Sulla competenza in materia di permessi di colloqui

I provvedimenti in materia di colloqui, sia visivi che telefonici, di soggetti ristretti in carcere in forza di un titolo cautelare, hanno natura giurisdizionale e non amministrativa, in quanto incidenti su situazioni di diritto soggettivo riconosciute anche in ambito penitenziario, comprimibili solo in presenza di specifiche e motivate esigenze di sicurezza pubblica o intramuraria, ovvero di ordine processuale.

Così ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 35284/15, depositata il 17 settembre. Il caso. La Corte, con la sentenza in commento, è stata chiamata a decidere su un ricorso presentato avverso un’ordinanza di non luogo a provvedere, per dichiarata incompetenza del GIP di Torino, su un’istanza di revoca dei divieti di colloquio imposti dal PM tra alcuni soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere. Ebbene, il Gip affermava la propria incompetenza, richiamando un orientamento risalente al 2001 Cass. numero 35284/01 , che prevedeva che il giudice, in fase d’indagini, non ha potere di iniziativa e intervento se non nei casi espressamente previsti dal codice di rito. Ciò detto, quindi, non gli è attribuita alcuna competenza in materia di rilascio, nei confronti di soggetto sottoposto a misura cautelare personale applicata su richiesta del pm, dei permessi previsti dall’articolo 30 O.P., attesa peraltro la mancanza di conoscenza, da parte del Gip, circa lo stato delle indagini e le relative esigenze di sicurezza. Natura dei provvedimenti relativi ai permessi. Dissente sul punto il ricorrente che deduce, di contro, che in materia di colloqui, i provvedimenti che incidono su diritti soggettivi della persona detenuta in particolare sulla sua libertà personale e sul diritto alla socialità all’interno del carcere non possono che essere necessariamente suscettibili di tutela giurisdizionale e, dunque, ricorribili per cassazione. Sulla ricorribilità di tali provvedimenti. Ed infatti, la Corte accoglie il ricorso ed afferma il superamento del principio richiamato dall’ordinanza di merito, che prevedeva, in tale materia, analogamente a quanto previsto in caso di trattamenti sanitari del detenuto ai sensi dell’articolo 11,comma 2, O.P. e secondo una suddivisione, non più attuale, delle fasi processuali di cui al codice di rito del 1930, la competenza del pm in fase d’indagini. Invece, richiamando se stessa, la Corte, rammenta che, in tema di permessi di colloqui, stante l’incidenza, dei provvedimenti relativi, su diritti soggettivi riconosciuti anche in ambito penitenziario, ne è stata affermata la natura giurisdizionale. A maggior ragione, se si considera che tali atti possono comportare un inasprimento del grado di afflittività della misura cautelare applicata e che per tali motivi, dunque, non possa che essere prevista la possibilità, per l’imputato, di ricorrere, ai sensi dell’articolo 111, comma 7 Cost., per cassazione. Organo competente a decidere in materia di permessi. Pertanto, sulla scorta dell’indirizzo richiamato, deve affermarsi il logico corollario per cui competente ad emettere provvedimenti in materia di permessi di colloquio, in fase di indagini preliminari, è senza dubbio il Gip, che provvede dopo avere sentito il parere del Pubblico Ministero. Tale principio, peraltro, trova riscontro normativo all’articolo 34, comma 2 ter c.p.p., che disciplina la “ Incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento ”, laddove alla lett. B esclude l’incompatibilità del Gip a tenere l’udienza preliminare o a partecipare al giudizio proprio quando abbia emesso, nel medesimo procedimento, anche provvedimenti relativi ai premessi di colloquio.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 7 maggio – 17 settembre 2015, numero 37834 Presidente Chieffi – Relatore Sandrini Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 30.07.2014 il GIP del Tribunale di Torino ha dichiarato non luogo a provvedere sull'istanza dei difensori di M.P., M. F., V.A., B.N., G.M., H.T., detenuti in esecuzione di ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, di revoca dei divieti di colloquio imposti dal pubblico ministero procedente, ritenendo la competenza esclusiva dell'organo inquirente a provvedere al riguardo nel corso delle indagini preliminari, ai sensi degli articolo 11 e 18 ord.penumero , non essendo il GIP, nella sua veste di giudice ad acta privo di poteri di iniziativa e di intervento al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge come quello contemplato dall'articolo 240 disp.att. cod.proc.penumero , in grado di valutare la sussistenza o meno di esigenze investigative legittimanti il diniego dei colloqui riguardanti gli indagati. 2. Ricorre per cassazione M.P., a mezzo dei difensore, deducendo violazione di legge in relazione agli articolo 11, 18 e 33 ord.penumero , nonché vizio di abnormità dei provvedimento impugnato, rilevando preliminarmente che la natura di provvedimenti incidenti sui diritti soggettivi della persona detenuta, e in particolare sulla sua libertà personale e sul diritto alla socialità all'interno del carcere, di quelli in materia di colloqui, rende le relative decisioni suscettibili di tutela giurisdizionale e, dunque, di ricorso per cassazione deduce, in mancanza di specifiche indicazioni normative, l'appartenenza in via generale al giudice terzo e imparziale del potere di decidere in materia di limitazioni o divieti dei colloqui tra detenuti, invocando un'interpretazione attualizzata dell'articolo 11 comma 2 ord.penumero che parifichi le funzioni dei GIP a quelle del giudice istruttore, e richiamando a sostegno le indicazioni ricavabili dagli articolo 34 comma 2-ter e 104 comma 3 del codice di rito, in tema di incompatibilità del giudice nel senso di escludere dal relativo novero quella ipoteticamente discendente dall'adozione dei provvedimenti relativi ai permessi di colloquio e di individuazione nel GIP dell'organo titolare dei potere di dilazionare i tempi del colloquio dell'indagato col suo difensore nel corso delle indagini preliminari. 3. II Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento, per le ragioni che seguono. 2. Il provvedimento gravato ha richiamato, a supporto della propria decisione, un precedente di questa Corte risalente al 2001 Sez. 4 numero 35284 del 14/06/2001, Rv. 219881 , che aveva affermato il principio per cui, nella fase del procedimento concernente le investigazioni, il GIP non ha potere di intervento o di iniziativa se non nei casi esplicitamente previsti dal codice di rito, e va dunque considerato un giudice ad acta, con la conseguenza che non gli è attribuita alcuna competenza in materia di rilascio, nei confronti dei soggetto sottoposto a misura cautelare personale applicata su richiesta del pubblico ministero, dei permessi previsti dall'articolo 30 ord.penumero , attesa anche la mancanza di conoscenza da parte dei GIP circa lo stato delle indagini e le relative esigenze di sicurezza. 3. Tale orientamento interpretativo la cui esistenza esclude peraltro l'ipotesi, prospettata nel ricorso, di un'abnormità, sotto il profilo dell'estraneità al sistema, dell'ordinanza impugnata , che riguarda una materia - quella dei permessi di uscire dal carcere concedibili, per gravi ragioni, agli imputati - in cui la competenza a provvedere è analogamente strutturata mediante il richiamo del disposto dell'articolo 11 comma 2 ord.penumero modellato sulla diversa, e non più attuale, funzione e suddivisione della fase istruttoria prevista dal codice di rito del 1930, è stato tuttavia superato dalle successive pronunce di questa Corte che, proprio sul tema specifico dei permessi di colloquio, hanno affermato la natura giurisdizionale e non amministrativa dei provvedimenti in materia di colloqui visivi e telefonici dei soggetti ristretti in carcere in forza di un titolo cautelare, in quanto incidenti su situazioni di diritto soggettivo riconosciute anche in ambito penitenziario, comprimibili solo in presenza di specifiche e motivate esigenze di sicurezza pubblica o intramuraria, ovvero di ordine processuale, con conseguente riconoscimento della loro ricorribilità diretta in Cassazione ex articolo 111 comma settimo Cost., in relazione alla loro idoneità a risolversi in un inasprimento del grado di afflittivítà della misura cautelare Sez. 1 numero 26835 del 4/05/2011, Rv. 250801 Sez. 1 numero 47326 del 29/11/2011, Rv. 251419 Sez. 5 numero 8798 del 4/07/2013, Rv. 258823 . Tale indirizzo giurisprudenziale, che presuppone logicamente la competenza dei giudice ad emettere il provvedimento ricorribile per cassazione come effettivamente avvenuto o ritenuto nei casi concretamente esaminati dalla Corte di legittimità , ha di recente condotto all'affermazione esplicita dei principio per cui la competenza a concedere, durante la fase delle indagini preliminari, il permesso di colloquio all'indagato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere spetta al GIP, che provvede dopo aver acquisito il parere dei pubblico ministero Sez. 5 numero 8798 del 4/07/2013, Rv. 258824 . Il principio risulta coerente a un'esegesi costituzionalmente orientata delle norme che disciplinano la materia in esame, in quanto funzionale ad assicurare la tutela giurisdizionale - che è garantita dall'intervento del GIP - con riguardo a tutti i provvedimenti destinati a incidere in senso restrittivo sull'estrinsecazione della libertà personale dell'indagato nel corso delle indagini preliminari, e trova del resto un riconoscimento normativo di natura testuale come rilevato dal ricorrente nel disposto dell'articolo 34, comma 2-ter lett. b , cod.proc.penumero , che - nell'escludere, con riferimento ai provvedimenti relativi ai permessi di colloquio previsti dall'articolo 18 ord.penumero , l'operatività della causa di incompatibilità a tenere l'udienza preliminare o a partecipare al giudizio dei giudice che abbia esercitato le funzioni di GIP nel medesimo procedimento, prevista dal precedente comma 2-bis - postula necessariamente che l'emissione di tali provvedimenti sia di competenza dei GIP, e non dei pubblico ministero. Non sussiste pertanto alcuna ragione ostativa dell'estensione alla materia dei permessi di colloquio della previsione di adeguamento all'attuale sistema processuale delle competenze originariamente sancite dall'articolo 11 comma 2 ord.penumero - mediante attribuzione dei relativo potere ai giudice che procede e, prima dell'esercizio dell'azione penale, al GIP - contenuta nell'articolo 240 disp.att. cod.proc.penumero con riguardo ai provvedimenti in tema dì trattamento sanitario dell'indagato detenuto ciò non incide, dei resto, sulla funzione di giudice ad acta che resta assegnata al GIP nel sistema normativo delineato dal vigente codice di rito, trattandosi pur sempre di una competenza specifica individuata con riferimento a una determinata e ben delimitata categoria di atti, mentre l'apporto delle necessarie conoscenze sulla compatibilità del provvedimento che il GIP è chiamato ad adottare con le esigenze delle indagini in corso è comunque assicurato dall'acquisizione dei parere preventivo del pubblico ministero, che rimane il dominus della conduzione della fase investigativa. 4. Va pertanto affermato il potere dei GIP di pronunciare sull'istanza del ricorrente di revoca del divieto di colloqui imposto a suo carico dal pubblico ministero il provvedimento impugnato va di conseguenza annullato con rinvio per nuovo esame al GIP del Tribunale di Torino. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al GIP dei Tribunale di Torino.