , datrice di lavoro, impugnava dinanzi alla Corte d'appello di Cagliari le due sentenze - non definitiva e definitiva - che avevano definito il giudizio, dandogli ragione solo parzialmente. Lamentava, in particolare, che il Tribunale aveva omesso in entrambe le pronunce di decidere sulla domanda di rimborso delle spese di pernottamento sostenute a . che, pur avendo dichiarato l'illegittimità del trasferimento dalla sede sarda alla unità locale nei pressi di ., aveva escluso la risarcibilità del danno sofferto ritenendolo non provato che la sentenza non definitiva aveva errato nell'escludere un danno da demansionamento che la sentenza definitiva aveva errato nella parte in cui aveva escluso il diritto a differenza retributive e allo straordinario, erroneamente valutando le risultanze istruttorie. La convenuta ditta Autotrasporti contestava il gravame. Con sentenza del 26/11-12/12/2008 l'adita Corte d'appello accoglieva parzialmente il gravame, condannando la ditta Autotrasporti G M. ad erogare allo S. la somma di Euro 5.079,87 oltre interessi e rivalutazione, confermando nel resto l'impugnata pronuncia. Per la cassazione di tale decisione ricorre S.P.A. con dieci motivi, depositando anche memoria ex articolo 378 c.p.c Resiste la ditta Autotrasporti G M. con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso P.A S. denuncia omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza per aver ritenuto non provato il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla illegittimità del trasferimento alla unità locale di omissis , nonché violazione degli articolo 2727, 2728 e 2729 c.comma e per averne escluso la prova in via presuntiva. In particolare, la sentenza sarebbe contraddittoria laddove aveva riconosciuto la illegittimità del trasferimento ed il danno patrimoniale e condannato M. a rimborsare le spese documentate ma non anche il danno esistenziale, patito dal ricorrente con riguardo alla vita familiare ed a quella di relazione. La censura è infondata. Invero, la Corte d'Appello, mostrando di condividere l'assunto del primo Giudice, ha osservato che il danno esistenziale deve essere provato da colui che lamenti di averlo subito, aggiungendo che la liquidazione equitativa presuppone un danno risarcibile, attenendo solo alla sua quantificazione e che gli ordinari principi del codice di rito impongono che colui che avanza una pretesa provi il fondamento del suo diritto. Pertanto - prosegue la Corte territoriale -, se è vero che il danno esistenziale consiste nell'obiettivo peggioramento delle condizioni di vita, conseguenza di un fatto che ha inciso su beni costituzionalmente protetti, e se è altrettanto vero che, nella specie, ci si trova dinanzi ad un fatto ingiusto del datore di lavoro che può avere inciso su diritti costituzionalmente rilevanti, collegati famiglia, alla vita di relazione ecc, è altresì vero che non è in re ipsa detto peggioramento. Coerentemente con tale impostazione, la Corte di merito ha rilevato che lo S. , avrebbe dovuto almeno allegare quali conseguenze sul piano degli affetti e della vita di relazione avesse comportato il trasferimento e il fare rientro nella abitazone circa, una volta al mese, ciò ai fini della concreta utilizzazione delle presunzioni dalle quali partire, perché se ne potesse rilevare il carattere di concordanza, univocità ecc, essenziale per ritenere raggiunta una prova sufficiente ad affermare la verificazione di un danno. Nel caso in esame, non solo nulla era stato detto, ma risultava che già prima del trasferimento lo S. viaggiava e di fatto stava tutta la settimana fuori, così che di fatto non coltivava né relazioni né rapporti particolarmente stretti e continuativi con la sua famiglia, di talché, in realtà, nessuna modifica, in senso peggiorativo della sua qualità di vita poteva perfino ipotizzarsi. Così argomentando la Corte territoriale ha mostrato di adeguarsi ai principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in materia, secondo cui il pregiudizio non si pone come conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo del datore di lavoro, per cui non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare la illegittimità della condotta datoriale ma anche di fornire la prova ex articolo 2697 c.c., anche con presunzioni, del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con detta condotta ex plurimis, Cass. numero 19785/2010 Cass. numero 25575/2011 Cass. numero 29832/2008 . Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte d'appello correttamente valutato la gravità del comportamento datoriale, che avrebbe dovuto trasferire altro lavoratore successivamente assunto invece di esso , come richiesto di provare. Il motivo è infondato, alla luce dell'orientamento di questa Corte, secondo cui in tema di trasferimento del dipendente, le disposizioni collettive possono integrare la disciplina dell'articolo 2103 cod. civ. avente riguardo soltanto alle ragioni tecniche, organizzative e produttive attribuendo rilievo anche alle esigenze di ordine personale e familiare del lavoratore, ma resta comunque escluso, in mancanza di espressa previsione in tal senso, da parte della predetta disciplina collettiva, che l'obbligo di valutare tali esigenze comporti procedure concorsuali o comparazioni fra le situazioni dei possibili destinatali del provvedimento di trasferimento, in quanto il datore di lavoro è obbligato a una scelta diversa solamente nel caso in cui le esigenze personali o familiari del lavoratore trasferito o da trasferire siano particolarmente rilevanti ai fini del rispetto dei precetti di buona fede e correttezza cfr. Cass. numero 16801/2002 . Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza per aver ritenuto non provato il diritto al risarcimento del danno per l'illegittimo demansionamento e la dequalificazione sofferta presso l'unità di San Bonifacio e per averne, in violazione degli articolo 2727, 2728 e 2729 c.c., escluso la prova in via presuntiva del predetto danno non patrimoniale. Più in dettaglio, il ricorrente si duole del mancato riconoscimento del danno cagionatogli dall'illegittimo demansionamento, poiché il suo inquadramento gli avrebbe consentito di condurre mezzi di portata di molto superiori rispetto a quello da ultimo affidatogli, successivamente al trasferimento e per i sette mesi durante i quali questo era durato. Il motivo è infondato. La Corte d'appello ha correttamente affrontato la questione osservando come il Tribunale avesse ritenuto da un lato provato che da mansioni di 3 livello super fossero state affidate, ad un certo punto e per la limitata durata del trasferimento, mansioni di livello 3 ha poi statuito che, incombendo su parte datoriale la prova dell'esatto adempimento e non avendo questa dimostrato una valida ragione per avere affidato allo S. mezzi che potevano essere condotti con un inferiore inquadramento, la prova della dequalificazione professionale doveva ritenersi raggiunta, aggiungendo, tuttavia, che anche qui vale va il medesimo principio già utilizzato per il danno esistenziale da trasferimento . A maggior chiarimento del suo convincimento ha affermato che Inadempimento datoriale era stato già sanzionato con l'obbligo di corrispondere la medesima retribuzione prevista per il superiore inquadramento, mentre non poteva ritenersi connaturata alla violazione un danno risarcibile sicché in mancanza di apposita dimostrazione nulla poteva riconoscersi al lavoratore. Così argomentando, la Corte territoriale si è uniformata ai principi affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale, in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale da intendere come ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno Cass. numero 29832/2008 . Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articolo 1223, 1226 c.comma e 432 c.p.c., da parte della sentenza impugnata per avere escluso anche la liquidazione in via equitativa del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all'illegittimo trasferimento ed all'illegittimo demansionamento. La censura è infondata se sol si considera che la normativa richiamata trova applicazione nel caso in cui il danno sia dimostrato nel suo verificarsi ma non possa essere provato nel suo preciso ammontare. Nella specie, la Corte d'appello, come appena osservato, ha escluso il diritto dello S. al risarcimento del danno perché non lo ha ritenuto provato. Ne discende che non poteva liquidare in via equitativa un danno del quale non vi era prova. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione delle norme in tema di onere della prova e di confessione sia giudiziale provocata mediante interrogatorio formale che spontanea articolo 2697, 2730, 2734 c.c., 228 e 229 c.p.c. , da parte della impugnata sentenza, per avere ritenuto non provato il diritto del ricorrente alle differenze i retributive per le ore lavorate a titolo di straordinario nonostante la confessione sul punto del datore di lavoro. Con il sesto si denuncia omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuto non provato il diritto del ricorrente alle differenze retributive per le ore lavorate a titolo di straordinario. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 116 c.p.comma e dell'articolo 11 del CCNL spedizione e trasporto merci per non avere la Corte territoriale, sempre in relazione allo straordinario, considerato le risultanze del foglio di registrazione del disco cronotachigrafo e/o degli altri documenti di viaggio e per non avere tratto argomenti di ulteriore prova dall'ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di produrre i restanti dischi cronotachigrafici in suo possesso ed oggetto dell'ordine di esibizione impartitogli. Con l'ottavo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 214, 215 e 216 c.p.c., per non avere ritenuto che il docomma 6 di controparte - ad oggetto dichiarazione S. in ordine al pagamento forfetario trasferta/straordinario - era stato disconosciuto in sede di prima udienza del giudizio di primo grado, e che in merito allo stesso controparte non aveva avanzato alcuna istanza di verificazione ex articolo 216 c.p.comma e, comunque sulla omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza nella parte in cui respinge definitivamente la domanda retributiva del ricorrente sulla base delle risultanze del documento avversario . Con il nono motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articolo 1418 e 1335 c.comma e/o del'articolo 1418 1 comma c.comma e/o del combinato disposto degli articolo 1418 il comma e 1346 c.comma e/o sulla omessa motivazione della sentenza impugnata circa una questione decisiva e controversa, per non avere la Corte d'appello ritenuta la nullità e/o l'invalidità e/o la inefficacia degli accordi di forfetizzazione delle indennità di trasferta e degli straordinari né minimamente motivato sul punto. Con il decimo motivo, infine, il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 11 - 9 e 10 comma CCNL spedizione e trasporto merci, e/o sulla omessa motivazione della sentenza impugnata circa una questione decisiva e controversa, per non avere la Corte d'appello ritenuto l'assoluta inefficacia delle dichiarazioni di compenso a forfait delle indennità di trasferta e degli straordinari, né minimamente motivato sul punto. Le censure, da trattarsi congiuntamente, riguardando pretese retributive, con particolare