Assolta Laura Pausini, lo sbaglio più grande l’ha fatto la giornalista

La giornalista riporta una risposta che lascia intendere il contrario di ciò che la cantante intendeva dire. È una telefonata a far emergere la verità, e la cantante viene assolta perché il fatto non sussiste

Il caso. Intervista alla nota cantante Laura Pausini che diventa oggetto di un procedimento penale a suo carico, dopo che l’ex manager-fidanzato aveva adito l’autorità giudiziaria. “Il fidanzato le rubò anche i soldi?”, questa la domanda della giornalista apparsa nell’articolo e la Pausini, sempre secondo quanto riportato, avrebbe risposto “abbiamo una causa in corso, non è il caso di parlarne”. Da qui il giudizio penale, arrivato in cassazione per ben due volte. Il primo era terminato con l’annullamento con rinvio alla Corte d’appello con il secondo, deciso dai giudici di legittimità con la sentenza numero 1791/2013 depositata il 15 gennaio, la sentenza impugnata viene annullata, nei confronti della Pausini, senza rinvio perché il fatto non sussiste. Una telefonata “ti salva la vita”? A prosciogliere completamente la cantante è stata la registrazione della telefonata sulla base del quale la giornalista stese il suo articolo, e della relativa trascrizione. Parole travisate. In realtà, infatti, alla domanda della giornalista “Ma è vero che ti aveva preso dei soldi anche?”, la Pausini aveva risposto “No, non posso dire niente di questo”. Pertanto, basandosi sulle reali dichiarazioni dell’imputata, la Cassazione rileva che «se ciò inevitabilmente aggrava la posizione della giornalista – che ha cancellato la risposta tassativamente negativa fornita dalla cantante, per di più trasformando la sua domanda in un’affermazione – inevitabilmente impone il proscioglimento della Pausini». Non vi è alcun dubbio, infatti, che, al momento di rispondere alla giornalista, la cantante non abbia diffamato il proprio ex manager-fidanzato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 novembre 2012 – 15 gennaio 2013, numero 1791 Presidente Giordano – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 21/9/2011, il Giudice dell'Udienza preliminare del Tribunale di Bergamo dichiarava non doversi procedere nei confronti di P.L. , M.C. e L.M. in ordine al reato di diffamazione a mezzo stampa, contestato alla L. sotto il profilo dell'omesso controllo quale direttore della rivista, ai danni di A.T.M C. , con la formula perché il fatto non sussiste . Secondo l'imputazione, in un'intervista alla nota cantante apparsa sulla rivista , all'affermazione della giornalista M. del seguente tenore il fidanzato le rubò anche dei soldi , la P. aveva risposto abbiamo una causa in corso, non è il caso di parlarne , così lasciando intendere che il C. avesse effettivamente rubato del denaro alla P. e che la causa in corso riguardasse - contrariamente al vero - proprio quella sottrazione. Questa Corte, con sentenza del 9/2/2010, aveva annullato una precedente sentenza di proscioglimento emessa dal G.U.P. per insussistenza del fatto la Corte riteneva carente e contraddittoria la motivazione esibita dal giudice del merito per giustificare, in ragione del contesto dell'intervista, l'esclusione di responsabilità sia della giornalista, che aveva comunque attribuito ad C.A. un comportamento non corretto, sia della cantante, che quella affermazione non aveva contestato, sia della direttrice del settimanale, che di quel testo avrebbe dovuto sindacare l'eventuale significato diffamatorio. Infatti un effettivo riferimento al contesto del discorso esigeva che si desse conto della preliminare recriminazione di P.L. circa lo stato di stupida sottomissione decennale al suo ex fidanzato manager. Ma su questa essenziale premessa tace del tutto la sentenza impugnata, che pure al contesto del discorso si richiama quale indiscusso criterio interpretativo. Solo nel contesto di quella espressione di risentimento poteva invece trovare una spiegazione l'affermazione, altrimenti del tutto gratuita, della giornalista, che ex abrupto accusa C.A. di avere rubato anche dei soldi alla giovane fidanzata sottomessa. E solo collegando il risentimento espresso dalla cantante alla sua estensione patrimoniale da parte della giornalista, è possibile accertare quale sia il significato effettivo della ritrosia esibita da L P. di fronte a quell'affermazione . Il Giudice rilevava, innanzitutto, che il testo dell'intervista pubblicata non corrispondeva letteralmente al testo dell'intervista, che era stata registrata, aggiungendo che, benché alla P. fosse stato sottoposto il testo da pubblicare, la stessa non lo aveva personalmente approvato. L'intervista registrata conteneva una domanda della giornalista sull'essere la causa tra la P. e il C. ancora in