Nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima.
E’ questo il principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 3811 per risolvere una vicenda legata ad un “litigio” tra due contendenti. In effetti, ciò che gli Ermellini mettono in evidenza nel reato di minaccia è la sufficienza della sola attitudine della condotta ad intimorire la vittima, essendo irrilevante l’indeterminatezza del male minacciato purché sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente. L’intimidazione? Viene confermato pertanto l’orientamento della Cassazione che riconosce il reato di minaccia nella intimidazione diretta a piegare la vittima alle intenzioni del reo come nel caso “classico” del celebre “Lei non sa chi sono io”. Nella vicenda specifica i due imputati un ultraottantenne e il più giovane sessantenne erano stati assolti dal giudice di pace dal reato di cui all’articolo 612 c.p. – ascritto all’anziano signore – e dai reati di cui agli articolo 594, capo a e 582 capo b c.p. – ascritti al più giovane litigante – perché il fatto non costituiva reato e perché il fatto non sussisteva. Non è necessaria per la configurazione del delitto di minaccia. Contro la decisione propone appello il procuratore generale presso la Corte di Appello territoriale eccependo erronea applicazione della legge e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nonché un difetto di competenza. In particolare, la parte motiva contestata si riferisce alla valutazione prospettata dal giudice di pace che fondava l’assoluzione dell’ottuagenario sulla circostanza che l’altro imputato, raggiunto da una sua minaccia, invece di spaventarsi e rifugiarsi nella sua proprietà, aveva reagito, dirigendosi verso l’anziano ed affrontandolo. Il procuratore, al contrario, evidenzia che per la consumazione del delitto di minaccia non è necessario che si verifichi effettivamente uno stato di intimidazione del destinatario della minaccia stessa. Il reato è consumato. Come detto, la Cassazione ritiene fondata la doglianza relativa all’assoluzione dell’anziano evidenziando l’errore di diritto in cui è incorso il giudice di pace che ha ritenuto rilevante la circostanza del mancato insorgere dello stato di intimidazione per escludere la configurazione del reato contestato. Da qui l’annullamento della sentenza in ordine all’assoluzione dell’anziano con rinvio al giudice di pace per un nuovo esame nel corso del quale dovrà attenersi ai principi di diritto enunciati dalla Corte, colmando i vizi motivazionali indicati.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 ottobre 2012 – 24 gennaio 2013, numero 3811 Presidente Teresi – Relatore Guardiano Ritenuto in fatto Con sentenza del 27.5.2011 il giudice di pace di Udine assolveva M.A. dal reato di cui all'articolo 612, c.p. commesso in danno di B.P. , perché il fatto non costituisce reato, e B.P. dai reati di cui agli articolo 594 capo a e 582 capo b , c.p., commessi in danno del M.A. , rispettivamente, perché il fatto non sussiste e perché il fatto non costituisce reato. Avverso tale decisione, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso il procuratore generale presso la corte di Appello di Trieste, eccependo 1 l'erronea applicazione della legge penale e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui fonda l'assoluzione del M. sulla circostanza che il B. , raggiunto da una minaccia proveniente dal suddetto M. , invece di spaventarsi e rifugiarsi nella sua proprietà, abbia reagito, dirigendosi verso di lui ed affrontandolo, in quanto per la consumazione del delitto di minaccia non è necessario che s' verifichi effettivamente uno stato di intimidazione del destinatario della minaccia stessa 2 l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha mandato assolto il B. dal reato di cui all'articolo 594, c.p., senza soffermarsi sulla rilevanza o meno, ai fini della integrazione della fattispecie delittuosa in parola, della derisione posta in essere da quest'ultimo in danno del M. 3 l'incompetenza per materia del giudice di pace in relazione al delitto di lesioni volontarie di cui al capo b , contestato al B. , trattandosi di reato aggravato dall'uso di un'arma, ai sensi dell'articolo 585, c.p Considerato in diritto Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei limiti che seguono. Iniziando dall'ultima censura prospettata, va effettivamente rilevato che nel caso in esame, come si evince dalla lettura del relativo capo d'imputazione, il reato di cui all'articolo 582, c.p., contestato al B. , risulta aggravato ai sensi dell'art, 