il Giudice ha, semmai, l’obbligo di fornire specifica motivazione in ordine al mancato esercizio dei poteri di integrazione probatoria e non in ordine al suo esercizio.
Un imputato ricorreva avverso la sentenza d’appello di un tribunale locale, che lo aveva condannato per aver questi omesso ogni cautela nella custodia di un proprio animale domestico, poi sfuggito alla sorveglianza e causa di lesioni ad un minorenne persona offesa. In particolare, il ricorrente contestava l’assunzione testimoniale del minorenne disposta d’ufficio ex articolo 507 c.p., perché acquisita successivamente al decorso delle preclusioni processuali a carico delle parti in tema di prova, e nel merito censurava lo stesso giudizio di negligenza e non curanza mosso dai giudici nei confronti dell’imputato nella cura e nella gestione dell’animale di proprietà. La Cassazione, Quarta sezione Penale, numero 43018 depositata il 22 novembre 2011, nel confermare la sentenza appellata così precisava «il Giudice ha, semmai, l’obbligo di fornire specifica motivazione in ordine al mancato esercizio dei poteri di integrazione probatoria, di cui all’articolo 507 cod. proc. penumero , e non in ordine al suo esercizio e l’assenza di una adeguata motivazione, relativamente al mancato esercizio di suddetti poteri – censurabile in sede di legittimità – determina, secondo il condivisibile e più recente indirizzo interpretativo di questa Corte, una violazione di legge da cui deriva la nullità della sentenza. Il Giudice può esercitare il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova ex articolo 507 Cod. proc. penumero , anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto». Il giudice del dibattimento dispone di poteri d’integrazione probatoria. L’articolo che disciplina l’ammissione di nuove prove articolo 507 c.p.p. è norma di chiusura dell’intero sistema dibattimentale che governa le acquisizioni probatorie. In quanto tale, siccome subordinata alla necessità, avvertita dal giudice, di integrare quanto acquisito sul fatto e ritenuto non bastevole per completare il quadro delle responsabilità penali, si pongono evidenti punti critici di concordia con la sequela di termini e preclusioni a cui le parti soggiacciono. La genericità dell’assoluta necessità – formula di legge solo in apparenza sistematicamente inoffensiva -, appartiene ad un registro di elaborazione del materiale istruttorio acquisito che stride con la rigidità del gioco delle preclusioni processuali. Per cui il punto toccato in sentenza in realtà costituisce un revival destinato a calcare con frequenza le aule dibattimentali, non certo destinato a sopirsi pur con il consolidarsi dell’orientamento processuale in commento – sulla scorta di una connivente Corte Costituzionale -. In pratica, il messaggio che la sentenza trasmette è quello di un giudice non solo ordinatore in quanto selezionatore di quanto far introdurre nella platea probatoria perché rilevante ai sensi dell’articolo 190 cod. cit., è anche quello di un giudice che spariglia le carte di quanto già acquisito in quanto, con delle incursioni definibili in alcuni casi veri e propri coup de theatre , utilizza la chiave dell’ammissione di nuove prove art, 507 c.p.p. per scardinare la severità delle decadenze processuali a carico delle parti, con fare incensurabile siccome svincolato da qualsiasi ragione di opportunità processuale. Si assiste ad una reminiscenza del vecchio giudice paterno ed inquisitore se ritiene una prova – o un mezzo di ricerca della prova, secondo l’interpretazione ancora più estensiva dell’articolo cit. – assolutamente necessaria per definire una responsabilità penale, agisce senza preclusioni, quando già la discovery probatoria è maturata e quando già le parti processuali costituite hanno mirato a determinati elementi di fatto da provare o da confutare, ignari di quel successivo intervento riparatore del giudice del dibattimento. Non sorprenda allora il ricorso dell’imputato, la prova acquisita ex articolo 507 cod. cit. dal giudice impugnato era la sola in grado di raccontare il fatto di reato nella sua più immediata consistenza, eppur a tale rilevanza la pubblica accusa, o la parte civile costituita, non aveva mostrato interesse quando aveva presentato al dibattimento la sua strategia probatoria. Giunge il dubbio, che al tempo della sentenza di primo grado il minorenne, ai sensi dell’articolo 120 cod. cit., non avesse superato il limite di età tale per poter testimoniare ad un processo penale, per cui a mezzo dei suoi poteri d’ufficio il giudice ha recuperato, decorso il tempo, quanto prima ex lege non poteva essere acquisito. La Cassazione si spinge oltre . Il sistema delle preclusioni processuali recupererebbe credibilità nel punto in cui qualunque sia la scelta del giudicante di utilizzare – o non utilizzare - lo strumento ex articolo 507 c.p.p., dovesse soccorrere sul punto un impianto motivazionale in grado di resistere all’urto delle censure movibili di fronte al giudice di legittimità, pena la nullità della sentenza. L’ostacolo all’abuso di siffatti poteri starebbe nelle corde di una sequela processuale certamente meno severa perché soggetta alle incursioni di un giudice ondivago svincolato dalle preclusioni gravanti sulle parti processuali, ciò nonostante comunque obbligato a dare conto dello scostamento con motivazione logica e sostenibile. Invece, la Cassazione si spinge oltre e ferma l’insindacabilità dell’utilizzo di siffatti poteri che è ragione di fatto ed in quanto tale nemmeno censurabile per legittimità il giudice deve motivare in caso di mancato utilizzo della facoltà, pena una sentenza nulla. La facoltà di integrazione probatoria diviene obbligo e muta forma, diviene la terza gamba di un processo che nelle illuminate intenzioni del più moderno legislatore avrebbe dovuto essere guidato per mano dalla dialettica delle parti opposte, con un giudice osservatore, giudicante e non coinvolta parte in causa. .la soluzione sta nel codice. Paradossalmente – e si tratta di un forte argomento sistematico - il giudice della cognizione penale tornerebbe alla mitezza di un ruolo solo ordinatore quando chiamato alla integrazione probatoria in sede d’appello ex articolo 603 c.p.p. rinnovazione dell'istruzione dibattimentale , la cui interpretazione consolidata, nonostante possieda lo stesso tenore espressivo dell’articolo 507 cod. cit., sta nel consentire interventi giudiziali minimali non tali da superare il principio dispositivo che governerebbe l’acquisizione probatoria nel processo penale. Ma nel giudizio d’appello, il quadro probatorio è fermo e sopito nelle sue risultanze, nei giudizi di primo grado il magmatismo dei dati istruttori incerti legittimerebbe un giudice riparatore o supplente, ragion per cui l’articolo 507 cod. cit. costituirebbe l’arma impropria per tappare le falle di un quadro probatorio lacunoso. Eppure l’investitura costituzionale del principio dispositivo in materia di acquisizione probatoria andrebbe applicato con più incisività, invece che essere relegato a suppellettile di lusso nell’angolino di un processo ancora nutrito dai suoi vizi inquisitori storici.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 12 ottobre – 22 novembre 2011, numero 43018 Presidente Morgigni - Relatore Romis Ritenuto in fatto Il Giudice di Pace di Mussomeli condannava P.G. alla pena ritenuta di giustizia - oltre al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili - per il reato di lesioni personali colpose addebitato all'imputato con la seguente contestazione “perché con colpa consistita nell'omessa doverosa custodia di animali, aveva cagionato a L.M.A. lesioni personali in particolare, omettendo di apporre la prevista museruola, il cane di sua proprietà aveva addentato L.M.A. causandogli lesioni personali consistite in ferita lacero contusa all'avambraccio destro, giudicate guaribili in gg. Dodici”. Proponeva appello l'imputato lamentando la nullità dell'assunzione della testimonianza della persona offesa L.M.A. , sulla cui ammissione non vi era stata pronuncia sosteneva altresì che, valutando coerenti le dichiarazioni accusatorie rese dalle persona offesa, il Giudice di prime cure non aveva in alcun modo tenuto conto dell'interesse personale della persona offesa. Il Tribunale di Caltanissetta confermava l'impugnata decisione e, in risposta alle deduzioni dell'appellante, osservava quanto segue a secondo la giurisprudenza di legittimità cfr. Cass. numero 2424 del 06/11/2009 l'assunzione di una prova testimoniale disposta dal giudice ex officio in un momento diverso dal termine dell'acquisizione delle prove indicato dall'articolo 507 cod. proc. penumero costituisce una mera irregolarità e non comporta alcuna sanzione di nullità o di inutilizzabilità, in difetto di un'espressa previsione normativa tanto più che nessun rilievo in ordine a tale assunzione era stato mosso dal difensore dell'imputato all'udienza del 28 settembre 2008, nella quale era stata