Il datore non versa le trattenute sindacali: l’inadempimento va sanzionato

Il datore di lavoro che, in presenza di un atto di cessione del credito relativo alle quote sindacali, rifiuti senza giustificazione di effettuare il versamento, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche una condotta antisindacale.

Lo ha confermato la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza numero 20439, depositata il 12 ottobre 2015. Il caso. La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso da un’associazione sindacale al fine di far accertare la condotta antisindacale della società datrice che aveva omesso di effettuare il versamento delle quote associative dei lavoratori che avevano chiesto all’azienda di effettuare tale versamento in favore del sindacato mediante trattenuta sul loro stipendio. Nel costituirsi in giudizio, la società datrice aveva tentato di giustificare l’omesso versamento delle trattenute sostenendo che l’elevato numero di dipendenti rendeva troppo gravoso tale onere. Trattenute sindacali non più un obbligo, ma una facoltà del lavoratore. La pronuncia in commento conferma che, in materia di trattenute sindacali, il referendum del 1995, abrogativo dell’articolo 26, comma 2, l. numero 300/1970, ed il susseguente d.P.R. numero 313/1995 non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, essendo venuto meno soltanto il relativo obbligo. I lavoratori, pertanto, possono richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato al quale aderiscono Cass. numero 28269/05 tale atto deve essere qualificato cessione del credito ex articolo 1260 e ss. c.c In conseguenza di tale qualificazione, non occorrono, in via generale, il consenso del debitore articolo 1260 c.c. e, quindi, un’apposita previsione nella contrattazione collettiva. Peraltro, non osta il carattere parziale e futuro del credito ceduto, potendo la cessione riguardare solo una parte del credito ed avere ad oggetto crediti futuri Cass. nnumero 28269/05 e 19501/09 . Il datore che non versa le trattenute deve provare l’eccessiva gravosità di tale onere. Qualora il datore di lavoro sostenga che la cessione comporti a suo carico, in concreto, una modificazione eccessivamente gravosa dell’obbligazione, implicante un onere insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale, questi ha l’onere di provare, ai sensi dell’articolo 218 c.c., che la gravosità della prestazione è tale da giustificare il suo inadempimento Cass. numero 28269/05 . L’eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso, non incide sulla validità e sull’efficacia del negozio di cessione del credito, ma può giustificare l’inadempimento del debitore ceduto, finché il creditore non collabori a modificare le modalità della prestazione in modo da realizzare un equo contemperamento degli interessi. Con riferimento alla fattispecie in questione, la Suprema Corte ritiene che non si possa ritenere provata l’insostenibilità dell’onere in ragione, esclusivamente, dell’elevato numero di dipendenti dell’azienda, dovendosi operare una valutazione di proporzionalità tra la gravosità dell’onere e l’entità dell’organizzazione aziendale, tenendo conto che un’impresa con un elevato numero di dipendenti di norma ha una struttura amministrativa corrispondente alla sua dimensione Cass. numero 9049/11 . Pertanto, l’ingiustificato rifiuto di effettuare il versamento, in presenza di un atto di cessione del credito relativo alle quote sindacali, configura un inadempimento del datore di lavoro che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche una condotta antisindacale, in quanto pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire, sia il diritto del sindacato stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività Cass. numero 28269/05 .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 1 luglio – 12 ottobre 2015, numero 20439 Presidente Stile – Relatore Napoletano Svolgimento del processo Poste italiane spa chiede, in ragione di tre motivi, l'annullamento della sentenza della Corte d'appello di Roma che ha respinto il suo appello contro la decisione con la quale il Tribunale di Velletri aveva dichiarato antisindacale la condotta della società consistente nella omessa effettuazione del versamento all'associazione sindacale Cobas del lavoro privato delle quote associative dei lavoratori che avevano chiesto all'azienda di effettuare tale versamento in favore di detto sindacato mediante trattenuta sul loro stipendio, con i relativi provvedimenti consequenziali. Il sindacato resiste con controricorso. Vengono depositate memorie illustrative. Motivi della decisione Il ricorso della società si articola in tre motivi 1 violazione e falsa applicazione del D.P.R. numero 313 del 1995, articolo 1 e del CCNL 11 luglio 2003 articolo 12 2 violazione e falsa applicazione del D.P.R. numero 180 del 1950, articolo 1, 5, 51, 52 e 54 3 violazione e falsa applicazione dell'articolo 1260 c.c. e articolo 1269 c.c. e ss I tre motivi, che in guanto strettamente connessi dal punto di vista logico giuridico vanno trattati unitariamente, ripropongono tesi già esaminate analiticamente da questa Corte, senza apportare elementi nuovi che possano motivare un cambio di orientamento. Il ricorso, quindi, è infondato dovendosi ribadire l'orientamento e le relative motivazioni espresso con una serie articolata di sentenze e da ultimo anche di ordinanze in camera di consiglio. In materia di trattenute sindacali si è affermato che il referendum del 1995, abrogativo dell'articolo 26 st. lav., comma 2, e il susseguente D.P.R. numero 313 del 1995, non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, ma è soltanto venuto meno il relativo obbligo. I lavoratori, pertanto, possono richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione contributi da accreditare al sindacato cui aderiscono S.U. 28269/2005 . Tale atto deve essere qualificato cessione del credito articolo 1260 c.c., e segg. S.U. 28269/2005 . In conseguenza di detta qualificazione, non necessita, in via generale, del consenso del debitore cfr. articolo 1260 c.c. S.U. 28269/2005 e quindi di un apposita previsione nella contrattazione collettiva. Non osta il carattere parziale e futuro del credito ceduto la cessione può riguardare solo una parte del credito ed avere ad oggetto crediti futuri S.U. 28269/2005, nonché Cass. 19501/2009 . Qualora il datore di lavoro sostenga che la cessione comporti in concreto, a suo carico, una modificazione eccessivamente gravosa dell'obbligazione, implicante un onere insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale e perciò inammissibile, ha l'onere di provare, ai sensi dell'articolo 1218 c.c., che la gravosità della prestazione è tale da giustificare il suo inadempimento S.U. 28269/2005 . L'eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso, non incide sulla validità e l'efficacia del negozio di cessione del credito, ma può giustificare l'inadempimento del debitore ceduto, finché il creditore non collabori a modificare le modalità della prestazione in modo da realizzare un equo contemperamento degli interessi S.O. 28269/2005 . Non si può ritenere provata l'insostenibilità dell'onere in ragione, esclusivamente, dell'elevato numero di dipendenti dell'azienda, ma dovrà operarsi una valutazione di proporzionalità tra la gravosità dell'onere e l'entità della organizzazione aziendale, tenendo conto che un'impresa con un elevato numero di dipendenti di norma avrà una struttura amministrativa corrispondente alla sua dimensione Cass. 20 aprile 2011, numero 9049 . Il datore di lavoro che in presenza di un atto di cessione del credito relativo alle quote sindacali, rifiuti senza giustificazione di effettuare il versamento, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche condotta antisindacale, in quanto pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire, sia il diritto del sindacato stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività S.U. 28269/2005 . Il referendum del 1995 abrogativo dell'articolo 26 St. lav., comma 2 e il susseguente D.P.R. numero 313 del 1995 non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, essendo soltanto venuto meno il relativo obbligo legale, sicché i lavoratori, nell'esercizio della autonomia privata e mediante la cessione del credito in favore del sindacato, possono chiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato cui aderiscono Cass. 13886/2012 . In tema di riscossione di quote associative sindacali dei dipendenti pubblici e privati a mezzo di trattenuta ad opera del datore di lavoro, l'articolo 52 del d.P.R. 5 gennaio 1950 numero 180, come modificato dall'articolo 13-bis del d.l. 14 marzo 2005 numero 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005 numero 80, nel disciplinare tutte le cessioni di credito da parte dei lavoratori dipendenti, non prevede limitazioni al novero dei cessionari, in ciò differenziandosi da quanto stabilito dall'articolo 5, del medesimo d.P.R., per le sole ipotesi di cessioni collegate all'erogazione di prestiti. Ne consegue che è legittima la suddetta trattenuta del datore di lavoro, attuativa della cessione del credito in favore delle associazioni sindacali, atteso, altresì, che una differente interpretazione sarebbe incoerente con la finalità legislativa antiusura posta a garanzia del lavoratore che, altrimenti, subirebbe un'irragionevole restrizione della sua autonomia e libertà sindacale Cass. 2314/2012 e Cass. 20723/2013 nonché Cass. 27430/2014 . Il ricorso in conclusione va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. Si da atto della sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 13, comma 1 quater, del DPR numero 115 del 2002 introdotto dall'articolo 1, comma 17, della L. numero 228 del 2012 per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese giudiziali liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi oltre accessori di legge che attribuisce all'avvocato Salvatore Corbello anticipatario. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del DPR numero 115 del 2002 introdotto dall'articolo 1, comma 17, della L. numero 228 del 2012 si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.