La contestazione per rimborsi spese non dovuti non è tempestiva, recesso illegittimo

La contestazione di addebito riguardante rimborsi spese ottenuti e non dovuti, perché estranei all’attività lavorativa, deve essere tempestiva l’attività di indagine non è di complessità tale da richiedere un notevole lasso di tempo. Specialmente ove la natura delle spese da rimborsare emerga dagli stessi documenti giustificativi consegnati dal lavoratore. La mancata osservanza del principio di immediatezza determina l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato.

Così ha affermato la Corte di Cassazione, sezione lavoro numero 16471, pubblicata il 27 settembre 2012. Licenziamento per giusta causa rimborsi non dovuti. Un lavoratore veniva licenziato poiché il datore, a seguito di verifiche sulle spese rimborsate per motivi di lavoro pernottamenti e pasti , si avvedeva che tali voci di spesa non potevano ricondursi alla sfera lavorativa ma personale. Impugnava il licenziamento il lavoratore ma il Tribunale respingeva il ricorso. Proposto appello, la Corte accoglieva il gravame e annullava il licenziamento, ordinava la reintegrazione del lavoratore nel proprio posto e condannava l’azienda al pagamento del risarcimento danni ai sensi dell’articolo 18 L. 300/70 e delle spettanze retributive dovute. Sosteneva la Corte di merito che gli addebiti contestati nell’anno 2005, riguardanti spese sostenute nel corso degli anni 2003 e 2004 fossero tardivi, in violazione al principio di immediatezza della contestazione d’addebito. Le ulteriori mancanze, riferite a poche settimane dell’anno 2005 non erano idonee a giustificare un provvedimento espulsivo, da ritenersi sanzione sproporzionata rispetto alla mancanza commessa. Ricorreva così in Cassazione il datore di lavoro, proponendo due motivi di censura. La contestazione degli addebiti deve essere tempestiva Afferma l’azienda ricorrente che la contestazione doveva ritenersi tempestiva, in quanto le anomalie nelle richieste di rimborso erano emerse soltanto nell’anno 2005, a seguito di verifiche a campione effettuate i tale periodo, estese anche agli anni precedenti in conseguenza dell’accertata infondatezza delle richieste di rimborso per il periodo temporale più ravvicinato. Avuta la contezza della irregolarità dei rimborsi erogati, si era proceduto immediatamente alla contestazione disciplinare. La Corte di cassazione censura tale assunto, in quanto la riconducibilità o meno all’attività lavorativa delle spese da rimborsare al lavoratore emergeva con certezza dagli stessi documenti giustificativi. Il principio dell’immediatezza della contestazione, previsto dall’articolo 7 della L. 300/1970, mira ad assicurare concretamente il diritto di difesa del lavoratore incolpato e d’altro canto, ove dal datore di lavoro non provenga alcuna tempestiva contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore di lavoro in merito alla rinuncia all’esercizio del facoltativo potere disciplinare. e a nulla rileva l’organizzazione interna del datore di lavoro. Una relativa deroga al principio di immediatezza si ha nel consentire che la contestazione avvenga dopo un certo lasso di tempo, allorquando le indagini per accertare con sicurezza l’addebito da contestare siano particolarmente complesse o lunghe. Nel caso specifico la natura delle spese rimborsate pernottamenti e pasti in giornate di fine settimana emergeva senza dubbio alcuno dai documenti giustificativi presentati dal lavoratore. E dunque non andava svolta alcuna indagine particolare. Né, sostiene la Suprema Corte, può avere rilevanza nel giustificare i ritardo nella contestazione, la struttura organizzativa interna dell’azienda. La Corte d’Appello, nella sentenza impugnata, svolge logica e articolata motivazione sulla valutazione fatta circa la tardività della contestazione d’addebito. E tale valutazione, logicamente corretta, costituisce giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità. Spetta al giudice di merito valutare la proporzionalità della sanzione adottata. Il secondo motivo di censura riguarda la valutazione effettuata dalla Corte di merito circa la proporzionalità del provvedimento disciplinare adottato in relazione all’addebito contestato. Il giudizio sulla proporzionalità o adeguatezza della sanzione irrogata a seguito di illecito, consiste nel valutare la gravità dell’inadempimento contestato al lavoratore, in relazione al caso concreto, al contesto in cui è avvenuto, alle circostanze del caso, relazionandolo al principio generale della “non scarsa importanza” di cui all’articolo 1455 c.c. Il licenziamento, massima sanzione disciplinare, appare giustificato soltanto in presenza un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali. Tale giudizio spetta al giudice di merito e sarà insindacabile in sede di legittimità, ove correttamente motivato. Nel caso specifico la Corte di merito ha specificamente esposto le ragioni secondo cui la sanzione espulsiva debba ritenersi sproporzionata, applicando in modo corretto e coerente i principi di diritto in tema di valutazione dell’addebito contestato, quale il riferimento al concetto di “coscienza generale”. La valutazione compiuta dal giudice di merito in tal senso sarà censurabile in sede di legittimità soltanto se la doglianza non si limiti a contestazione generica sul punto, ma contenga specifica denuncia di non coerenza del giudizio apportato rispetto ai criteri standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 luglio – 27 settembre 2012, numero 16471 Presidente Stile – Relatore Arienzo Svolgimento del processo Con sentenza del 17.12.2007, la Corte di Appello di Torino, in accoglimento del gravame proposto da L.D. , funzionario di vendita della S.r.f. Rockwell Automation, operante nel settore del trattamento delle acque ed ecologia, annullava il licenziamento intimato al lavoratore in data 11.7.2005 - in relazione alla contestata indicazione, nelle note spese presentate per il rimborso, di pernottamenti e pasti sistematicamente fruiti dal venerdì sera e durante il week end nonché durante le festività pasquali del 2005 in località di mare e alla reiterata presentazione per il rimborso di scontrini visibilmente contraffatti relativi all'acquisto di sigarette, che denotavano spese sostenute a titolo personale senza alcun collegamento con l'attività lavorativa - e, per l'effetto, condannava la società appellata a reintegrare il predetto nel posto di lavoro ed a corrispondergli l'indennità di cui all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, oltre che alla regolarizzazione previdenziale e contributiva. Rilevava la Corte territoriale che, quanto agli addebiti riferiti agli anni 2003 e 2004, fosse da condividere l'eccezione di tardività della contestazione, dovendo l'immediatezza della stessa ritenersi elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro e, pur valutato tale requisito in senso relativo, essendo il tipo di illecito contestato tale da non richiedere alcuna indagine complessa, posto che la non rimborsabilità delle spese emergeva dai documenti rassegnati dallo stesso lavoratore. Osservava che la complessità dell'organizzazione aziendale non aveva nella specie alcuna rilevanza, a fronte dell'interesse del lavoratore a poter in tempo fornire valide spiegazioni in ordine alla richiesta di rimborsi e che l'azienda, nell'esercizio del suo insindacabile potere organizzativo, aveva adottato una modalità di controllo trasmissione dei riepiloghi con le ricevute allegate, per i controlli a campione, alla sede di omissis incompatibile con l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici. Quanto agli addebiti riferiti al periodo 1.1.2005-7.5.2005, riteneva la non proporzionalità della sanzione espulsiva agli illeciti commessi, in quanto parte delle spese era stata dimostrata, quanto alla sua correlazione con l'attività lavorativa, e sosteneva che anche l'intensità dell'elemento psicologico andasse ridimensionata, avendo il dipendente provato di avere richiesto l'autorizzazione a pernottare fuori sede in alcuni casi ed avendo il superiore gerarchico sempre rilevato la congruità delle spese e mai anomalie nei riepiloghi mensili del L. . Peraltro, quest'ultimo - aggiungeva la Corte di Torino - aveva sempre ricevuto apprezzamenti per la qualità del lavoro prestato, senza che a suo carico esistessero precedenti disciplinari. Non poteva poi, sempre secondo la Corte, ritenersi che i pernottamenti nei week end fossero necessariamente sintomo di comportamento truffaldino, poiché gli stessi risultavano dalle ricevute prodotte dal lavoratore, il quale non aveva realizzato alcun artificio, né rappresentato una situazione difforme da quella reale, laddove, per gli scontrini asseritamente contraffatti, riferiti ad importi affatto esigui, era verosimile che fossero stati allegati per errore, non avendo il L. tentato al riguardo impossibili difese e non avendo fornito spiegazioni al riguardo nella lettera contenente le giustificazioni. Per la cassazione di tale pronunzia ricorre la società, con due motivi. Resiste, con controricorso, il L. . Motivi della decisione Con il primo motivo, la società ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli articolo 41 Cost., 7 della legge 300/70, 2104, 2106 e 2119 c.c. e dell'articolo 25 c.c.numero l. metalmeccanici, ai sensi dell'articolo 360, numero 3, c.p.c., in relazione alla ritenuta tardività della parte degli addebiti relativi agli anni 2003-2004, assumendo che solo nel corso di controlli a campione effettuati dalla casa madre nel maggio 2005 erano state riscontrate anomalie relative alle note spese presentate a rimborso per l'anno 2005 e che in tale occasione si era pertanto provveduto ad estendere la verifica anche alle note spese relative agli anni precedenti, venuti a conoscenza delle quali, si era immediatamente proceduto alla contestazione disciplinare. Rileva, poi, la ricorrente una contraddizione logica nell'affermazione della Corte, laddove prima aveva dichiarato l'insindacabilità delle modalità organizzative e poi aveva collegato a quelle adottate in concreto la decadenza dal potere di elevare contestazioni disciplinari. Ribadisce il carattere relativo del criterio dell'immediatezza e la necessità di riferirsi, ai fini della valutazione del rispetto del requisito della tempestività della contestazione, al momento in cui l'azienda ha conosciuto effettivamente i fatti e non a quello in cui avrebbe dovuto conoscerli. Evidenzia, peraltro, che, se anche il trascorrere del tempo poteva arrecare un pregiudizio al lavoratore per le difese relative alla correlazione delle spese sostenute per i pernottamenti poste a rimborso con l'attività lavorativa, non altrettanto era a dirsi per il rimborso delle spese per le sigarette, essendo stato praticato un foro ad hoc sugli scontrini in corrispondenza della relativa voce di spesa. Con quesito formulato ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., domanda se le norme richiamate possano interpretarsi nel senso che impongano l'onere di predisporre meccanismi di controllo delle condotte dei dipendenti che consentano di accertare le condotte truffaldine e/o inadempienti dei lavoratori in tempo reale, a pena di decadenza dal potere di contestazione e sanzione della condotta e se debbano considerarsi irrilevanti ai fini disciplinari condotte risalenti nel tempo ma apprese in occasione della contestazioni di altre identiche conosciute in epoca immediatamente prossima alla contestazione, a causa della complessità dell'organizzazione aziendale. Con il secondo motivo, la società si duole della violazione e falsa applicazione degli articolo 7 della l. 300/70, degli articolo 2110, 2105, 2106 e 2119 c.c. e dell'articolo 25 CCNL metalmeccanici, nonché dell'insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione agli addebiti relativi alle infrazioni commesse nel 2005, evidenziando che era necessaria l'autorizzazione a pernottare da parte dei superiori e che era irrilevante che in tre occasioni il L. avesse dimostrato di avere lavorato nel corso della giornata. Rileva il vizio logico della motivazione, per avere la Corte territoriale valorizzato la congruità delle spese, laddove altro è l'inerenza della spesa ad esigenze di lavoro, e l'irrilevanza dell'assenza di precedenti contestazioni disciplinari e dell'esiguità dell'importo di spese per sigarette, della mancanza di spiegazioni da parte del L. , oltre che la mancata considerazione della effettuazione di un foro sullo scontrino proprio in corrispondenza della voce sigarette. Il ricorso è infondato. Quanto al primo motivo deve rilevarsi, pur prescindendosi dalla genericità della formulazione dei quesiti, non riferiti alla erronea applicazione al caso esaminato delle norme richiamate, ma in modo astratto all'interpretazione delle stesse, che, in materia di licenziamento disciplinare, il principio dell'immediatezza della contestazione, che trova fondamento nell'articolo 7, terzo e quarto comma, legge 20 maggio 1970, numero 300, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall'altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento dei prestatore - in relazione al carattere facoltativo dell'esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede - sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, con la conseguenza che, ove la contestazione sia tardiva, si realizza una preclusione all'esercizio del relativo potere e l'invalidità della sanzione irrogata. Né può ritenersi che l'applicazione in senso relativo del principio di immediatezza possa svuotare di efficacia il principio medesimo, dovendosi reputare che, tra l'interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini in assenza di una obbiettiva ragione e il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, prevalga la posizione di quest'ultimo, tutelata ex lege , senza che abbia valore giustificativo, a tale fine, la complessità dell'organizzazione aziendale cfr., in tali termini, Cass. 8.6.2009 numero 13167 . Nella specie, pur avendo valutato tale ultima circostanza in termini negativi per la società, la Corte ha preliminarmente anche osservato che il tipo di illecito contestato non richiedeva alcuna indagine complessa o accurata, posto che la non rimborsabilità delle spese emergeva dai documenti rassegnati dallo stesso lavoratore , osservando che quindi la complessità dell'organizzazione aziendale non ha nella specie alcuna rilevanza , il che sminuisce la portata dell'ulteriore osservazione circa le modalità organizzative dell'azienda alla stessa addebitabili in quanto aventi una ricaduta in termini di intempestività della contestazione disciplinare. Ciò che vale anche a denotare la mancanza di contraddittorietà della motivazione denunziata, se è vero che si tratta all'evidenza di tempi tali da non poter essere giustificati in alcun modo in relazione all'illecito denunziato e che violano palesemente