sentita la persona offesa dal reato L.M.A. b quanto alle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, esse apparivano dettagliate e coerenti, così da non palesare alcuna contraddizione o incoerenza tale da indurre a dubitare della sua attendibilità complessiva dette dichiarazioni non apparivano alterate da sentimenti di astio nei confronti dell'imputato né il cattivo ricordo in ordine ad alcuni particolari sullo stato dei luoghi può inficiare la complessiva credibilità del L.M.A. peraltro, le dichiarazioni della persona offesa risultavano corroborate da tutti gli ulteriori elementi istruttori ed in particolare dalle dichiarazioni della madre del minore che aveva prestato soccorso al figlio subito dopo l'accaduto nonché dai certificati medici prodotti dal P.M. c quanto all'elemento soggettivo del reato, la colpa, lungi dall'essere presunta, era desumibile - nella fattispecie - dalla catena di una lunghezza non adeguata al contenimento del cane all'interno della proprietà privata, dal mancato controllo della costante chiusura del cancello e dalla mancata utilizzazione di museruola, a nulla valendo l'assenza del proprietario dai luoghi per ragioni di lavoro anzi, proprio in ragione dell'assenza, l'imputato avrebbe dovuto predisporre le misure più idonee ad impedire gli eventi del tipo di quelli poi realizzatisi. Ricorre per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, deducendo violazione di legge e vizio motivazionale con formulazioni che sostanzialmente ripropongono le tesi difensive già sottoposte ai giudici del merito avrebbe errato il giudice di seconda istanza - a fronte dell'eccezione procedurale sollevata dalla difesa con i motivi di appello - nel ritenere rituale ed utilizzabile la testimonianza del minore, ed avrebbe altresì errato nel valutare come credibili le dichiarazioni da questi rese, posto che altre testi avevano riferito sull'idoneità delle cautele adottate per evitare che il cane potesse uscire dal suo recinto si sostiene ancora con il ricorso che il cane era stato lasciato in custodia alla moglie dell'imputato, per cui al più l'accaduto avrebbe dovuto essere addebitato alla medesima. Considerato in diritto Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate. Per quel che riguarda il primo motivo di ricorso, è sufficiente richiamare, a dimostrazione dell'infondatezza dello stesso, il principio condivisibilmente enunciato da questa Corte secondo cui la persona offesa dal reato, titolare del diritto di querela a norma dell'articolo 120 cod. penumero , deve essere individuata nel soggetto titolare dell'interesse direttamente protetto dalla norma penale, interesse la cui lesione, o esposizione a pericolo, costituisce l'essenza dell'illecito In tema di titolarità del diritto di querela, e dunque di individuazione della persona offesa, cui tale diritto compete, deve intendersi tale il soggetto passivo del reato, ossia colui che subisce la lesione dell'interesse penalmente protetto. Possono pertanto coesistere più soggetti passivi di un medesimo reato, che vanno individuati, appunto, con riferimento alla titolarità del bene giuridico protetto. Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto, con riferimento ad una ipotesi di appropriazione indebita di gioielli da parte di un rappresentante, che persona offesa fosse, non solo la società proprietaria dei preziosi, ma anche il procacciatore di affari per conto della predetta società, legittimo possessore dei beni consegnati al rappresentante, e tenuto al risarcimento nei confronti del proprietario [in termini, ex plurimis , Sez. 2, numero 2869 del 27/01/1999 Ud. - dep. 02/03/1999 - Rv. 212766 Imp. Brogi R.]. Nel caso di specie, la persona offesa dal reato era di certo il minore L.M.A. questi era colui il quale aveva subito materialmente la lesione, ed era, dunque, al contempo, anche il soggetto al quale il reato aveva recato danno, ex articolo 74 cod. proc. penumero , come tale legittimato all'azione civile in base allo stesso articolo 74 cod. proc. penumero azione civile esercitata, per effetto dell'incapacità processuale del medesimo minore L.M.A. , dalle persone cui spettava la rappresentanza, ossia i genitori del medesimo minore, ex articolo 90, comma 2, cod. proc. penumero . Dunque, è priva di fondamento la tesi del ricorrente secondo cui il minore L.M. non rivestirebbe in questo procedimento la figura di parte offesa i genitori del minore, costituitisi parte civile in rappresentanza del minore