Per la caduta della figlia in piscina è colpevole anche il padre disattento

Brutto incidente per una bambina su uno scivolo d’acqua in un centro sportivo. Colpevole il titolare della struttura, obbligato a versare il risarcimento stabilito dai giudici. Evidente, però, anche la corresponsabilità del genitore della bambina.

Brutto incidente in piscina per una bambina. Colpevole anche il padre, mostratosi disattento nell’occasione. Impossibile per lui giustificarsi richiamando il fatto di dover badare in contemporanea ai tre figli piccoli Cassazione, ordinanza numero 13503/21, sez. VI Civile -3, depositata il 18 maggio . Scenario del fattaccio è un complesso sportivo, dotato anche di piscina e di scivoli d’acqua. E proprio nell’utilizzo – irregolare – di uno scivolo una bambina subisce un brutto incidente , riportando la perdita di un dente e la rottura di un altro dente. Inevitabile l’ azione giudiziaria da parte del padre che aveva accompagnato lei – e altri due figli – piccoli nella struttura. Il genitore cita in giudizio il titolare del complesso sportivo, chiedendone la condanna al « risarcimento dei danni patiti dalla figlia a seguito della caduta avvenuta in uno scivolo d’acqua», caduta cui aveva fatto seguito «la rottura degli incisivi superiori». In ambito penale il titolare della struttura è già stato condannato per «lesioni personali colpose» e obbligato al «pagamento di una provvisionale di 8mila euro». Ciò nonostante, egli sostiene che «l’incidente era da ricondurre alla condotta impropria della bambina, la quale era caduta mentre stava risalendo in senso contrario lo scivolo sito nella piscina, ed alla disattenzione del padre». I giudici del Tribunale riconoscono la responsabilità del titolare della struttura – oltre che quella del padre della bambina – e lo condannano al «pagamento della somma di 8mila euro, peraltro già riconosciuta», come detto, «in sede di giudizio penale a titolo di provvisionale». In Appello, poi, viene ridimensionato «il danno patito dalla bambina» – intanto divenuta maggiorenne – e portato a quasi 4mila e 300 euro, «somma superata da quella già corrisposta dal titolare della struttura a titolo di provvisionale», osservano i giudici. In secondo grado, comunque, viene anche ribadita la pari responsabilità del titolare della struttura e del genitore della bambina. Inutile il ricorso proposto in Cassazione dalla persona vittima dell’incidente in piscina. Per i Giudici di terzo grado, difatti, non è in discussione il quantum del risarcimento stabilito in Appello. Soprattutto perché correttamente è stata «ridotta la percentuale di invalidità dal 4 al 3 per cento, in considerazione del fatto che tale invalidità tende ad assestarsi in riduzione col trascorrere del tempo». E a questo proposito viene anche osservato che comunque si fa riferimento ad «un danno limitato a due denti, uno dei quali danneggiato in parte». Per quanto concerne, infine, la responsabilità del genitore, la Corte osserva che il padre era «entrato nel centro sportivo accompagnando contemporaneamente tre figli, per cui era nell’impossibilità di seguire i movimenti di tutti». A questa obiezione i magistrati ribattono ricordando che «il padre non era presente al momento dell’incidente» capitato alla figlia. Ciò che conta però è che «il fatto di accompagnare contemporaneamente tre figli minori, tutti bisognosi di controllo, in una struttura solo parzialmente custodita e potenzialmente fonte di pericolo, non può essere un elemento che sgrava il genitore di ogni responsabilità, anzi, al contrario, conferma la sua colpevolezza», concludono i magistrati.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 2 marzo – 18 maggio 2021, numero 13503 Presidente Amendola – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. F.A. , in qualità di esercente la potestà sulla figlia minore F.E. , convenne in giudizio P.L. , davanti al Tribunale di Asti, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni patiti dalla figlia minore a seguito di una caduta avvenuta in uno scivolo d’acqua all’interno del complesso sportivo gestito dal convenuto, cui aveva fatto seguito la rottura degli incisivi superiori. A sostegno della domanda espose, tra l’altro, che il convenuto era stato condannato per il delitto di cui all’articolo 590 c.p., in relazione all’episodio per cui è causa, con sentenza definitiva cui si era accompagnata la condanna al pagamento di una provvisionale di Euro 8.000. Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda a suo dire, infatti, il sinistro era da ricondurre alla condotta impropria della bambina, la quale era caduta mentre stava risalendo in senso contrario lo scivolo sito nella piscina, ed alla disattenzione del padre. Il Tribunale accolse in parte la domanda e, riconosciuta la responsabilità del convenuto e del padre della bambina in pari misura, condannò il convenuto al pagamento della somma di Euro 8.000, peraltro già riconosciuta in sede di giudizio penale a titolo di provvisionale, con compensazione delle spese di lite. 2. La pronuncia è stata appellata in via principale da F.E. , nel frattempo divenuta maggiorenne, e in via incidentale da P.L. e la Corte d’appello di Torino, con sentenza del 7 novembre 2018, in parziale accoglimento di entrambi gli appelli, ha accertato che il danno patito dalla F. era da liquidare nella misura di Euro 4.269,30, somma superata da quella già corrisposta dal P. a titolo di provvisionale, ha rigettato ogni ulteriore domanda risarcitoria ed ha compensato integralmente tra le parti le spese del giudizio di appello. Ribadita la pari responsabilità delle parti nell’incidente in questione, la Corte territoriale ha rilevato che la F. non aveva fornito alcuna prova dell’effettiva esistenza di un danno patrimoniale, posto che le spese indicate dalla c.t. di parte non erano supportate da alcuna documentazione, per cui quel danno non doveva essere risarcito. Era invece da accogliere la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, posto che la vittima aveva dimostrato che in conseguenza del sinistro aveva patito l’avulsione di uno degli incisivi superiori e la parziale frattura coronale dell’altro incisivo danno questo, tale da comportare un’invalidità permanente nella misura del 3 per cento. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Torino ricorre F.E. con atto affidato a due motivi. P.L. non ha svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di Consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli articolo 375, 376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in riferimento agli articolo 115 e 132 c.p.c. ed all’articolo 118 disp. att. c.p.c Sostiene la ricorrente che la sentenza sarebbe errata sia nella parte in cui ha ridotto la percentuale di invalidità permanente dal 4 per cento riconosciuta dal c.t. di parte al 3 per cento, sia in quella in cui ha del tutto rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale. A tal proposito, la censura rileva che il danno ai denti richiederà la sostituzione periodica delle protesi, le cui ricevute non potevano essere prodotte in anticipo, e che i documenti contabili attestanti le spese erano nella disponibilità della madre della ricorrente, deceduta, per cui la parte era stata nell’impossibilità di produrli. 1.1. Il motivo, quando non inammissibile, non è comunque fondato. Osserva il Collegio che la censura relativa alla riduzione della percentuale di invalidità permanente ai fini del danno non patrimoniale si risolve in una sollecitazione indebita al riesame del merito. Il ricorso sostiene, infatti, che la Corte d’appello avrebbe dovuto seguire le indicazioni del c.t. di parte, senza considerare che la sentenza impugnata ha affrontato la questione e, dopo aver evidenziato la lacunosità della documentazione prodotta, ha ritenuto superflua la richiesta di una c.t.u. ed ha ridotto la percentuale di invalidità dal 4 al 3 per cento in considerazione del fatto che tale invalidità tende, col trascorrere del tempo, ad assestarsi in riduzione. Ragionamento che è convincente tanto più in quanto si fa riferimento ad un danno limitato a due denti, dei quali uno danneggiato in parte. Quanto, poi, al rigetto della domanda volta al risarcimento del danno patrimoniale, nessuna violazione delle norme invocate è ravvisabile nella sentenza, la quale si è limitata a constatare, con un accertamento di merito non sindacabile in questa sede, che la F. aveva prodotto una documentazione frammentaria, lacunosa e tale da non fornire alcun riscontro degli esborsi sopportati particolare che, sia pure indirettamente, lo stesso ricorso conferma là dove osserva che i documenti contabili relativi ai trattamenti odontoiatrici subiti erano in possesso della madre della ricorrente, separata dal marito e poi deceduta. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in riferimento all’articolo 1341 c.c. ed all’articolo 115 c.p.c Sostiene la ricorrente che suo padre era entrato nel centro sportivo accompagnando contemporaneamente tre figli, per cui era nell’impossibilità di seguire i movimenti di tutti. Sarebbe errata, perciò, la decisione anche nella parte in cui ha riconosciuto a suo carico l’esistenza di una concorrente responsabilità ogni eventuale clausola limitativa di tale responsabilità, ove anche prevista, avrebbe dovuto essere approvata per iscritto ai sensi dell’articolo 1341 c.c. citato. 2.1. Il motivo non è fondato. Osserva la Corte che la sentenza impugnata ha accertato che il padre della F. non era presente al momento del fatto, che la piscina dov’è avvenuta la caduta non era del tutto priva di custodia ed ha osservato che, ove tale custodia fosse mancata del tutto, la responsabilità del genitore avrebbe dovuto essere valutata con maggior rigore. Tali argomenti sono condivisibili, perché il fatto di accompagnare contemporaneamente tre figli minori, tutti bisognosi di controllo, in una struttura solo parzialmente custodita e potenzialmente fonte di pericolo non può essere un elemento che sgrava il genitore di ogni responsabilità anzi, al contrario, conferma la sussistenza di una sua colpevolezza. Evidentemente infondata, se non addirittura inammissibile per probabile novità, è la censura avente ad oggetto l’articolo 1341 c.c. nel caso di specie, infatti, non si tratta di una clausola di esonero della responsabilità che il gestore della struttura acquatica avrebbe predisposto a suo favore, ma, al contrario, di un accertamento ben motivato in ordine alla sussistenza di un concorso di colpa, in pari misura, del gestore e del padre dell’odierna ricorrente. 3. Il ricorso, pertanto, è rigettato. Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato. Sussistono, tuttavia, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.