riferimento allo straordinario” non possono trovare accoglimento, avendo la Corte territoriale dato conto delle sue determinazioni riguardanti le censure formulate dallo S. e reiterate in questa sede. Invero, la Corte di merito, dopo avere osservato che lo S. , su cui incombeva l'onere della prova ex articolo 2697 c.c., riteneva di avere dimostrato il suo diritto, con la produzione dei cronotachigrafi, dei rapportini personali e tramite le testimonianze, è passata ad esaminare il valore probatorio da attribuire a detti elementi. Anzitutto - ha rilevato il Giudice d'appello - quanto ai dischi cronotachigrafi, che peraltro erano stati prodotti in copia, occorreva evidenziare - in replica all'assunto del lavoratore -, che nessun onere parte appellata aveva di produrre gli originali e nessuna conseguenza di tipo processuale gli poteva perciò essere addebitata, essendo sufficiente il diconoscimento, nella specie effettuato, della conformità agli originali, per svilirne la valenza. Peraltro - ha soggiunto la Corte -, gli indicati dischetti, non essendo lo specchio esatto della quantità del lavoro prestato, poiché riproducono meccanicamente i momenti di accensione e spegnimento del mezzo sul quale montano , rimessi alla volontà dell'autista, che ben può lasciare acceso il mezzo andare a giocare a carte o dormirvi dentro , non sono sufficienti, da soli - senza, cioè, che le loro risultanze siano corroborate da elementi diversi e concordanti - a fornire la prova della quantità di prestazione, ancor meno se prodotti in copia e se la controparte li abbia formalmente disconosciuti. Così argomentando, la Corte territoriale si è posta in linea con l'orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di accertamento del lavoro prestato da un autotrasportatore, e quindi dello straordinario eventualmente svolto da tale dipendente, i dischi cronotachigrafi, in originale od in copia fotostatica, ove da controparte ne sia disconosciuta la conformità ai fatti in essi registrati e rappresentati, non possono da soli fornire piena prova, stante la preclusione sancita dall'articolo 2712 cod. civ., né dell'effettuazione del lavoro, e dell'eventuale straordinario, né dell'effettiva entità degli stessi, occorrendo a tal fine che la presunzione semplice costituita dalla contestata registrazione o rappresentazione anzidetta sia supportata da ulteriori elementi, pur se anch'essi di carattere indiziario o presuntivo, offerti dall'interessato o acquisiti dal giudice del lavoro nell’esercizio dei propri poteri istruttori. Tale giudice, accertata, alla stregua degli elementi suindicati, l'effettuazione della prestazione lavorativa ordinaria o straordinaria , può invece desumere dalle memorizzazioni emergenti dai dispositivi anzidetti le specifiche entità delle prestazioni lavorative, anche a titolo di straordinario, eventualmente ricorrendo, per la determinazione del relativo corrispettivo, ad eventuali accertamenti tecnici e salva, in ipotesi di perdurante incertezza al riguardo, la possibilità di procedere in via equitativa ai sensi dell'articolo 432 cod. procomma civ. Cass. numero 16098/2001 . Né - prosegue la Corte territoriale - elementi a sostegno della validità delle risultanze dei dischi cronotachigrafi potevano essere utilizzati i rapportini giornalieri, trattandosi di documenti a loro volta compilati dalla parte che intende avvalersene, e quindi inidonei a costituire prova in suo favore e se era vero che il datore di lavoro non li aveva mai contestati, era altrettanto vero che non ne aveva mai tenuto conto alcuno, come affermato da entrambe le parti. Né ausilio di alcun tipo veniva dalle prove testimoniali assunte, posto che nessun teste aveva saputo riferire gli orari di lavoro dello S. , sicché non poteva ritenersi raggiunta prova alcuna della effettuazione dello straordinario, e tale nemmeno con l'ausilio dei conteggi, inutilizzabili, in quanto elaborati sulla base delle dichiarazioni dello stesso S. . Neppure era esatto quanto sostenuto dal lavoratore, secondo cui non occorreva attardarsi sulla prova fornita poiché parte datoriale aveva riconosciuto lo straordinario nella misura da lui indicata, considerato che sin dalla memoria di costituzione la ditta aveva contestato gli orari di lavoro denunciati dall'appellante, ed anzi aveva affermato che non li conosceva e che avendo convenuto un pagamento forfettario di trasferta e straordinario se ne era sempre disinteressata. Pertanto, anche se risultava ammesso, per quanto non di diretta conoscenza, che S. aveva effettuato dello straordinario, era stato anche affermato l'effettuazione di adeguato pagamento. Osserva la Corte che l’iter argomentativo del Giudice a quo risulta immune dalle censure formulate, assorbendo, peraltro, ogni ulteriore doglianza. Devesi, in proposito, rammentare, costituendo specifico motivo di gravame, unitamente a quello ricondotto al vizio di violazione di legge, che la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 360, numero 5 c.p.c. non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, le argomentazioni - svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento - con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere - secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte v., per tutte, Cass. S.U. numero 13045/97 - dall'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti. In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto - consentito al giudice di legittimità dall'articolo 360 numero 5 c.p.c. - non equivale alla revisione del ragionamento decisorio , ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Per quanto procede il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.