medesimo, sono stati ascoltati come tali ex articolo 208 cod. proc. penumero . Opportunamente il Tribunale ha ricordato l'ambito dei poteri di ufficio del giudice di primo grado al di là della formale evocazione dell'articolo 507 cod. proc. penumero poteri di ufficio che sono stati all'evidenza esercitati dal Giudice di pace, come risulta chiaramente dalla lettura del dispositivo dell'ordinanza assunta dal giudice di pace il 2 marzo 2009 ove è detto che il medesimo Giudice di pace dispone di ufficio la citazione della parte offesa L.M.A. . Sul punto, la doglianza del ricorrente si risolve in una sorta di censura relativa alla mancata indicazione della persona offesa minorenne in qualità di testimone nell'atto di citazione a giudizio orbene, a tutto voler concedere, basta osservare che in tema di istruzione dibattimentale, il giudice ha l'obbligo, a pena di nullità della sentenza, di acquisire anche d'ufficio, in virtù dei poteri conferitigli, ex articolo 507 cod. proc. penumero , i mezzi di prova indispensabili per la decisione, non essendo rimessa alla sua discrezionalità la scelta tra disporre i necessari accertamenti ed il proscioglimento dell'imputato. Pertanto, a differenza di quanto osservato dal ricorrente, il giudice ha, semmai, l'obbligo di fornire specifica motivazione in ordine al mancato esercizio dei poteri di integrazione probatoria, di cui all'articolo 507 succitato, e non in ordine al suo esercizio e l'assenza di una adeguata motivazione, relativamente al mancato esercizio dei poteri di ufficio ex articolo 507 cod. proc. penumero - censurabile in sede di legittimità - determina, secondo il condivisibile e più recente indirizzo interpretativo di questa Corte, una violazione di legge dalla quale deriva la nullità della sentenza In tema di istruzione dibattimentale, il giudice ha l'obbligo, a pena di nullità della sentenza, di acquisire anche d'ufficio, in virtù dei poteri conferitigli, ex articolo 507 cod. proc. penumero , i mezzi di prova indispensabili per la decisione, non essendo rimessa alla sua discrezionalità la scelta tra disporre i necessari accertamenti ed il proscioglimento dell'imputato pertanto, il giudice ha l'obbligo di motivare specificamente in ordine al mancato esercizio dei poteri di integrazione probatoria, di cui all'articolo 507 succitato, e l'assenza di una adeguata motivazione, censurabile in sede di legittimità, determina una violazione di legge dalla quale deriva la nullità della sentenza. in termini, Sez. 5, numero 38674 del 11/10/2005 Ud. - dep. 21/10/2005 - Rv. 232554, P.G. in proc. Tiranti nello stesso senso, Sez. 5, numero 36642 del 20/09/2005 Ud. - dep. 11/10/2005 - Rv. 232377, P.M. in proc. Di Carlantonio . Indirizzo interpretativo che ha poi ricevuto autorevole avallo dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza numero 41281/06 con la quale è stato affermato il principio di diritto così massimato Il giudice può esercitare il potere di disporre d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall'articolo 507 cod. proc. penumero , anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto. La Corte ha affrontato la questione alla luce della nuova formulazione dell'articolo 111 Cost. ed ha ritenuto che condizioni necessarie per l'esercizio di tale potere sono l'assoluta necessità dell'iniziativa del giudice, da correlare a una prova avente carattere di decisività, e il suo essere circoscritto nell'ambito delle prospettazioni delle parti, la cui facoltà di richiedere l'ammissione di nuovi mezzi di prova resta, peraltro, integra ai sensi dell'articolo 495 comma secondo c.p.p. [Sez. U, numero 41281 del 17/10/2006 Ud. - dep. 18/12/2006 - Rv. 234907, P.M. in proc. Greco]. Per quel che concerne il secondo motivo di ricorso, trattasi all'evidenza di denuncia in fatto - in ordine alla ricostruzione della fattispecie - che si risolve sostanzialmente in una generica evocazione di fonti di prova. Ma vi è di più. La prospettazione difensiva si appalesa invero anche giuridicamente inconsistente se raffrontata con quanto precisato da questa stessa Quarta Sezione in tema di lesioni provocate da animali e di responsabilità del soggetto tenuto alla custodia, oltre che di individuazione dei contenuti della colpa, rappresentata dalla mancata adozione delle debite cautele nella custodia dell'animale In tema di omessa custodia di animali, al fine di escludere la colpa, consistente nella mancata adozione delle debite cautele nella custodia, non è sufficiente