585, c.p., in quanto le lesioni arrecate da quest'ultimo al M. , sono state prodotte colpendolo con l'ausilio di un manico di scopa, da considerarsi arma , ai sensi del citato articolo 585, co. 2, numero 2 , c.p Ed invero sono da ritenere armi, sia pure improprie, ex articolo 4 l. numero 110 del 1975, gli strumenti, ancorché non da punta o da taglio, che, in particolari circostanze di tempo e di luogo, possono essere usati per l'offesa alla persona. Ne consegue che anche un bastone al quale è senza dubbio equiparabile un manico di scope , se usato in un contesto aggressivo, come nel caso in esame, diventa uno strumento atto ad offende - e costituisce, pertanto, arma ai fini dell'applicazione dell'aggravante prevista dall'articolo 585 comma 2 c.p. cfr. Cass., sez. V, 05/10/2000, numero 11872, Pirello . Trattandosi, dunque, di un'ipotesi di lesione personale perseguibile d'ufficio, ai sensi dell'articolo 582, co. 2, c,p., la competenza per materia non appartiene al giudice di pace, ma, ai sensi del combinato disposto degli articolo 4, co. 1, lett. a , d. Ivo. 28 agosto 2000, numero 274, 4 e 6, c.p.p., al tribunale. La sentenza impugnata deve, pertanto, sul punto essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al tribunale di Pordenone, competente per il giudizio. Fondata appare anche la doglianza relativa all'assoluzione del M. dal reato di cui all'articolo 612, c.p Nel caso in esame il giudice di pace ha fondato la sua pronuncia assolutoria su due considerazioni la difformità tra quanto dichiarato dal B. , nel corso dell'istruttoria dibattimentale svoltasi innanzi al giudice di paca, circa il contenuto della minaccia ricevuta del M. adesso ti buco la pancia e quanto dallo stesse indicato al riguardo in querela ti uccido . il mancato insorgere di uno stato di intimidazione nel B. in conseguenza della frase rivoltagli dall'imputato, reso evidente dalla circostanza che la persona offesa lungi dallo spaventarsi, rifugiandosi nella sua proprietà, aveva reagito, dirigendosi verso il B. , per affrontarlo grazie alla prestanza fisica di cui era avvantaggiato, anche in considerazione dell'avanzata età di quest'ultimo cfr. p. 3 della sentenza impugnata . Evidente l’errore di diritto in cui è incorso il giudice di merito. Come è noto, infatti, nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l'indeterminatezza del male minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 23/01/2012, numero 11621, G.A. Cass., sez. V, 19/09/2011, numero 46542, M.M. . Peraltro lacunosa e manifestamente illogica appare anche l'affermazione in ordine alla completa diversità delle espressioni adesso ti buco la pancia e ti uccido , su cui pure si sofferma il giudice di pace cfr. p 3 della sentenza impugnata , che, sotto il profilo della prospettazione di un male ingiusto che può essere cagionato dall'autore alla vittima, quindi ai fini della configurabilità del delitto di minaccia, non possono considerarsi completamente diverse , a meno che il giudice di pace con tale rilievo non abbia inteso esprimersi negativamente, senza, tuttavia, esplicitare siffatto giudizio, sulla attendibilità àoM dichiarazioni della persona offesa. Alla luce delle svolte considerazioni, dunque, l'impugnata sentenza va annullata in ordine all'assoluzione del M. dal reato di cui all'articolo 612, c.p., con rinvio al giudice di pace di Udine per nuovo esame, nei corso del quale egli dovrà attenersi ai principi di diritto innanzi indicati, risolvendo e colmando i vizi motivazionali in precedenza indicati. Inammissibile infine, è l'ultimo motivo di ricorso, in quanto attinente a questioni di fatto ed, al tempo stesso, assolutamente generico, in quanto il giudice di pace ha fondato il suo convincimento sulla impossibilità di ricavare, dalla lettura della querela e dal capo d'imputazione, quale fosse il contenuto delle frasi ridite dal B. al M. , ritenute dalla pubblica accusa ingiuriose e derisorie né il pubblico ministero indica nel suo ricorse in che cosa sarebbero consistite le frasi dal contenuto derisorio che il giudice di primo grado avrebbe omesso di considerare ai fini di valutarne la portata offensiva dell'onore e del decoro della persona offesa. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di lesioni aggravate e dispone trasmettersi gli atti al tribunale di Pordenone per il giudizio. Annulla la stessa sentenza limitatamente al reato di cui all'articolo 612, c.p., ascritto al M.A. con rinvio al giudice di pace di Pordenone per nuovo esame. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del p.g