corso, con risposta affermativa cui seguiva la dichiarata impossibilità da parte della cantante di dire qualcosa in più nonché un'ulteriore domanda della M. non, quindi, un'affermazione in ordine all'avere il C. preso anche dei soldi alla P. , alla quale la stessa aveva risposto No, non posso dire niente di questo . Tale discrasia, secondo il Giudice, avrebbe potuto giustificare il proscioglimento della sola P. . Più in generale, il Giudice, dopo aver descritto i soggetti coinvolti e la rivista su cui era apparsa l'intervista, condivideva la valutazione del precedente giudice secondo cui alle orecchie del lettore medio di quel genere di settimanale, l'espressione rubare dei soldi ha il semplice significato di avere una controversia di carattere economico, a nulla certo rilevando se la controversia venga giocata nel ruolo di attore o in quello di convenuto . In sostanza, secondo il Giudice, per il lettore medio di , il concetto di rubare non ha alcuna necessaria coincidenza con la nozione giuridica di furto . La mancanza del punto interrogativo nella frase della giornalista, poi, non mutava la sua natura di una frase che comunque stimola una risposta rispetto ad essa, la P. glissa, non conferma e se è vero che essa non smentisce esplicitamente, è altrettanto vero che siamo in un genere letterario dove non si applicano i brocardi del dixit, tacuit, voluit, colui, ferma comunque la inesistenza di un obbligo giuridico di ipotetica smentita esplicita . La P. , in una precisazione apparsa nel numero successivo della rivista, aveva chiarito che ella intendeva semplicemente non parlare, sotto nessun profilo, dei rapporti economici ancora aperti con C. . Quanto alla necessità, segnalata dalla sentenza di annullamento, di interpretare le frasi incriminate alla luce del contesto complessivo dell'intervista, il Giudice sottolineava come essa fosse assai ampia, mentre i riferimenti al C. erano molto limitati. La contestualizzazione, quindi, faceva comprendere che la frase incriminata si riduce ad un piccolo grumo, al limite dell'impercettibilità, nel contesto di un discorso che a tutto somiglia tranne che a un j'accuse nei confronti di quel C.A.T.M. che scompare nel corpo della narrazione, di cui costituisce solo un piccolo sassolino, le cui presunte malefatte economiche non vengono degnate neppure di una affermazione esplicita il criterio di giudizio era stato esplicitato immediatamente prima, in un passo in cui il Giudice affermava che si può parlare di diffamazione solo quando - in contesti ingiustificati - una persona venga esposta al ludibrio, e non semplicemente quando solo l'interessato, in una lettura attentissima, e probabilmente anche vittimistica, riesce a leggere ciò che il mitico pubblico non percepisce minimamente . 2, Ricorre per cassazione la parte civile C.A.T.M. , articolando distinti motivi. Con un primo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. c cod. proc. penumero , per inosservanza dell'articolo 627, comma 3, cod. proc. penumero . La sentenza di annullamento aveva posto come punto fermo la natura obbiettivamente lesiva dell'onore e della reputazione personale e professionale della parte civile il Giudice di rinvio non poteva discostarsi da tale vantazione, potendo prosciogliere gli imputati solo per difetto dell'elemento soggettivo del reato. Con un secondo motivo si deduce la nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero , per erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 595 cod. penumero , nonché la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. Argomentando sul tipo di rivista su cui era apparsa l'intervista alla P. , il Giudice aveva relativizzato il reato di diffamazione a seconda del livello culturale dello scritto e dell'ambito letterario della rivista e ciò era errato, soprattutto quando al ricorrente era stata attribuita, con un'affermazione falsa, una condotta di ruberia di denaro. Il reato di diffamazione a mezzo stampa consiste nella comunicazione di una espressione direttamente o indirettamente offensiva a più persone in assenza dell'offeso, e ciò a prescindere dal supporto su cui l'offesa è riportata, della corposità del documento, del tipo di lettore. La sentenza, inoltre, fa erroneamente leva sulla notorietà della cantante P. per ritenere che il C. , che fa parte dello stesso ambiente, debba subire gli incommoda delle interviste offensive ma la sussistenza del reato non dipende dalla notorietà dei protagonisti, ma dalla natura offensiva della condotta. Contraria a quanto stabilito dalla sentenza di annullamento è la valutazione del Giudice secondo cui l'espressione rubare dei soldi abbia il mero significato di avere una controversia di carattere economico in realtà la stessa motivazione dimostrava la carica offensiva dell'espressione perché il Giudice, dopo aver negato che l'espressione facesse riferimento ad una condotta giuridicamente qualificabile come furto, portava come esempio il politico che ruba , quindi una condotta che va da una gestione economica disinvolta e interessata ad una illecita. Il Giudice aveva glissato sulla circostanza che quella della giornalista non era stata una domanda, ma un'affermazione, con la conseguenza che il messaggio concernente la condotta del C. era inequivoco e si riferiva ad una condotta scorretta o illecita del C. per di più l'articolo taceva la circostanza che la controversia, cui faceva riferimento la P. nella risposta, era stata promossa dal C. , che vantava un credito verso l'artista, cosicché tale riferimento era falso. In definitiva la giornalista aveva dato una notizia non vera, inutilmente lesiva della reputazione del C. , non necessaria all'esercizio del diritto di cronaca e che non rispettava il requisito della continenza, posto il carattere infamante del'espressione rubare . La sentenza era errata anche quando esentava da responsabilità la P. non attribuendole alcun obbligo giuridico di smentire la notizia oggetto dell'affermazione della giornalista. In realtà, con il riferimento alla causa in corso, la P. aveva rafforzato nel lettore la convinzione che il presunto furto del C. avesse dato origine ad una controversia giudiziaria. La sentenza, poi, era contraddittoria nella parte in cui, dopo avere affermato che la P. non aveva l'obbligo di smentire, dava atto della smentita pubblicata nel numero successivo della rivista smentita che, in realtà, manteneva l'incertezza sull'oggetto della controversia civile tra C. e P. e, quindi, confermava il lettore nella convinzione che comprendesse anche il furto di denaro . Del tutto irrilevante era la mancata richiesta di rettifica da parte del C. . La sentenza aveva, poi, violato l'indicazione della Corte di analizzare la frase offensiva nel contesto dell'intervista da una parte, sostenendo implicitamente che un'unica frase offensiva non poteva integrare la diffamazione, dall'altra travisando il fatto, non avvedendosi che l'attribuzione del furto al C. concludeva una serie di domande sul periodo di fidanzamento tra P. e C. , rispetto alla quale l'artista sosteneva di essere stata sottomessa e sotto una bolla di vetro . Con un terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e cod. proc. penumero , la illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato quanto a L. P. e l'assenza totale di motivazione in ordine alla insussistenza del fatto di reato contestato a M L. . Quanto alla P. , il riferimento alla sbobinatura dell'intervista era palesemente contraddittoria da una parte dimostrava che la affermazione della giornalista era lesiva della reputazione del C. , circostanza che era incompatibile con il proscioglimento della giornalista e del direttore della rivista, dall'altra non teneva conto che la P. aveva approvato il testo dell'intervista così come poi pubblicato sul periodico, il Giudice dando contraddittoriamente atto che il testo era stato sottoposto alla cantante, ma aggiungendo che non vi era prova di una sua approvazione esplicita valutazione incompatibile con il proscioglimento all'udienza preliminare, in cui il G.U.P. avrebbe dovuto valutare se vi erano elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio . Quanto alla direttrice, il Giudice avrebbe dovuto motivare sull'insussistenza della sua responsabilità. Il ricorrente conclude per l'annullamento della sentenza impugnata. 3. Il difensore di L P. ha depositato memoria. Con riferimento al primo motivo di ricorso, la memoria sottolinea che la sentenza di annullamento di questa Corte non recava alcun accertamento della sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di diffamazione né alcuna affermazione di principio di diritto cui il giudice del rinvio avrebbe dovuto adeguarsi. Il Giudice di rinvio, d'altro canto, aveva seguito un percorso motivazionale diverso, sulla base della registrazione del testo dell'intervista che dimostrava che la P. non aveva alcun intento recriminatorio nei confronti del C. e avesse negato la circostanza, oggetto della domanda della giornalista, sul furto di denaro da parte di questi. In definitiva non vi era violazione dell'articolo 627 cod. proc. penumero e, comunque, la responsabilità della P. doveva escludersi sia dal testo dell'intervista pubblicato che da quello registrato. Anche il secondo motivo di ricorso, secondo il difensore, è infondato al giudice del merito spetta l'apprezzamento della valenza lesiva delle espressioni adoperate in un'intervista e la sua vantazione, se congruamente motivata - come era nel caso di specie - si sottrae al sindacato della Cassazione. Fra l'altro, esattamente il giudice aveva interpretato la valenza offensiva del testo dell'intervista alla luce del contesto in cui era stata pubblicata. In ogni caso, la valutazione della risposta della P. doveva essere fatta alla luce di quella effettiva, risultante dalla registrazione, nella quale ella non collegava affatto la controversia civile in corso con il C. con la domanda della giornalista circa il furto di denaro e infatti, accortasi che la risposta pubblicata non corrispondeva a quella data, la P. aveva fatto pubblicare una rettifica. Comunque era la giornalista ad avere creato la suggestione circa la condotta illecita del C. . Anche il terzo motivo di ricorso è infondato l'invio da parte dell'addetta stampa della P. del testo approvato dalla cantante non produceva la responsabilità della stessa per la diffamazione, trattandosi di reato doloso, per la cui configurabilità occorre la coscienza e volontà di usare espressioni offensive, circostanza che non ricorreva nel caso di specie in effetti la direzione della rivista aveva inviato la registrazione dell'intervista solo in epoca successiva alla mail di approvazione del testo, cosicché la P. non poteva verificare che la risposta data sulla causa civile era stata abbinata dalla giornalista ad una domanda diversa fermo restando che lo scorretto abbinamento non produceva, comunque, una valenza diffamatoria della risposta. Il difensore dell'imputata conclude, pertanto, per la dichiarazione di inammissibilità o comunque, il rigetto del ricorso, quanto meno per la responsabilità di L. P. . Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato il passo della sentenza di annullamento sopra riportato dimostra che la Quinta Sezione di questa Corte non ha affermato un principio di diritto, cui il Giudice del rinvio avrebbe dovuto uniformarsi, ma ha, piuttosto, chiesto una motivazione meno carente e contraddittoria rispetto a quella adottata nella precedente sentenza di proscioglimento del G.I.P. del Tribunale di Bergamo. 2. Il secondo e il terzo motivo del ricorso, limitatamente alle posizioni della M. e della L. , sono invece fondati. Se è vero - come si è appena affermato - che la sentenza di annullamento non stabiliva alcun principio di diritto, da essa si ricavava con evidenza l'indicazione al giudice di merito della necessità di motivare adeguatamente una sentenza di proscioglimento, tenuto conto che a C.A. era stato attribuito un comportamento non corretto e che l'affermazione della giornalista M. era del tutto gratuita . Ebbene, di fronte a questa sollecitazione il Giudice, nella sentenza impugnata, fa tutt'altro si impegna a dimostrare che l'attribuzione certa al C. della condotta di rubare dei soldi alla P. non integri il reato contestato sforzo per niente coronato da successo. Dalla stessa motivazione, sia pure quasi affogato dalle ulteriori considerazioni, si ricava un dato del tutto incontestato e assai limpido C. non ha affatto rubato dei soldi alla P. nel periodo della loro collaborazione l'artista lo nega esplicitamente come si vedrà nel prosieguo e, nella controversia civile promossa dal C. , non solo non è stata proposta alcuna domanda riconvenzionale da parte della P. , ma ella, nemmeno a livello di eccezione, ha mai lamentato tale condotta da parte del suo fidanzato/manager. Ci si poteva attendere che da questo dato il Giudice partisse cioè dal fatto che un soggetto, la cui correttezza e onestà nessuno mette in dubbio - tanto meno la presunta vittima - si veda attribuita, su una rivista a grande diffusione, l'accusa di avere rubato dei soldi. Se questo era l'inevitabile punto di partenza, ben si comprende la difficoltà di prosciogliere gli imputati per insussistenza del fatto . La motivazione principale che il Giudice propone è la seguente alle orecchie del lettore medio di quel genere di settimanale l'espressione rubare dei soldi ha il semplice significato di avere una controversia di carattere economico . Poco dopo si afferma che nella nozione semantico - linguistica della gente comune, il concetto di rubare non ha alcuna necessaria coincidenza con la nozione giuridica di furto . A prescindere dall'incomprensibile riferimento alle orecchie del lettore, non si può non rilevare la astrattezza, se non la evanescenza, dei concetti usati il Giudice conosce il lettore medio della rivista? Il fatto che come si sottolinea in precedenza , la rivista sia letta negli studi dentistici o di parrucchiere significa che tutti i lettori di Anna interpretano il concetto di rubare nel senso che il Giudice intende? Tutti i lettori della rivista sono lettori medi ? Sì, perché è ovvio che, quando una rivista ha una notevole diffusione, i lettori sono diversi