Le dichiarazioni della parte offesa possono essere assunte da sole come prova, anche se il giudice deve fare una rigorosa valutazione delle stesse.
Lo ha ricordato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 43732/2012, depositata il 9 novembre. La fattispecie. Rapporti di vicinato molto tesi, fino ad arrivare all’abbandono delle feci sulle scale dell’abitazione di una vicina, episodio scatenante una lite tra 2 donne. Una delle di queste affermava di aver subito lesioni personali e la lite, di conseguenza, si trasforma in un giudizio penale. La faccenda arriva fino in Cassazione, dopo che l’imputata, assolta per i reati di violenza privata articolo 610 c.p. e lesioni personali articolo 582 c.p. , veniva condannata in secondo grado per quello di ingiuria articolo 594 c.p. . Dichiarazioni della parte offesa assunte da sole come prova La S.C. ha così avuto modo di ribadire che, all’interno del processo penale, le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile sono pacificamente considerate valutabili ed utilizzabili ai fini della tesi di accusa. Infatti, precisa ancora la Cassazione, a differenza di quanto previsto nel processo civile, circa l’incapacità a deporre del teste che abbia la veste di parte, «il processo penale risponde all’interesse pubblicistico di accertare la responsabilità dell’imputato», e non può essere condizionato dall’interesse individuale rispetto ai profili privatistici connessi al risarcimento del danno provocato dal reato. valutabili dal giudice. Resta fermo, ovviamente, l’obbligo del giudice di valutare rigorosamente le dichiarazioni della persona offesa come, d’altro canto, ha fatto nel caso di specie la Corte d’appello di Brescia. «Zozzona, sporcacciona» è un’ingiuria. La Corte di legittimità rigetta quindi il ricorso e conclude chiarendo che le espressioni rivolte alla parte civile - «zozzona, sporcacciona» - hanno evidente natura offensiva.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 luglio – 9 novembre 2012, numero 43732 Presidente Ferrua – Relatore Guardiano Ritenuto in fatto Con sentenza pronunciata il primo dicembre 2011, la corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Cremona, in data 30.11.2010 aveva condannato L.A. alla pena di mesi otto di reclusione per i reati di cui agli articolo 610, c.p. capo a 582, c.p. capo b e 594, c.p. capo c , commessi in omissis in danno di Le.Li. , oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, assolveva l'imputata, ai sensi dell'articolo 530, co. 2, c.p.p., dai reati di cui ai capi a e b , con la formula perché il fatto non sussiste e riduceva la pena inflitta per il reato sub c ad Euro 300,00 di multa, confermando nel resto l'impugnata sentenza, con riferimento alle statuizioni civili. Ha proposto ricorso personalmente l'imputata, articolando due motivi di ricorso. Con il primo deduce la contraddittorietà ovvero la manifesta illogicità della motivazione in quanto la corte territoriale avrebbe ritenuto inattendibile la narrazione della persona offesa in ordine ai fatti di violenza privata e di lesioni e, contraddittoriamente, attendibile con riferimento all'ingiuria. Con il secondo motivo deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale in relazione al delitto di cui all'articolo 594, c.p., non potendosi attribuire alcun carattere offensivo alle parole che si assumono pronunciate dall'imputata all'indirizzo della persona offesa. Considerato in diritto Il ricorso va rigettato, essendo infondati i motivi che ne sono posti a fondamento. Quanto al primo motivo va rilevato che la corte territoriale, con motivazione adeguata ed esente da vizi, ha fondato la sua decisione su di un'accurata e prudente valutazione delle dichiarazioni della persona offesa Le.Li. , inserendole in un contesto di rapporti di vicinato tra quest'ultima e la ricorrente, contraddistinti da una reciproca avversione, nell'ambito dei quali appariva assolutamente credibile che la L. avesse attribuito alla persona offesa di essere l'autrice dell'abbandono delle feci sulle scale della sua abitazione, episodio scatenante della lite insorta tra le due donne, mentre analogo giudizio non poteva essere effettuato in relazione al denunciato episodio delle lesioni che la persona offesa affermava di avere subito dall'imputata, perché, sul punto le dichiarazioni della Le. venivano contraddette da una serie di elementi oggettivi, tra cui assumeva un ruolo decisivo la tardività, in relazione alla gravità asserita e certificata delle lesioni, dell'accertamento medico cui la persona offesa si sottoponeva solo due giorni dopo il verificarsi della lite cfr. pagg. 4-5 dell'impugnata sentenza . Tale modo di procedere della corte territoriale appare assolutamente conforme ai risultati elaborati dalla giurisprudenza di legittimità a proposito del valore che, all'interno del processo penale, assumono le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile, pacificamente considerate valutabili ed utilizzabili ai fini della tesi di accusa, poiché, a differenza di quanto previsto nel processo civile, circa l'incapacità a deporre del teste che abbia la veste di parte, il processo penale risponde all'interesse pubblicistico di accertare la responsabilità dell'imputato, e non può essere condizionato dall'interesse individuale rispetto ai profili privatistici, connessi al risarcimento del danno provocato dal reato, nonché da inconcepibili limiti al libero convincimento del giudice cfr. Cass., sez. V, 23.11.2011, numero 8558, Ce Cass., sez. V, 19.9.2011, numero 46542, M.M. Cass., sez. V, 8.4.2008, numero 16780, C Cass., sez. V, 27.3.2008, numero 16769 S. . Tali dichiarazioni, pertanto, possono essere assunte anche da sole come prova della responsabilità dell'imputato, purché siano sottoposte a vaglio positivo circa la loro attendibilità e senza necessità di applicare le regole probatorie di cui all'articolo 192, terzo e comma 4, c.p.p., che richiedono la presenza di riscontri esterni, anche se, essendo la parte civile portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi riscontro, peraltro, non indefettibilmente ed in ogni caso dovuto, fermo restando l'obbligo del giudice di rigorosamente valutare, come ha fatto la corte di appello di Brescia, le dichiarazioni della persona offesa, dovendo la sua eventuale necessità essere ragguagliata alle connotazioni della fattispecie, alle emergenze probatorie e procedimentali che sia dato cogliere nella vicenda esaminata, alle acquisizioni e modalità ricostruttive della stessa cfr. Cass., sez. IV, 1.2.2011, numero 19668, N.M. ed altri, nonché in senso conforme, Cass., sez. II, 20.9.2011, numero 43307, C.S. Cass., sez. VI, 23.3.2011, numero 22281, G.F.A. Cass., sez. VI, 20.12.2010, numero 4443, P. , che, in presenza di una pluralità di dichiarazioni accusatorie della persona offesa, possono condurre, in relazione a ciascuna di esse, ad esiti diversi, che, tuttavia, di per sé, non consentono di ravvisare una motivazione contraddittoria. Parimente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, apparendo evidente la natura offensiva delle espressioni rivolte dalla L. all'indirizzo della Le. zozzona, sporcacciona . In esse, invero si ravvisano gli estremi dell'offesa all'onore ed al decoro della persona della Le. , aggredita attraverso espressioni gratuitamente volgari. Pur nel profondo mutamento intervenuto nel linguaggio comune, con l'uso diffuso di espressioni volgari, che in determinato contesti possono ritenersi depurate del loro significato oltraggioso, infatti, evidenziare, attraverso le espressioni innanzi indicate, un assoluto disinteresse del destinatario dell'offesa per le regole igieniche vigenti nel consesso civile e, quindi, per il rispetto delle esigenze di vita altrui, è certamente locuzione che, per quanto possa essersi degradato il codice comunicativo, conserva intatta la sua valenza ingiuriosa, in quanto volta a ferire la dignità altrui ed il senso di appartenenza alla comunità in cui si vive. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell'interesse di L.A. va, dunque, rigettato, ai sensi dell'articolo 615, co. 2, c.p.p., con condanna della ricorrente, giusto il disposto dell'articolo 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.