il principio di immediatezza sotteso all'articolo 7 Stat. Lav. ed i principi di civiltà giuridica che tali norme ispirano. La pretesa complessità dell'organizzazione aziendale e la difficoltà di coordinamento tra organi aziendali non possono farsi ricadere a danno del lavoratore incolpato e pregiudicare la tutela dei suoi diritti fondamentali, quali la immediata conoscenza dei fatti addebitati e delle sanzioni irrogate cfr. Cass. 9.5.2008 numero 10547, che richiama quanto indicato in motivazione in precedente numero 5947/2001, in relazione al principio ivi affermato secondo cui, mentre la contestazione disciplinare deve avvenire in ogni caso a immediato ridosso dell'infrazione - ovvero della notizia che di essa abbia avuto il datore di lavoro -, l'irrogazione della successiva sanzione può avvenire anche a distanza di tempo sempre nel rispetto del principio della buona fede contrattuale . Sotto altro versante, vale poi osservare che la valutazione della tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato cfr. Cass. 8.3.2010 numero 5546 Nella specie, esclusi, per quanto detto, i denunciati profili di contraddittorietà della motivazione, deve ritenersi che la sentenza abbia fornito una motivazione conforme ai principi richiamati applicabili in materia e che la stessa risulti sorretta da un iter argomentativo congruo e privo di salti logici, ribadendosi che resta riservato al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatato che in concreto giustifichi meno il ritardo cfr. Cass. 1.7.2010 numero 15649 . Con riguardo alla seconda censura, sostanzialmente intesa a rilevare la violazione del criterio della proporzionalità da parte del giudice del merito, per non avere lo stesso adeguatamente considerato elementi di sicura rilevanza ai detti fini e valorizzato, invece, - per escludere la gravità dell'illecito e l'intensità dell'elemento psicologico - circostanze asseritamente di scarsa significatività, la sua prospettazione risulta tale da devolvere alla Corte questioni non esaminabili nella sede di legittimità. È stato al riguardo precisato Cass., numero 25743 del 2007 che il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell'illecito commesso - istituzionalmente rimesso al giudice di merito - si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della non scarsa importanza di cui all'articolo 1455 c.c., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali L. numero 604 del 1966, articolo 3 ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto articolo l'2119 c.c. . Tale giudizio è rimesso al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata motivazione, dovendo ritenersi Cass. numero 21965 del 2007 che spetta al giudice di merito procedere alla valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata al lavoratore con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non è rinnovabile in sede di legittimità, bensì censurabile per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione cfr., altresì, ex plurimis, Cass. numero 6823 del 2004 . In tema di ambito dell'apprezzamento riservato al giudice del merito, è stato condivisibilmente affermato cfr. fra le altre, Cass. numero 8254 del 2004 che la giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto, è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una disposizione ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali di limitato contenuto, delineante un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici. A sua volta, Cass. numero 9266 del 2005 ha ulteriormente precisato che l'attività di integrazione del precetto normativo di cui all'articolo 2119 c.c., norma c.d. elastica compiuta dal giudice di merito - ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento - mediante riferimento alla coscienza generale , è sindacabile in cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards , conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale cfr. in tali termini, da ultimo, Cass. 26.4.2012 numero 6498, conf. a Cass 5095/2011, nonché Cass. 9299/2004 . Una denunzia di tal genere non è contenuta nel motivo di ricorso, vertendo, piuttosto, la doglianza sulla prospettazione di una diversa ricostruzione e valutazione delle circostanze di fatto emerse in istruttoria, senza che si evidenzino vizi logici o elementi di contraddittorietà aventi carattere di decisività ai fini di una diversa soluzione della controversia, sicché il motivo di ricorso va disatteso per la sua inidoneità a determinare la necessità di un nuovo esame dei fatti alla luce di criteri logico giuridici, che nella specie risultano già correttamente applicati e posti in maniera coerente a sostegno della decisione oggetto di impugnazione. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese del presente giudizio, nella misura determinata in dispositivo, seguono la soccombenza della società. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 3000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA.