Il liquidatore offende il supervisore? Il licenziamento in tronco è eccessivo

In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro, tenendo conto delle concrete modalità del comportamento del lavoratore e del contesto di riferimento.

Lo ha confermato, con la sentenza numero 892, depositata il 16 gennaio 2013, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro. Per valutare la legittimità del licenziamento non si può prescindere dal contesto. La pronuncia in commento trae origine da una vicenda che ha visto fronteggiarsi il liquidatore di una compagnia assicurativa ed il proprio supervisore, in un clima di crescente conflittualità, venutosi a creare in ragione della loro incompatibilità caratteriale e dell’estrema tensione dei rapporti il primo ha accusato i problemi legati alla diversa organizzazione produttiva impressa dal supervisore, che si sarebbe tradotta in una sorta di dequalificazione ed in una presunta discriminazione rispetto agli altri colleghi il secondo ha instaurato prassi diverse nell’organizzazione del lavoro ed ha proceduto ad una diversa ridistribuzione dei compiti. La situazione è precipitata quando la pratica relativa al sinistro in cui era rimasta coinvolta la moglie del liquidatore, anziché essere trattata in quella sede di lavoro, è stata trasmessa alla direzione generale della compagnia, senza che lo stesso liquidatore ne venisse informato fatto questo che è stato interpretato dal liquidatore come una vera e propria provocazione ed un’offesa mirata a colpire la sua persona. La reazione del liquidatore non si è fatta attendere irruzione, con toni minacciosi ed epiteti offensivi, ed invito a regolare i conti all’esterno dell’ufficio. Le offese al superiore giustificano la sospensione dal lavoro, ma non sempre legittimano il licenziamento . Inquadrata in tale contesto la vicenda, il giudice di merito ha correttamente ritenuto legittima la sanzione conservativa sospensione dal lavoro inflitta al liquidatore per le offese rivolte al supervisore, ma non già la sanzione espulsiva licenziamento per giusta causa , considerata eccessiva. Nella fattispecie, la Corte d’appello, nel valutare la proporzionalità fra fatto addebitato e recesso in tronco, ha preso in considerazione alcune circostanze che sono state ritenute idonee ad alleggerire la posizione del liquidatore la mancata comunicazione dell’avvenuta trasmissione della pratica alla direzione generale, in violazione dei principi di lealtà e trasparenza l’assenza di aggressioni fisiche l’essersi l’episodio concluso con le scuse del liquidatore, immediatamente accettate dal supervisore. L’inadempimento del lavoratore deve essere di «non scarsa importanza», da valutarsi in concreto . A sostegno della propria decisione, la Cassazione ha richiamato il consolidato principio secondo cui, in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro, impedendo la continuazione del rapporto. Tale giudizio deve tener conto delle concrete modalità del comportamento del lavoratore e del contesto di riferimento solo a queste condizioni, il giudice di merito può valutare se la condotta del dipendente sia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti cfr., ex plurimis, Cass. numero 14586/2009, numero 17514/2010, e numero 2013/2012 . Ed infatti – continua la Suprema Corte – la gravità dell’inadempimento deve essere valutata nel rispetto della regola generale della «non scarsa importanza» di cui all’articolo 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima sanzione risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, tenendo conto, non solo della realtà aziendale e dell’attività svolta, ma anche dell’intensità dell’elemento intenzionale, del grado di affidamento richiesto dalle mansioni, delle precedenti modalità di attuazione del rapporto, della durata, della natura e della tipologia del rapporto stesso. La domanda di «riassunzione» si identifica con quella di «reintegrazione» ex articolo 18 St. lav Un’altra questione affrontata dalla sentenza in commento è quella relativa all’equivalenza dei termini riassunzione e reintegrazione ai fini dell’applicabilità dell’articolo 18 St. lav. Secondo la Cassazione, non è censurabile in sede di legittimità l’interpretazione che identifica la domanda di riassunzione, accompagnata alla domanda di risarcimento dei danni fino alla riassunzione, con la richiesta di applicazione dell’articolo 18 St. lav., così escludendo l’applicabilità della tutela obbligatoria di cui alla legge numero 604/1966. La Suprema Corte giunge a questa conclusione, non solo perché i due termini sono sostanzialmente sinonimi, ma anche perché la domanda giudiziale deve essere interpretata sia nella sua formulazione letterale, sia nel suo sostanziale contenuto, tenendo conto delle finalità perseguite dalla parte.