La Corte di Cassazione interviene sulla problematica concernente la revocatoria fallimentare degli atti dispositivi posti in essere dal socio illimitatamente responsabile di società fallita in favore del proprio coniuge.
Nello specifico, si tratta di stabilire se la presunzione di conoscenza della scientia decoctionis di cui all’articolo 69 l. fall. sia o meno applicabile al coniuge del socio illimitatamente responsabile di società fallita. E, gli Ermellini, con la sentenza numero 23213/2012 depositata il 17 dicembre, conformandosi ad un recente precedente di legittimità Cass., sez. I civ., numero 5260/2012 , precisano che, ai fini della revocatoria fallimentare degli atti compiuti dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone, dichiarato fallito per effetto del fallimento sociale, la scientia decoctionis va riscontrata con riferimento all’insolvenza della società, considerato che è quest’ultima insolvenza a determinare il fallimento del socio come conseguenza automatica della sua illimitata responsabilità per i debiti sociali, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di un suo stato di insolvenza personale. L'onere della prova della inscientia decoctionis che grava sul convenuto nel caso di domanda di revocatoria fallimentare proposta a norma dell’articolo 67, comma 1, l. fall. ha, pertanto, come termine di riferimento, non già lo stato di insolvenza del socio suddetto, bensì quello della società alla quale l'autore dell'atto di disposizione partecipi in regime di responsabilità illimitata. Il fatto. Si antepone, per chiarezza di disamina, una rapida descrizione del fatto concreto. Il caso di specie origina dall'impugnazione per cassazione, presentata da parte della curatela fallimentare, avverso la decisione della Corte di Appello di Palermo, che, in riforma della decisione di prime cure, ha rigettato la domanda di revocatoria fallimentare della quota di un mezzo di un immobile ceduta da un socio illimitatamente responsabile di società fallita in favore del proprio coniuge. In particolare, la curatela, in sede di legittimità, formula il quesito se l’articolo 69, primo comma, l. fall., in relazione agli atti revocabili, ex articolo 67 l. fall., sia applicabile anche al coniuge che sia stato dichiarato fallito ai sensi dell’articolo 147 l. fall., facendo inoltre valere una censura concernente la motivazione del provvedimento impugnato. Tuttavia, gli Ermellini, rigettando in toto il ricorso, precisano che i soci di società di persone, pur essendo illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, non rivestono la qualità di imprenditori commerciali. E, che, ai fini della revocatoria fallimentare degli atti compiuti dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone dichiarato fallito per effetto del fallimento sociale, la scientia decoctionis va riscontrata con riferimento all’insolvenza della società e non già a quella del socio. Infine, i giudici della Suprema Corte, quanto al secondo gravame, richiamate le Sez. Unumero , numero 16528/2008, osservano che l’illustrazione del motivo deve essere corredata da un momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la fondatezza della censura. Requisito che, nel caso de quo, manca del tutto e rende inammissibili le censure concernenti la motivazione del provvedimento impugnato. Il socio illimitatamente responsabile non è imprenditore commerciale. La prevalente dottrina reputa che il socio illimitatamente responsabile non è imprenditore commerciale, neppure indiretto, il fallimento personale, si opina, è conseguenza della qualità di socio illimitatamente responsabile, è fallimento che dipende dal fallimento sociale. Siffatto orientamento condiviso dalla giurisprudenza dominate, ribadito nella pronuncia che qui ci occupa, qualifica conseguentemente come norma eccezionale la disposizione di cui all’articolo 147, primo comma, l. fall., laddove prevede in deroga all’articolo 1 l. fall. il fallimento di soggetti che imprenditori non sono e laddove prescinde, in deroga all’articolo 5 l. fall., dalla loro personale insolvenza. E, pertanto, i soci di società di persone, pur essendo illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, non rivestono la qualità di imprenditori commerciali. La migliore dottrina, anche alla luce della riforma del diritto societario, ha ribadito tale conclusione evidenziando che dalla nuova disciplina, in particolare dalle norme in materia di società di capitali unipersonali, ne esce assai rafforzata la tesi per la quale la fallibilità del socio è del tutto indipendente dall’essere egli coinvolto personalmente nella gestione dell’impresa e dipende invece unicamente dall’essere stata o meno l’impresa gestita secondo ben specifiche regole di garanzia per i creditori che condizionano il beneficio della responsabilità limitata. Il fallimento dei