tenere l'animale in un luogo privato e recintato, ma è necessario che tale luogo sia idoneo a prevenirne la fuga. Nella fattispecie la Corte ha ravvisato la responsabilità dell'imputato che aveva rinchiuso il cane in un cortile da cui l'animale era facilmente scappato per un'apertura nella recinzione, ed aveva provocato un sinistro stradale [Sez. 4, numero 47141 del 09/10/2007 Ud. dep. 20/12/2007 Rv. 238351, imp. lacovella]. Come precisato da questa Corte, in tema di custodia di animali, l'obbligo sorge ogni volta che sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l'animale e una data persona, posto che l'articolo 672 cod. penumero relaziona l'obbligo di non lasciare libero l'animale o di custodirlo con le debite cautele al possesso dell'animale, possesso da intendersi come detenzione anche solo materiale e di fatto senza che sia necessario che sussista una relazione di proprietà in senso civilistico così, Sez. 4,numero 599 del 16/12/1998 Ud. - dep. 18/01/1999 -Rv. 212404, Imp. La Rosa V. . Peraltro è stato altresì puntualizzato nella giurisprudenza di legittimità Sez. 4, numero 7032 del 12/05/1999 Ud. - dep. 03/06/1999 - Rv. 213822 Imp. Mariani che in tema di omessa custodia di animali, tra i destinatali del precetto di cui all'articolo 672 cod. penumero è innanzitutto, anche se non esclusivamente, il proprietario dell'animale pericoloso, il quale non è esonerato da responsabilità in caso di provvisoria assenza, che non implica di per sé né che egli abbia affidato la custodia o trasferito la detenzione ad altri né che questi, assunta tale relazione di fatto con l'animale, a tanto fosse idoneo e capace . Posto che tra i destinatari del precetto di cui all'articolo 672 cod. penumero , come detto, vi è innanzitutto, di sicuro, ancorché non in via esclusiva, il proprietario dell'animale pericoloso, deve riconoscersi in capo allo stesso l'obbligo di adottare le debite cautele di cui all'articolo 672 cod. penumero , quanto alla sua custodia da tale specifico obbligo il proprietario, poi, è esonerato, ove sia cessato, anche temporalmente, il rapporto di detenzione con l'animale, trasferendosi quell'obbligo in capo al nuovo, e provvisorio, detentore, idoneo a provvedere al riguardo, secondo modalità non previamente, concordate ma si è del tutto al di fuori del caso di specie, laddove non può certo addursi - con la prospettazione del ricorrente, in ordine a chi avesse in quel momento la custodia dell'animale, se il ricorrente o la madre - che il rapporto di detenzione del medesimo ricorrente con l'animale si fosse interrotto. Piuttosto - poiché tutto lascia intendere, nel caso di specie, che le modalità di custodia dell'animale fossero del tutto conosciute, comuni, concordate tra il ricorrente e la madre di costui, ma concretamente inidonee - potrebbero ipotizzarsi solo profili di concorsuale responsabilità tra P. e la madre di costui il che non rileva in questa sede di legittimità. Dunque, non ha pregio la deduzione difensiva secondo cui quel giorno il ricorrente si trovava altrove, senza peraltro nemmeno specificare né tantomeno comprovare in che termini e secondo quali modalità il ricorrente avesse provveduto per il provvisorio affidamento ad altri, in sua assenza, dell'animale è sufficiente osservare al riguardo che la provvisoria assenza del proprietario non implica, di per sé, né che egli abbia affidato la custodia o trasferito la detenzione ad altri potrebbe, invero, aver affidato solo il governo dell'animale né che costoro, assunta tale relazione di fatto con l'animale, a tanto fossero idonei e capaci. Del tutto generica al riguardo è l'allegazione del ricorrente. Per altro verso, poi, la sentenza impugnata pure ha dato atto che l'animale ebbe comunque a superare le protezioni stabilite, evidentemente di fatto inidonee a contenere lo stesso in situazione tale da impedire che arrecasse danno ad altri, come poi è avvenuto. E se tali erano le pregresse, predisposte, normali e usuali modalità di detenzione dell'animale, è evidente che anche il mancato approntamento di ostacoli congrui, recintivi da parte dell'imputato, sia che egli fosse in casa sia che ne fosse assente, milita nel senso di ritenere la sua penale responsabilità al riguardo. Sul punto, conclusivamente, non hanno pregio le prospettazioni del ricorrente in punto di idoneità in astratto delle cautele adoperate se poi in concreto tali cautele non si rivelarono adeguate. Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.