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 novembre 2012 - 16 gennaio 2013, numero 892 Presidente/Relatore Venuti Svolgimento del processo Con sentenza del 20 dicembre 2006 il Tribunale di Lecce, riuniti i due giudizi promossi da G D. , liquidatore sinistri di Allianz S.p.A., a seguito delle distinte sanzioni disciplinari comminategli - la prima conservativa, la seconda espulsiva -, dichiarava illegittimo il licenziamento, condannando la società al pagamento delle retribuzioni dalla data del recesso sino a quella della sentenza, con gli accessori di legge rigettava la domanda volta alla declaratoria di illegittimità dell'altra sanzione sospensione dal lavoro per due giorni nonché quella di risarcimento dei danni asseritamente subiti dal ricorrente in conseguenza di dette sanzioni. Su impugnazione - principale ed incidentale rispettivamente del dipendente e della società - la Corte d'Appello di Lecce, con sentenza del 21 maggio 2008, ordinava alla società di reintegrare il D. nel posto di lavoro e la condannava al pagamento delle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra nonché al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, con gli accessori legge. Confermava nel resto la sentenza di primo grado. La Corte territoriale, per quanto ancora qui rileva, escludeva che il D. fosse stato oggetto di attacchi persecutori, vessatori o di condotte discriminatorie, integranti fatti illeciti. Riteneva che i fatti che avevano dato luogo alla sospensione giustificavano tale sanzione disciplinare che era invece eccessiva la sanzione espulsiva in relazione a quanto emerso dalla compiuta istruttoria che era fondata la domanda di riassunzione del dipendente nel posto di lavoro, posto che dal tenore complessivo di tale domanda si evinceva che essa era chiaramente diretta ad ottenere la tutela prevista dall'articolo 18 St. lav., con le relative conseguenze risarcitone che all'accoglimento della domanda conseguiva anche la condanna della società al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali. Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione. Il lavoratore ne ha chiesto il rigetto, proponendo ricorso incidentale, cui la società ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1. I ricorsi, principale ed incidentale, devono essere riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza articolo 335 c.p.c. . 2. Il ricorso principale è articolato in ventidue motivi, quello incidentale in due. Tutti recano i relativi quesiti di diritto ex articolo 366 bis c.p.c., ora abrogato, anche con riguardo alla dedotta violazione dell'articolo 360, primo comma, numero 5, c.p.c. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio , per la quale, in luogo del quesito, è richiesto che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi omologo del quesito di diritto che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità cfr. Cass. Sez. Unumero 1 ottobre 2007 numero 20603 Cass. 25 febbraio 2009 numero 4556 Cass. 18 novembre 2011 numero 24255 . 3. Con il primo motivo la società, denunziando insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, deduce che per i capi di domanda aventi ad oggetto il provvedimento disciplinare di due giorni di sospensione e la condanna al risarcimento dei danni per le vessazioni subite, il lavoratore, allora appellante, non aveva dedotto specifiche censure, onde il ricorso in appello sul punto avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile. Il motivo non è fondato, avendo la Corte territoriale esaminato entrambe le censure, ritenendole infondate e spiegandone le ragioni, implicitamente ritenendo ammissibili i relativi motivi. 4. Con il secondo motivo la società, denunziando violazione dell'articolo 342 c.p.c., assume che il ricorso in appello era inammissibile per genericità dei motivi di censura, essendo stata richiesta soltanto una nuova valutazione dei fatti di causa richiamando genericamente il contenuto delle risultanze istruttorie di primo grado . 5. Anche tale motivo è infondato, avendo la Corte territoriale già dato risposta a tale eccezione, escludendo che i relativi motivi fossero generici, sul rilievo che l'allora appellante aveva chiesto una nuova valutazione dei fatti alla stregua delle acquisizioni documentali ed istruttorie indicando le ragioni di non condivisione della sentenza enunciate, tra gli altri, ai punti 21, 40, 58, 63, 69, 70, 73, 76, 80 e sottolineando la necessità di attenta ponderazione delle dichiarazioni rese dai testi, ex colleghi di lavoro punto 55 . 6. Con il terzo motivo la società lamenta l'introduzione di domande nuove in appello, l'introduzione di una diversa ricostruzione dei fatti nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Rileva di aver censurato siffatta condotta di controparte, eccependo - nella memoria di costituzione in appello - l'inammissibilità dell'avversario ricorso per violazione del divieto di nuovi motivi, ex articolo 345 c.p.c. . 7. Il motivo è inammissibile con riguardo alle nuove domande , atteso che esse non sono state precisate dalla ricorrente infondato per gli altri aspetti, avendo la Corte d'appello dato risposta all'eccezione, rilevando che i fatti esposti nei punti 26, 28, 30, 31,32, 40, 42, 62, 66 e 73 non innovano o mutano la causa petendi perché tutti già rappresentati negli atti introduttivi del giudizio o comunque desumibili dalla produzione documentale. Su ciascuna circostanza controparte ha preso specifica posizione nelle memorie ex articolo 416 c.p.c., producendo la documentazione utile. L'eccezione è dunque pretestuosa . Talune circostanze, poi, che la società ricorrente assume essere nuove attribuzione al ricorrente di un viaggio premio, produzione di articoli di giornali concernenti inchieste giornalistiche sulla gestione dei sinistri , sono del tutto irrilevanti ai fini della decisione, mentre i documenti indicati ai punti 30, 31 e 32 del ricorso in appello, la cui produzione era secondo il ricorrente inammissibile perché tardiva, sono per ammissione della stessa società anch'essi irrilevanti ai fini del decidere . 8. Con il quarto motivo si deduce ancora l'inammissibilità del ricorso in appello per essere state proposte domande nuove, con l'introduzione di circostanze nuove e diverse. 9. Il motivo è inammissibile. La ricorrente richiama i principi di questa Corte in materia, ma non indica le domande e le circostanze nuove. 10. Con il quinto motivo la società ricorrente denunzia, con riguardo alla ritenuta illegittimità del licenziamento, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Deduce che la sentenza è priva di adeguata motivazione che non sono stati indicati gli elementi di fatto a sostegno della decisione che dall'istruttoria non è emersa alcuna condotta prevaricatrice della società nei confronti del dipendente che la grave condotta tenuta dal D. nei confronti del supervisore C. e del collega D.L. era chiaramente offensiva e minacciosa e non poteva essere giustificata dal fatto che la pratica relativa al sinistro della moglie del D. fosse stata trasmessa alla direzione di della società, trattandosi di direttiva data dalla omissis , senza alcun intento punitivo nei confronti del lavoratore. 11. Con il sesto motivo la ricorrente denunzia ancora insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, sempre in relazione al licenziamento. Deduce che la Corte d'appello, pur riconoscendo che fosse corretta la decisione di trasmettere alla sede di la pratica del sinistro occorso alla moglie del D. , ha poi ritenuto che la condotta del supervisore C. fosse poco trasparente e comunque tale da giustificare la reazione del dipendente. Aggiunge che le iniziative e le reazioni del D. sono state ritenute dalla sentenza impugnata poco corrette e spropositate dalla Corte territoriale, mai poi è stato addebitato al C. di aver scatenato la rabbia del lavoratore, giustificando in qualche modo la sua condotta. 12. Con il settimo motivo si addebita alla sentenza impugnata di aver ritenuto poco trasparente il comportamento del C. , e ciò in contrasto con le risultanze istruttorie. Ribadisce la ricorrente che la decisione di trasferire alla sede di il sinistro relativo alla moglie del D. fu presa su indicazione della direzione di , onde evitare ulteriori motivi di contrasto con il dipendente. 13. Con l'ottavo motivo, nel denunziare ancora insufficienza e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, la ricorrente deduce che il giudice d'appello non ha adeguatamente valutato, nel complesso, gli episodi contestati al lavoratore. È stato infatti analizzato l'episodio della trasmissione del sinistro della moglie del D. alla direzione di , senza approfondire altri episodi, quali le reiterate aggressioni verbali effettuate dal dipendente il giorno in cui avvennero i fatti, le irruzioni del D. nella stanza del collega D.L. , le minacce e le frasi sconvenienti ed offensive profferite. Tutto ciò non avrebbe potuto giustificare la condotta del lavoratore. 14. Con il nono motivo la ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione degli articolo 115 e 166 c.p.c., ribadisce che la condotta tenuta dal D. non poteva che essere sanzionata con il licenziamento, alla stregua della gravità dei fatti da lui commessi, per come emersi dalle dichiarazioni dei testi assunti. 15. I motivi dal quinto al nono, che vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, non sono fondati. È principio consolidato di questa Corte che in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza cfr., fra le altre, Cass. 22 giugno 2009 numero 14586 Cass. 26 luglio 2010 numero 17514 Cass. 13 febbraio 2012 numero 2013 . La gravità dell'inadempimento deve essere valutata nel rispetto della regola generale della non scarsa importanza di cui all'articolo 1455 c.c., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, tale cioè da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro per essersi irrimediabilmente incrinato il rapporto di fiducia, da valutarsi in concreto in considerazione della realtà aziendale e delle mansioni svolte Cass. 10 dicembre 2007 numero 25743 . Inoltre va assegnato rilievo all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo. Il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria Cass. 25 maggio 2012 numero 8293 Cass. 7 aprile 2011 numero 7948 Cass. 15 novembre 2006 numero 24349 È stato ancora precisato da questa Corte che il controllo sulla congruità e sufficienza della motivazione, consentito dall'articolo 360, primo comma, numero 5, c.p.c., non deve risolversi in nuovo giudizio di merito attraverso una autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa, risultando ciò estraneo alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità cfr. Cass. 26 luglio 2010 numero 17514 Cass. 23 febbraio 2009 numero 4369 Cass. 10 dicembre 2007 numero 25743 Cass. 7 giugno 2005 numero 11789 . Nella specie la Corte territoriale ha correttamente valutato le risultanze processuali, senza incorrere nel vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione. Ha dato atto del clima di conflittualità venutosi a creare tra il D. e il supervisore C. , della loro incompatibilità caratteriale e dell'estrema tensione dei rapporti, confermata dal fatto che spesso i due comunicavano per posta elettronica pur trovandosi nello stesso luogo di lavoro. Il primo, dopo l'arrivo del C. nell'ufficio, si trovò ad affrontare problemi legati alla diversa organizzazione produttiva ed alla perdita di piccole gratificazioni che per il loro carattere premiale e simbolico egli considerava riconoscimento tangibile della posizione raggiunta. Non accettò il ruolo del supervisore, lamentando una sorta di dequalificazione, per effetto della riduzione delle pratiche assegnategli, una presunta discriminazione rispetto agli altri colleghi, nonché di essere stato assegnato dapprima in una stanza assieme ad un collega definito come accanito fumatore e poi in altra stanza situata alla fine di un corridoio, pur essendo egli il liquidatore anziano. Il secondo pretese che fosse instaurata una gestione più trasparente nella liquidazione dei sinistri, contestò il criterio di nomina dei medici fiduciari, richiese il rispetto dell'orario di lavoro, adottò prassi diverse nell'organizzazione del lavoro, istituì un diverso riassetto e una diversa ridistribuzione dei compiti. La situazione precipitò quando una pratica relativa ad un sinistro in cui era rimasta coinvolta la moglie del D. , anziché essere trattata in quella sede di lavoro, fu trasmessa alla direzione generale di , senza che lo stesso D. ne venisse informato, fatto questo che fu interpretato dal ricorrente come una vera e propria provocazione ed una offesa mirata a colpire la sua persona. Inquadrata in tale contesto la vicenda per cui è controversia, la Corte territoriale ha ritenuto legittima la sanzione conservativa due giorni di sospensione inflitta al D. per le offese pronunciate nei confronti del supervisore nell'aprile 2003. Ha viceversa escluso che la condotta posta in essere dal dipendente nel luglio 2003, oggetto dei motivi in esame irruzione, con toni minacciosi ed epiteti offensivi, per tre volte nello stesso giorno, nella stanza del collega D.L. , accusato di avere offeso la sua onorabilità trasmettendo personalmente la pratica della moglie alla direzione di ed invito a regolare i conti all'esterno dell'ufficio ingresso, sempre stesso giorno, alle ore 16,45 nella stanza del C. , con i pugni serrati, anche qui con minacce, frasi sconvenienti e scurrili , potesse giustificare la sanzione espulsiva. Ha affermato la Corte di merito che il D. , con tali condotte, aveva sostanzialmente voluto esternare, sia pure con toni aggressivi e volgari, il profondo disappunto nei confronti del collega e del superiore per la vicenda della trasmissione del sinistro della moglie alla sede di che in effetti tale fatto era stato appreso dal D. casualmente, ciò che era stato interpretato come una offesa alla sua persona e una vera e propria provocazione che, pur essendo corretta la trasmissione della pratica alla sede di , onde garantire imparzialità e trasparenza, tuttavia il supervisore, in ossequio ai principi di lealtà e trasparenza che devono connotare il rapporto di lavoro, avrebbe dovuto comunicare al D. tale circostanza, spiegandone le ragioni che non vi erano state aggressioni fisiche che l'ultimo episodio era durato pochissimo tempo e si era concluso con le scuse del D. , immediatamente accettate da C. . Trattasi, come sopra osservato, di motivazione congrua, sufficiente e non contraddittoria, non censurabile in questa sede di legittimità, onde i rilievi formulati dalla ricorrente con i motivi in esame sono inidonei ad inficiare la decisione impugnata. Al riguardo, va ricordato che spetta al giudice di merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti. Conseguentemente per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto il mancato esame di elementi probatori costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base cfr., tra le altre, Cass. 15355/04 Cass. 9368/06 Cass. 9245/07 Cass. 14752/07 . 16. Con il decimo motivo, denunziando insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, la ricorrente deduce che, nel ritenere ingiustificato il licenziamento, la Corte d'appello ha omesso ogni riferimento al codice disciplinare vigente presso la compagnia di assicurazioni, che, nelle ipotesi di condotte analoghe a quelle tenute dal D. , prevede la sanzione espulsiva. 17. Con l'undicesimo motivo, denunziando violazione e/o falsa applicazione del codice disciplinare, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata ha ritenuto eccessiva la sanzione del licenziamento, non considerando che gli articoli 3 e 4 del codice disciplinare prevedono il recesso senza preavviso del lavoratore nei casi - come nella specie - di violazione, tra l'altro, dei doveri inerenti alla sfera disciplinare e alle direttive dell'azienda ovvero qualora il dipendente tenga nei confronti dei colleghi, dei superiori o dei terzi una condotta non conforme ai doveri di civile convivenza. 18. I predetti due motivi sono inammissibili. La Corte territoriale non affronta la questione relativa al codice disciplinare. In tale situazione la ricorrente avrebbe dovuto quanto meno allegare di averla proposta in sede di appello, precisandone i termini. 19. Con il dodicesimo motivo la ricorrente deduce violazione dell'articolo 2119 c.c. Richiama la giurisprudenza di legittimità in materia di giusta causa del licenziamento e formula il seguente quesito di diritto Se la condotta ascrivibile al signor D. , secondo quanto ricostruito nella lettera di contestazione dell'8 luglio 2003 e delle risultanze istruttorie, integri la fattispecie di giusta causa di licenziamento ai sensi dell'articolo 2119 c.c Il motivo è infondato, avendo questa Corte, nel rigettare sul punto i relativi motivi di ricorso, dato già risposta negativa al quesito cfr. p. 15 . 20. Con il tredicesimo motivo la ricorrente lamenta che la Corte di merito ha omesso di considerare i pregressi provvedimenti disciplinari comminati al D. , nonostante nella premessa abbia affermato che la condotta del dipendente sarebbe stata valutata anche alla luce di tali illeciti. 21. Il motivo è inammissibile, non avendo la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, precisato quali sono i provvedimenti disciplinari di cui il giudice d'appello non ha tenuto conto. 22. Con il quattordicesimo motivo, denunziando insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, la ricorrente lamenta che, nonostante in primo grado fosse stata chiesta solo la riassunzione nel posto di lavoro, la Corte territoriale ha disposto la sua reintegrazione , senza considerare che la riassunzione non si identifica con la reintegrazione e che non era stata chiesta l'applicazione dell'articolo 18 St. lav 23. Con il quindicesimo motivo la ricorrente ribadisce la diversità dei termini dianzi indicati, aggiungendo che la domanda di riassunzione costituisce un minus rispetto alla più ampia domanda di reintegrazione e che per l'applicazione della tutela reale era richiesta una esplicita domanda in tal senso. 24. Con il sedicesimo motivo si deduce che la sentenza impugnata ha errato nel ritenere che la domanda di riassunzione implicitamente contenga quella di reintegrazione, tanto più che non era stata chiesta l'applicazione dell'articolo 18 St. lav 25. Con il diciassettesimo motivo la società ribadisce che il regime di tutela reale non può essere applicato in assenza di una espressa domanda in tal senso. 26. Con il diciottesimo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c., si rileva che la sentenza impugnata, disponendo la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro senza che fosse stata invocata l'applicazione dell'articolo 18 St. lav., ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. 27. Con il diciannovesimo motivo la ricorrente lamenta che, nonostante avesse dedotto in appello la inammissibilità della pronuncia di reintegra, la sentenza impugnata nulla ha statuito al riguardo. 28. Con il ventesimo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell'articolo 345 c.p.c., la ricorrente deduce che solo in appello è stata chiesta dal dipendente la reintegrazione nel posto di lavoro. Tale domanda, essendo nuova, non poteva trovare ingresso nel giudizio, ai sensi della disposizione dianzi indicata. 29. I motivi dal quattordicesimo al ventesimo, che per ragioni di connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati. La Corte territoriale ha ritenuto che la domanda di riassunzione , collegata all'altra domanda di risarcimento dei danni fino alla riassunzione, integrava la richiesta di applicazione dell'articolo 18 St. lav., riproducendo il dettato di quest'ultima disposizione. Era dunque inapplicabile il meccanismo di tutela obbligatoria previsto dalla legge 604/66. L'affermazione è corretta, non solo perché i due termini, riassunzione e reintegrazione , sono sostanzialmente sinonimi, ma anche perché la domanda deve essere interpretata non solo nella sua letterale formulazione, ma anche nel suo sostanziale contenuto e con le finalità perseguite dalla parte. Peraltro, come ribadito anche recentemente da questa Corte Cass. 24 luglio 2012 numero 12944 , l'interpretazione della domanda rientra nella valutazione del giudice e non è censurabile in sede di legittimità, ove motivata in modo sufficiente e non contraddittoria. Alla stregua di quanto precede, deve escludersi la dedotta violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ed altresì che la reintegrazione nel posto di lavoro chiesta in appello dal lavoratore, costituisca domanda nuova, dovendo l'originaria domanda intendersi in questo senso. 30. Con il ventunesimo motivo la ricorrente, denunziando insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, deduce che il dipendente, dopo aver chiesto la riassunzione in servizio, ha precisato negli scritti difensivi che non era sua intenzione invocare il regime di tutela obbligatoria, ma quello di tutela reale. Così facendo ha rinunciato alla domanda proposta con il ricorso introduttivo, sulla quale, non essendo stata riproposta in appello, si è formato definitivamente il giudicato. E poiché, aggiunge, la domanda di reintegrazione proposta in appello è inammissibile, alcuna statuizione può intervenire in merito alle conseguenze derivanti dalla declaratoria di illegittimità del recesso del signor D. . 