Il giudice deve solo dare conto, in maniera ragionevole, dei profili pregiudizievoli apprezzati e di tutte le circostanze che hanno condotto alla conclusiva determinazione equitativa dell’indennizzo.
Con la sentenza numero 4308, depositata il 29 gennaio 2013, la Corte di Cassazione ha deciso il ricorso di due condannati per furto. Il furto. Rubano 600 euro e monili in una casa, danneggiando pure la parete dove c’era la cassaforte. Condannati a 3 anni e 4 mesi di reclusione e al pagamento di una multa di 500 euro. In più 3 mila euro di risarcimento alla persona offesa. Dopo la sentenza della Corte d’Appello, che conferma quella del Tribunale, ricorrono per cassazione. Anche il PM aveva impugnato. La S.C. rigetta il ricorso. La corte territoriale ha sì eliminato l’applicazione dell’aggravante di aver indosso armi o narcotici durante il furto, ma correttamente ha mantenuto la pena immutata, perché le residue circostanze aggravanti imponevano l’applicazione di una pena non inferiore ai tre anni. Peraltro, la pena, dietro congrua motivazione sarebbe anche potuta essere aumentata, vista l’impugnazione del PM. Il danno morale risarcibile. I ricorrenti, con un altro motivo, si lamentano della quantificazione del danno risarcibile. La Cassazione sottolinea che è stato tenuto conto sia del danno materiale – danneggiamento infissi, cassaforte e parete – sia del «patema d’animo» derivante dall’intrusione. Quest’ultimo deve essere liquidato con criterio equitativo, «tenuto conto delle varie componenti apprezzate nel determinare il pregiudizio subito». Quindi il giudice non è tenuto a dare un’analitica motivazione. Deve solo dare conto «dei profili pregiudizievoli apprezzati e di tutte le circostanze che hanno condotto alla conclusiva determinazione equitativa dell’indennizzo». Non è applicabile l’attenuante del danno patrimoniale di lieve entità, perché la vittima ha subito un danno di uno certo spessore. Nemmeno applicabili sono le attenuanti generiche gli imputati hanno numerosi precedenti penali.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza17 ottobre 2012 – 29 gennaio 2013, numero 4308 Presidente Teresi – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Ricorrono A.S. e Z.S. avverso la sentenza della Corte d'appello di Palermo dell'1-7-2011 che, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Trapani, li condanna alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 500 di multa per il reato di furto in abitazione, aggravato ai sensi dell'articolo 625, nnumero 2,3 e 5 cod. penumero , nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile. 2. Il difensore degli imputati lamenta a violazione di legge, in quanto il giudice d'appello, su impugnazione degli imputati, ha escluso l'aggravante di cui all'articolo 625, numero 3, cod. penumero , senza operare alcuna corrispondente riduzione di pena b violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla quantificazione del danno subito dalla persona offesa, determinato in Euro 3.000 nonostante l'unico danno imputabile agli imputati sia costituito dal danneggiamento della parete in cui era custodita la cassaforte c violazione di legge sostanziale e processuale in relazione al trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo rispetto alla gravità del reato, anche per effetto dell'immotivato diniego delle circostanze attenuanti generiche e dell'attenuante di cui all'articolo 62, numero 4, cod. penumero , di cui, ritiene il ricorrente, gli imputati erano meritevoli in considerazione dell'ottimo comportamento processuale e della modestia del danno arrecato d violazione di legge per l'erronea applicazione della recidiva infraquinquennale, insussistente nella specie. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. L'articolo 625, ultimo comma, del cod. penumero prevede la pena da tre a dieci anni di reclusione e la multa da Euro 206 a Euro 1549 ove concorrano due o più circostanze aggravanti previste nei sette numeri del comma precedente. Nel caso di specie il giudice di primo grado aveva applicato la pena minima prevista dall'ari . 625, ultimo comma, cit., pur ritenendo che concorressero tre circostanze aggravanti. È d'uopo concludere che, pur eliminando un'aggravante, la pena non poteva essere diminuita dal giudice d'appello, in quanto le residue aggravanti comportano comunque una pena non inferiore a tre anni. In ogni caso, la conclusione cui è pervenuto il giudicante non può essere censurata sotto il profilo sollevato dal ricorrente la violazione di legge , in quanto la sentenza di primo grado era stata impugnata anche dal Pubblico Ministero, per cui la pena non solo poteva essere confermata dal giudice d'appello, ma poteva anche, con congrua motivazione, essere aumentata. 2. Per quanto concerne l'ammontare del danno risarcibile, il giudicante ha tenuto conto sia del danno materiale provocato dall'azione delittuosa danneggiamento degli infissi, della cassaforte e della parete in cui questa era allocata , sia del patema d'animo conseguente all'illecita introduzione e permanenza nell'abitazione. Non corrisponde alla realtà, quindi, che sia stata attribuita una somma per il solo danno morale. In ogni caso, per quanto concerne quest'ultimo, esso deve pur sempre essere liquidato con criterio equitativo, tenuto conto delle varie componenti apprezzate nel determinare il pregiudizio subito dall'istante, sicché il giudice non è tenuto ad una analitica motivazione, essendo sufficiente che egli dia conto dei profili pregiudizievoli apprezzati e di tutte le circostanze che hanno condotto alla conclusiva determinazione equitativa dell'indennizzo, e dovendo tale sua conclusiva determinazione al riguardo essere valutata solo sotto il profilo della intrinseca ragionevolezza del risultato cui è pervenuto, come nella specie è adeguatamente e congruamente riscontrabile. 3. Manifestamente infondata è la doglianza relativa all'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, sia per la sua assoluta genericità, sia per l'entità del danno subito dalla vittima. Sotto questo secondo profilo decisivi appaiono gli argomenti sviluppati dal giudice d'appello, che ha tenuto conto del danneggiamento degli infissi, della cassaforte, della parete, della sottrazione di Euro 600 e di monili di rilevante valore, che portano lontano dal danno lievissimo che, per costante giurisprudenza, connata l'attenuante in parola. 4. Inammissibile è la censura attinente il diniego delle attenuanti generiche, correttamente motivato col riferimento ai precedenti penali e ai numerosi alias, che connotano negativamente la personalità degli imputati. Trattasi di accertamento di fatto che, per essere sorretto da congrua motivazione, è incensurabile in sede di legittimità. Inammissibile è quella attinente l'entità della pena, già applicata nel minimo edittale. 4. Infondata è anche la censura relativa all'applicazione della recidiva, in quanto trattasi di soggetti che hanno fornito, in altre occasioni, false generalità, e che hanno subito precedenti condanne, seppur sotto altro nome. Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali.