La demolizione della veranda abusiva non estingue il reato edilizio

La formulazione dell’articolo 181, comma 1-quinquies, d.lgs. numero 42/2004, è chiara la demolizione del manufatto abusivo estingue solo la contravvenzione paesaggistica. La rimessione in pristino non produce alcun effetto rispetto alle violazioni urbanistiche.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 10245, depositata il 5 marzo 2013. Una costruzione abusiva nel centro storico. Una donna realizza «una veranda antistante un esistente fabbricato ricadente nel centro storico». Ma senza alcuna autorizzazione del competente ufficio tecnico e senza nessuna comunicazione di esecuzione dei lavori di opere in conglomerato cementizio armato. Viene per questo condannata in base alle norme prevista dal d.P.R. numero 380/2001, recante disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. La rimessione in pristino comporta l’estinzione del reato? La condannata, riconosciuta colpevole nei primi due gradi di giudizio, lamenta davanti alla Corte di Cassazione il mancato riconoscimento dell’estinzione del reato. Poiché aveva provveduto alla demolizione dell’opera, ritiene che si sarebbe dovuto applicare l’articolo 181, comma 1-quinquies, d. lgs. numero 42/2004, che, nel caso di rimessione in pristino delle aree o degli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico, prevede l’estinzione del reato - previsto dall’articolo 44, lett. c , d.P.R. numero 380/2001 - di interventi edilizi effettuati senza permesso in zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico o ambientale, La demolizione del manufatto abusivo non estingue i reati edilizi. La Corte rileva che correttamente tale norma non è stata applicata, poiché, stando alla sua lettera, è chiaro che non può portare all’estinzione dei reati di violazioni urbanistiche, ma solo all’estinzione della contravvenzione paesaggistica. L’estinzione dei reati edilizi è sempre stata esclusa dalla giurisprudenza di legittimità. C’è stata una disposizione che prevedeva tale estinzione, l’articolo 8-quater, legge numero 298/1985. Ma tale norma valeva solo per quelle opere abusive che erano state demolite prima dell’entrata in vigore della norma stessa. Peraltro l’imputata ha solo dichiarato, e non dimostrato, l’avvenuta demolizione. La demolizione può essere valutata per altri fini. In generale la Corte ritiene che, anche se non può essere considerata ai fini estintivi del reato, la demolizione dell’opera abusiva «possa essere comunque valutata ai fini della determinazione della pena, della mancanza di un danno penalmente rilevante e della buona fede dell’imputato».

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 gennaio – 5 marzo 2013, numero 10245 Presidente Fiale – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 12/01/2012 la Corte d'Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Tropea di condanna di G.M.R. per i reati di cui all'articolo 44 del D.p.r. numero 380 del 2001, 94 e 95 del D.p.r. numero 380 del 2001 e 71 e 72 del D.p.r. numero 380 del 2001 in relazione alla realizzazione di una veranda antistante un esistente fabbricato ricadente nel centro storico. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputata lamentando con un unico motivo la violazione di legge per mancata dichiarazione di estinzione del reato per effetto, ex articolo 181, comma 1 quinquies, I. numero 308 del 2004, dell'intervenuta demolizione delle opere abusive, effettuate dall'imputata stessa censura in proposito l'affermazione della Corte territoriale circa l'inapplicabilità di tale previsione alle violazioni urbanistiche ed edilizie. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Anche a prescindere dal fatto che dalla sentenza di primo grado non risulta accertata l'effettuata demolizione da parte dell'imputata, da questa solo comunicata ma mai verificata, è comunque pregiudiziale il fatto, già correttamente posto in evidenza dalla Corte territoriale, che la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, pur se accompagnata dalla successiva demolizione del manufatto abusivo, non estingue il reato edilizio ma, esclusivamente, la contravvenzione paesaggistica prevista dall'articolo 181, comma 1, D. Lgs. 22 gennaio 2004, numero 42 tra le altre, Sez. 3, numero 25026 del 12/05/2011, Stefano, Rv. 250675 Sez. 3, numero 19317 del 27/04/2011, P,G. in proc. Medici e altro, Rv. 250341 sez. 3 numero 17535 del 07/05/2010, Medina, Rv. 247167 sez. 3, numero 17078 del 18/05/2006, numero 17078, Vigo, Rv. 234323 . La chiara formulazione dell'articolo 181, comma 1 quinquies, del D.Lgs cit., riferito al reato di cui al comma 1 ovvero al reato paesaggistico , porta infatti ad escludere che la spontanea riduzione in pristino possa produrre effetti anche con riferimento alle violazioni urbanistiche eventualmente concorrenti e del resto, la irrilevanza della demolizione dell'immobile abusivo, spontanea o indotta da specifico provvedimento ai fini della estinzione del reato urbanistico è stata sempre esclusa dalla giurisprudenza di questa Corte. L'efficacia estintiva della demolizione è stata infatti invocata in più occasioni richiamando il disposto della L. 21 giugno 1985, numero 298, articolo 8 quater, di conversione del D.L. 13 aprile 1985, numero 146 che, testualmente, prevede che non sono perseguibili in qualunque sede coloro che abbiano demolito o eliminato le opere abusive entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto , essendosi tuttavia precisato, a tal proposito, che detta disposizione è testualmente riferita e limitata sotto il profilo temporale, alle demolizioni di opere abusive eseguite entro la data di entrata in vigore 7 luglio 1985 della stessa legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale numero 146 del 22.6.1985 vedasi anche Corte Cost. numero 167 del 29/03/1989 . Ciò non toglie, peraltro, che la demolizione spontanea, pur non producendo effetti estintivi, possa essere comunque valutata ai fini della determinazione della pena, della mancanza di un danno penalmente rilevante e della buona fede dell'imputato sez. 3^ numero 35008, 18 settembre 2007 . 4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, l'inammissibilità del ricorso preclude il rilievo delle cause di non punibilità, ivi compresa l'estinzione del reato per prescrizione, maturata successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, essendo detto ricorso inidoneo ad instaurare validamente il rapporto di impugnazione per tutte, Sez. U., numero 32 del 22/11/2000, De Luca . 5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del grado, e della somma indicata in dispositivo, ritenuta equa, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'articolo 616 c.p.p P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.