31. Il motivo non è fondato, non risultando in alcun modo che il dipendente abbia rinunciato alla domanda di riassunzione, intesa quale domanda di reintegrazione. 32. Con il ventiduesimo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. e dell'articolo 18 St. lav Si deduce che, contrariamente a quanto si assume nella sentenza impugnata, non vi era alcun onere a carico del datore circa la prova del requisito dimensionale, dal momento che la domanda del lavoratore aveva ad oggetto la riassunzione e non già la reintegrazione nel posto di lavoro. 33. Il motivo non è fondato. La Corte territoriale, nel ritenere che la domanda proposta dal dipendente fosse una vera e propria domanda di reintegrazione, ha applicato la tutela reale, adottando le conseguenti statuizioni di cui all'articolo 18 St. lav. e rilevando che la società datrice, cui incombeva il relativo onere, non aveva dato la prova, né tanto meno allegato, di non aver superato il requisito dimensionale, secondo quanto affermato da Cass. sez. unumero 141/06. La società non ha contestato che tale onere fosse a suo carico, ma ha dedotto che, avendo il dipendente chiesto la riassunzione e non già la riassunzione, non era tenuta a dimostrare il requisito dimensionale. Senonché, come più sopra osservato, la domanda, trovando perfetta corrispondenza con le previsioni di cui all'articolo 18 St. lav., era chiaramente diretta ad ottenere la reintegra nel posto di lavoro id est riassunzione, reinserimento, ripresa del posto di lavoro , onde, per escludere la tutela reale, la società avrebbe dovuto eccepire e dimostrare che non ricorrevano i presupposti dimensionali richiesti. Ciò che nella specie non è avvenuto, avendo la società incentrato le proprie difese sempre sul dato formale della utilizzazione del termine riassunzione , senza mai contestare la mancanza dei presupposti per la reintegra. 34. Con il primo motivo del ricorso incidentale si denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 166 c.p.c. e si addebita alla sentenza impugnata di avere conferito, in ordine alle espressioni offensive rivolte dal D. ad un collega, attendibilità alle dichiarazioni di un teste L. , che invece, tenendo conto delle sue incredibili dimenticanze, probabilmente non la meritava . 35. Il motivo non è fondato. La Corte territoriale ha ritenuto giustificata la sanzione conservativa non solo sulla scorta delle dichiarazioni del teste L. , ma anche di altri due testi, oltre che del C. , i quali tutti hanno confermato le espressioni offensive rivolte dal D. nei confronti di quest'ultimo. È dunque errato il presupposto di fatto da cui muove la censura in esame, fondata solo su questo solo motivo. 36. Con il secondo motivo del ricorso incidentale è denunziata violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 166 c.p.c Si deduce che risulta accertata, dalla perizia disposta dal P.M. nell'ambito di un procedimento penale conseguente ad una querela presentata nei confronti del C. dal D. , una correlazione tra i disturbi psico-patologici lamentati da quest'ultimo e gli eventi stressanti connessi con l'ambiente lavorativo. Tutto ciò ha provocato danni patrimoniali, alla salute, morali, all'immagine e alla identità personale del dipendente, che la Corte di merito ha inspiegabilmente negato, ritenendoli non provati. 37. Il motivo è inammissibile, oltre che infondato. Inammissibile perché, avendo la Corte territoriale escluso che la patologia psichica denunziata dal D. - da cui deriverebbero gli asseriti danni non patrimoniali - fosse da ricollegare alla condotta del supervisore, spiegandone le ragioni, la ricorrente avrebbe dovuto muovere sul punto specifiche censure all'impugnata sentenza. Infondato perché i danni lamentati sono stati solo genericamente dedotti, senza peraltro alcuna allegazione in ordine alla proposizione delle relative questioni in appello ed ai termini delle stesse. 38. Sia il ricorso principale che quello incidentale devono in conclusione essere respinti. L'esito del presente giudizio giustifica la compensazione tra le parti delle spese processuali. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, principale ed incidentale, e li rigetta e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.