tra di loro il Giudice ritiene che nessuno dei lettori abbia interpretato la frase il suo fidanzato le rubò dei soldi nel senso che il fidanzato abbia sottratto alla P. soldi non suoi? Non viene spiegato, poi, per quale motivo il lettore medio debba interpretare l'accusa hai rubato! come abbiamo una controversia di carattere economico! , visto che il precetto di non rubare è conosciuto da millenni nel suo significato essenziale di sottrarre e impossessarsi dei beni altrui , senza avere mai perso la sua connotazione assolutamente negativa. Non si può, poi, dimenticare che la nozione giuridica di furto non entra in gioco nella presente decisione agli imputati non è contestato il reato di calunnia, ma quello di diffamazione, cosicché è sufficiente l'offesa alla reputazione del C. , che può derivare dall'attribuzione di una condotta illecita o gravemente scorretta, a prescindere che essa integri o meno un reato. Del tutto inconferenti sono le considerazioni sugli incommoda che il C. dovrebbe accettare per avere svolto la funzione di manager di una cantante evidentemente anche un manager mantiene il diritto all'onore e alla reputazione quelle relative alla possibilità per il C. di pubblicare una smentita o una rettifica, possibilità del tutto astratta e che, comunque, non fa venir meno il reato contestato Sez. 5, numero 16323 del 07/03/2006 - dep. 12/05/2006, Mule' ed altro, Rv. 234426 Sez. 5, numero 32364 del 02/07/2002 - dep. 30/09/2002, Pasinetti e altro, Rv. 222622 e quelle relative alla modestia dei riferimenti al C. rispetto al testo complessivo dell'intervista modestia che lo stesso Giudice definisce al limite dell'impercettibilità e, quindi, ammette essere percettibile , salvo poi contraddittoriamente sostenere che il mitico pubblico non dovrebbe riuscire a percepirlo, perché il riferimento è scomparso nel corpo della narrazione . artifici dialettici che non spiegano affatto perché le donne in attesa dal parrucchiere che il Giudice prende ad esempio, così attente al pettegolezzo sulla vita sentimentale della cantante, non dovevano accorgersi proprio di quel passaggio in cui si affermava che l'ex fidanzato/manager avrebbe rubato dei soldi alla P. . La decisione di prosciogliere le imputate con la formula perché il fatto non sussiste ha poi, come esattamente rilevato dal ricorrente, indotto il Giudice a non fornire alcuna motivazione specifica quanto alla posizione del Direttore della rivista, M L 3. La sentenza impugnata deve, al contrario, essere annullata senza rinvio quanto alla posizione di L P Il dato nuovo, successivo alla sentenza di annullamento della Quinta Sezione di questa Corte, è costituito dalla produzione della registrazione della telefonata sulla base della quale la M. stese il suo articolo, e della relativa trascrizione. Come si è anticipato, emerge dalla stessa sentenza ed è considerato dato pacifico che alla domanda della giornalista, riferito al C. Ma è vero che ti aveva preso dei soldi anche? , la P. aveva risposto No, non posso dire niente di questo . Se ciò inevitabilmente aggrava la posizione della giornalista - che ha cancellato la risposta tassativamente negativa fornita dalla cantante, per di più trasformando la sua domanda in un'affermazione - inevitabilmente impone il proscioglimento della P. - come del resto già osservato dal Giudice nella prima parte della sentenza - con la formula perché il fatto non costituisce reato . In effetti, non vi è dubbio che, al momento di rispondere alla giornalista, la P. in nessun modo diffamò il C. , negando recisamente che egli le avesse rubato dei soldi nella fase successiva, l'intervista venne però approvata dalla cantante, così come riferiva la sua addetta stampa alla direzione della rivista. Si tratta, tuttavia, con ogni evidenza di una condotta che, al più può considerarsi colposa, conseguenza di un disattento controllo sul testo sottoposto dalla M. , compiuto da chi ben sapeva di non avere in alcun modo riferito falsità sulla persona del C. e che, comunque, non poteva certamente ricordare con esattezza le parole pronunciate. Il dibattimento invocato dal ricorrente, secondo cui l'istruttoria avrebbe potuto dimostrare se il testo era stato effettivamente sottoposto alla cantante oppure era stato direttamente approvato dalla sua addetta stampa, è, quindi, del tutto superfluo, perché la condotta non potrebbe integrare il reato contestato. 3. La sentenza deve, in definitiva, essere annullata senza rinvio quanto alla P. e con rinvio quanto alla M. e alla L. . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, senza rinvio nei confronti della P. perché il fatto non costituisce reato,,X e con rinvio al G.I.P. del Tribunale di Bergamo per nuovo giudizio nei confronti della M. e della L. .