soci illimitatamente responsabili. L’articolo 147, primo comma, l. fall., nella versione introdotta dal d. lgs. numero 5/2006 e lasciata inalterata dal d.lgs. numero 169/2007, prevede che, quando il fallimento investe una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro V del codice civile, il fallimento stesso coinvolge anche i soci illimitatamente responsabili. Si tratta, in sostanza, di un’ipotesi di estensione dello statuto di imprenditore commerciale, contemplata dall’articolo 148 l. fall. a soggetti privi della titolarità dell’impresa insolvente già prevista nella versione originaria della norma e funzionale alla tutela delle ragioni dei creditori sociali mediante il coinvolgimento del patrimonio dei soci illimitatamente responsabili nella dinamica del concorso. La scientia decoctionis va riscontrata con riferimento all’insolvenza della società. Tra i presupposti richiesti per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, una rilevanza centrale deve essere attribuita al presupposto soggettivo, ossia alla conoscenza da parte del convenuto in revocatoria dello stato di insolvenza del debitore poi fallito. La scientia decoctionis, consiste, innanzitutto nella conoscenza del terzo dello stato di insolvenza del debitore al momento del compimento dell’atto. Il meccanismo revocatorio sotteso all’articolo 67 l. fall. si fonda quindi sulla necessaria sussistenza in capo al terzo della conoscenza dello stato di insolvenza che affliggeva l’imprenditore con il quale aveva concluso gli atti o i contratti indicati dall’articolo 67 l. fall E, nel caso in commento, ut supra, ai fini della revocatoria fallimentare degli atti compiuti dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone, dichiarato fallito per effetto del fallimento sociale, la scientia decoctionis va riscontrata con riferimento all'insolvenza della società, considerato che è quest'ultima insolvenza a determinare il fallimento del socio come conseguenza automatica della sua illimitata responsabilità per i debiti sociali, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di un suo stato di insolvenza personale.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 novembre – 17 dicembre 2012, numero 23213 Presidente Fioretti – Relatore Didone Ritenuto in fatto e in diritto 1.- Con la sentenza impugnata depositata in data 22.3.2006 la Corte di appello di Palermo, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di revocatoria fallimentare ex articolo 67 e 69 L. fall, proposta dalla curatela del fallimento della s.numero c. La Sorgente del Mobile di Plinio & amp C. e dei soci illimitatamente responsabili P.F. , S.F. , S.T. , S.G. e S.L. contro V.B. al quale S.T. aveva ceduto, nell'anno precedente al fallimento, la quota pari a un mezzo di un immobile sito in . Ha osservato la corte di merito che la presunzione di conoscenza della scientia decoctionis di cui all'articolo 69 L. fall. non è applicabile al coniuge del socio illimitatamente responsabile di società fallita, rilevante essendo la conoscenza dello stato di insolvenza della società e che il curatore non aveva fornito la prova della scientia decoctionis da parte del convenuto. Contro la sentenza di appello la curatela fallimentare ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Ha resistito con controricorso V.B. . 2.1.- Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione dell'articolo 69 1 c. R.D. 16.3.1942 numero 267, in relazione all'articolo 67 2 c. e all'articolo 147 della medesima legge fallimentare” e formula il seguente quesito ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c “dica la Corte se l'articolo 69 1 c. l.f., in relazione agli atti revocabili ex articolo 67 L. fall., sia applicabile anche al coniuge che sia stato dichiarato fallito ai sensi dell'articolo 147 l.f.”. 2.2.- Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione impugnata nella parte in cui ritiene che la curatela non abbia offerto la prova della conoscenza da parte dell'appellante dello stato di insolvenza”. Non è formulata la sintesi conclusiva del fatto controverso ex articolo 366 bis c.p.c 3.- Il primo motivo di ricorso è infondato. Questa Corte Sez. 1, 2 aprile 2012 numero 5260 ha già di recente evidenziato che il primo comma dell'articolo 69 L. fall., nel testo originario applicabile ratione temporis, prevedeva che gli atti previsti dall'articolo 67, compiuti tra coniugi nel tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale, sono revocati se il coniuge non prova che ignorava lo stato d'insolvenza del coniuge fallito . Con sentenza numero 100 del 19 marzo 1993 la Corte costituzionale ha ritenuto che, alla luce del venir meno del generale divieto di donazione tra coniugi per effetto della dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 781 cod. civ., la non applicabilità dello speciale regime di revoca fallimentare degli atti fra coniugi previsto dall'articolo 69 legge fall. agli atti a titolo gratuito compiuti dal fallito a favore del coniuge oltre due anni prima della dichiarazione di fallimento ma durante l'esercizio dell'impresa, risultasse priva del suo originario fondamento logico e, vieppiù, irragionevole, in quanto comportava che tali liberalità - non più nulle, bensì revocabili solo alle condizioni rigorose previste dall'articolo 2901 cod. civ. e con una decorrenza prescrizionale svantaggiosa - fossero irragionevolmente assoggettate ad un sistema di minor tutela dei creditori rispetto agli atti tra coniugi a titolo oneroso compiuti nello stesso periodo. Tale sopravvenuta irragionevolezza, secondo la Corte costituzionale, non era superabile in via interpretativa né per analogia, bensì solo mediante una pronuncia di incostituzionalità parziale, per meglio assicurare la certezza del diritto, talché ha dichiarato costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'articolo 3 Cost. - l'articolo 69, r.d. 16 marzo 1942 numero 267, nella parte in cui non comprendeva nel proprio ambito di applicazione gli atti a titolo gratuito compiuti tra coniugi più di due anni prima della dichiarazione di fallimento, ma nel tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale. Secondo la Corte costituzionale, poi, è compito del legislatore eliminare i residui margini di disarmonia - inerenti alla rilevanza che assume la prova, da parte del coniuge, di aver ignorato lo stato di insolvenza del fallito laddove la partecipatio fraudis è richiesta dall'articolo 2901, numero 2, cod. civ., per la revoca dei soli atti a titolo oneroso - che permangono a seguito della pronuncia di incostituzionalità parziale che estende lo speciale regime di revoca fallimentare degli atti tra coniugi alle liberalità compiute tra essi prima del biennio anteriore al fallimento. Il legislatore della Riforma del 2006 in attuazione della delega di cui alla L. numero 80 del 2005 , peraltro, si è limitato ad adeguare la disposizione al dispositivo della sentenza numero 100/1993 della Consulta, pur essendo emersi nella dottrina e nella giurisprudenza contrastanti orientamenti in ordine all'applicabilità della norma agli atti dispositivi posti in essere dal socio illimitatamente responsabile in favore del proprio coniuge. È rimasto inalterato, dunque, il limite temporale della revocabilità degli atti negoziali compiuti tra coniugi al tempo in cui il fallito esercitava un'impresa commerciale e, come ha rilevato la corte di merito con la sentenza impugnata, la lettera della disposizione in esame è ostativa all'estensione della norma agli atti negoziali compiuti dal coniuge dichiarato fallito in quanto socio illimitatamente responsabile. Ciò perché, come ha da tempo chiarito questa Corte Sez. 1, numero 2359/1984 e, più di recente, Sez. 1, numero 3535/2006 i soci di società di persone, pur essendo illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, non rivestono la qualità di imprenditori commerciali. La migliore dottrina, anche alla luce della riforma del diritto societario, ha ribadito tale conclusione evidenziando che dalla nuova disciplina in particolare dalle norme in materia di società di capitali unipersonali ne esce “assai rafforzata la tesi per la quale la fallibilità del socio è del tutto indipendente dall'essere egli coinvolto personalmente nella gestione dell'impresa quasi fosse un coimprenditore e dipende invece unicamente dall'essere stata o meno l'impresa gestita secondo ben specifiche regole di garanzia per i creditori che condizionano il beneficio della responsabilità limitata”. Si è suggerito, così, di “tornare al nudo tenore letterale dell'articolo 147 legge fallimentare, per concluderne che la fallibilità del socio dipende unicamente dal fatto che operi o meno il meccanismo legale della limitazione di responsabilità per le obbligazioni sociali. Per la qual cosa non v'è che da far riferimento alle norme di diritto societario di volta in volta applicabili, che non tanto costituiscono un'eccezione a principi generali dell'ordinamento, quanto piuttosto danno vita ad un regime dotato di proprie peculiari caratteristiche, per le quali la responsabilità illimitata non è conseguenza del gestire un'impresa, individualmente o congiuntamente ad altri, ma del modo in cui lo si fa, in rapporto alle specifiche e mutevoli disposizioni dettate in proposito dal legislatore”. 3.1.- La curatela ricorrente, a sostegno della tesi sostenuta in ricorso, invoca una pronuncia di merito che ha ritenuto applicabile l'articolo 69 L. fall, agli atti negoziali posti in essere dal coniuge di socio di società illimitatamente responsabile di società di persone mediante “un'interpretazione estensiva conforme alla costituzione dell'articolo 69 L. fall., in coordinazione con l'articolo 147 L. fall.”. Va, per converso, ricordato che, quando la Corte costituzionale, con la pronuncia innanzi richiamata, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del previgente articolo 69 L. fall, in relazione agli atti a titolo gratuito, ha evidenziato che allo stesso risultato non era possibile pervenire “mediante interpretazione estensiva, dati i chiari limiti del contenuto della norma stessa, né per analogia, ove si consideri che le presunzioni legali, costituite solo in forza di speciali disposizioni di legge, danno luogo ad jus singulare, come tale non suscettibile di applicazione analogica” Corte cost. numero 100/1993 . Le stesse considerazioni ostano ad un'interpretazione estensiva della disposizione nella parte in cui limita l'ambito di applicabilità della revocatoria aggravata agli atti negoziali compiuti fra coniugi all'ipotesi di fallimento di imprenditore commerciale. D'altra parte, non è dato scorgere profili di irragionevolezza con la diversa disciplina degli atti in pregiudizio dei creditori nell'ipotesi di fallimento dichiarato ex articolo 147 L. fall., ai quali restano applicabili gli articolo 64, 65, 66, 67 e 68 L. fall, mentre quegli atti fra coniugi, “considerati dal legislatore con maggiore diffidenza presumendosi che il coniuge sia la persona più in grado di conoscere lo stato di insolvenza dell'imprenditore e più disposta a colludere con lui” Corte cost., numero 100/1993 sono proprio quelli in cui una delle parti svolgeva attività commerciale. Mentre, infatti, in quest'ultima ipotesi il coniuge convenuto, conoscendo lo stato di insolvenza quale mera incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni in cui versa il coniuge, non ne può ignorare la possibilità giuridica del fallimento, per contro, estendendo l'applicabilità dell'articolo 69 L. fall. alle ipotesi di coniuge del fallito ai sensi dell'articolo 147 L. fall., la presunzione di conoscenza del coniuge in bonis dovrebbe ritenersi estesa allo stato di insolvenza della società alla quale l'autore dell'atto di disposizione partecipi in regime di responsabilità illimitata. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte Sez. 1, numero 10652/2011 Sez. 1, numero 4705/2006 , ai fini della revocatoria fallimentare degli atti compiuti dal socio illimitatamente responsabile di una società di persone, dichiarato fallito per effetto del fallimento sociale, la scientia decoctionis va riscontrata con riferimento all'insolvenza della società, considerato che è quest'ultima insolvenza a determinare il fallimento del socio come conseguenza automatica della sua illimitata responsabilità per i debiti sociali, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di un suo stato di insolvenza personale. Ne consegue che anche l'onere della prova della inscientia decoctionis , che grava sul convenuto nel caso di domanda di revocatoria fallimentare proposta a norma dell'articolo 67, comma primo, legge fall., ha come termine di riferimento, non già lo stato di insolvenza del socio suddetto, bensì quello della società “alla quale l'autore dell'atto di disposizione partecipi in regime di responsabilità illimitata”. 4.- Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Va ricordato, invero, che, quanto alla formulazione dei motivi nel caso previsto dall'articolo 360 numero 5 cod. proc. civ., la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato che la censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi che svolge l'omologa funzione del quesito di diritto per i motivi di cui ai nnumero 1, 2, 3 e 4 dell'articolo 360 cod. proc. civ. che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità v. S.U. sent. numero 20603/2007 e, successivamente, le ordinanze della sez. 3 numero 4646/2008 e numero 16558/2008, nonché le sentenze delle S.U. nnumero 25117/2008 e numero 26014/2008 per questo il relativo requisito deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato quando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all'esito di un'attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all'osservanza del requisito del citato articolo 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione ord., sez. 3, numero 16002/2007 ord., sez. 3, nnumero 4309/2008, 4311/2008 e 8897/2008, cit., nonché sent. S.U. numero 11652/2008 . In altri termini, si richiede che l'illustrazione del motivo venga corredata da un momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la fondatezza della censura v. sentenza, S.U., numero 16528/2008 . Requisito che, nella concreta fattispecie, manca del tutto e ciò rende inammissibili le censure concernenti la motivazione del provvedimento impugnato. Il ricorso deve essere rigettato. Nondimeno, la novità della questione di diritto posta dal primo motivo solo recentemente affrontata dalla Corte giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.