La sentenza della seconda sezione della Corte di Cassazione del 28 aprile 2021, numero 11189 ha avuto modo di pronunciarsi su come si deve quantificare l’onorario dell’avvocato che rappresenta la parte in un procedimento di accertamento tecnico preventivo.
Il caso – Era infatti accaduto che un avvocato avesse promosso un giudizio per ottenere la liquidazione dei propri onorari nei confronti dei propri clienti a seguito di attività stragiudiziale e giudiziale per una causa di responsabilità sanitaria. Dopo la contestazione stragiudiziale e l’esperimento della consulenza tecnica preventiva, le parti avevano raggiunto un accordo transattivo che prevedeva la liquidazione di una somma di denaro a favore dei clienti dell’avvocato. In primo grado, il Tribunale aveva rigettato la domanda dell’avvocato perché a suo avviso l’ onorario liquidabile a norma della tariffa professionale di cui al d.m. 140/2012 era pari a quanto già corrisposto dai clienti. Fase istruttoria - Anche in Appello la domanda dell’avvocato venne rigettata perché, per quel che più interessa in questa sede, «non poteva essere riconosciuta la voca tariffaria “fase istruttoria” per la consulenza preventiva come l’aumento per la raggiunta conciliazione era già stato riconosciuto in relazione al compenso per l’attività stragiudiziale – essendo la conciliazione avvenuta in detta fase – mediante apposito aumento del compenso riconosciuto equo per detta attività». Ebbene, la questione controversa approdata in Cassazione è stata proprio la doverosità, o no, della liquidazione della voce prevista per la fase istruttoria nell’ambito dei procedimento di accertamento tecnico preventivo in aggiunta alla fase di “studio della controversia” e “introduttiva del giudizio”. Secondo i Giudici di Appello quella fase non era dovuta perché nei procedimenti di istruzione preventiva la fase istruttoria non si pone come presupposto di alcuna decisione, come invece avviene nei procedimenti ordinari. Peraltro, l’avvocato non aveva fornito la prova di un suo effettivo intervento difensivo in relazione all’attività propria del consulente. Senonché, la Corte di Cassazione riconosce – nel vigore del d.m. del 2012 - che «esiste autonomia della “fase istruttoria” posto che, come in sede di giudizio di merito in relazione all’espletamento di consulenza tecnica, anche in ipotesi d’espletamento di consulenza tecnica preventiva, il difensore svolge attività diverse da quelle proprie delle due fasi antecedenti in quanto sono correlate all’andamento e alle indagini peritali ed alle conclusioni, cui il tecnico perviene, elementi oggettivamente non conoscibili in momento antecedente». E ciò viene confermato oggi dai parametri di cui al d.m. 55/2014 che «nella tabella allegata al punto 9, specificatamente in relazione al procedimento di istruzione preventiva, risulta prevista la voce tariffaria “fase istruttoria”». È stata effettuata attività? – Una volta chiarita la necessità di fare riferimento anche alla voce “fase istruttoria” «assume rilievo l’accertamento se il difensore ebbe ad espletare in concreto una qualche attività difensiva di interazione con l’opera del consulente tecnico ai fini dell’espletamento del suo incarico». Quell’accertamento – demandato al Giudice di merito - potrà tenere in considerazione «anche la posizione difensiva assunta sul punto dalle controparti ovvero la loro contestazione o non che il loro difensore espletò o non una attività significativa in subiecta materia».
Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 11 gennaio – 28 aprile 2021, numero 11189 Presidente/Relatore Gorjan Fatti di causa L’avv. M.G. ebbe a svolgere attività professionale in sede stragiudiziale e giudiziale in favore dei prossimi congiunti di B.F. deceduta presso il nosocomio di - in tesi - per errore iatrogeno. Ad esito della procedura stragiudiziale di contestazione dell’errore e successiva consulenza preventiva, le parti erano addivenute ad accordo transattivo per definire la questione con liquidazione di somma a favore degli assistiti dell’avv. M. . Tuttavia, il professionista rilevava di aver ricevuto acconto sul compenso a lui dovuto, ma non il saldo chiesto ai clienti, sicché evocava i consorti Ma. - G. avanti il Tribunale di Vercelli per ottenere il pagamento del saldo dovuto, indicato in Euro 11.748,49. Resistettero Ma.El. , G.M. , G.L. , Ma.Enumero , Ma.Di. e Ma.Ro. contestando la domanda avversaria. Il Tribunale di Vercelli rigettò la domanda svolta dal professionista, rilevando come non erano in contestazione nè il valore della controversia oggetto del suo intervento, nè il criterio di liquidazione del compenso - in assenza di apposito patto - secondo il D.M. numero 140 del 2012 e che il dovuto, una volta proceduto alla liquidazione secondo detti parametri, era già stato corrisposto integralmente al M. . Avverso detta ordinanza l’avv. M. ha proposto gravame avanti la Corte d’Appello di Torino, che, sempre resistendo i consorti Ma. - G. , rigettò l’impugnazione, rilevando come non poteva esser riconosciuta la voce tariffaria fase istruttoria per la consulenza preventiva, come l’aumento per la raggiunta conciliazione era già stato riconosciuto in relazione al compenso per l’attività stragiudiziale - essendo la conciliazione intervenuta in detta fase - mediante apposito aumento del compenso riconosciuto equo per detta l’attività, come erano stati riconosciuti gli esborsi, mentre le spese generali non erano previste nella tariffa forense applicata. Avverso detta sentenza il M. ha proposto ricorso per cassazione fondato su sette motivi. Ma.El. , Ma.Enumero , Ma.Di. , G.M. , G.L. e Ma.Ro. si sono costituiti a resistere con controricorso. Ragioni della decisione Il ricorso proposto dall’avv. M.G. s’appalesa fondato e va accolto nei limiti di motivazione. Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente denunzia violazione delle norme D.M. numero 140 del 2012, ex articolo 11, comma 5 ed articolo 1, comma 1, in quanto il Collegio subalpino nella liquidazione non s’era attento ai parametri stabiliti per la tassazione del compenso al difensore in sede di procedimento per consulenza preventiva, in quanto doveva esser riconosciuta anche la voce tariffaria per la fase istruttoria, avendo egli svolto specifica opera professionale anche in relazione all’attività espletata dal consulente tecnico. Con la seconda ragione di doglianza il M. rileva violazione del disposto ex articolo 167 c.p.c., poiché la Corte cisalpina ebbe a rilevare il difetto di prova circa l’attività difensiva da lui svolta in relazione alle operazioni del consulente tecnico, non avvedendosi che ciò non era stato contestato dai resistenti. Con il terzo mezzo d’impugnazione il ricorrente rileva violazione del disposto D.M. numero 140 del 2012, ex articolo 4, comma 4, posto che sul compenso per la fase istruttoria andava anche riconosciuto l’aumento sino al 50% in ragione della difesa di più parti nella medesima posizione, aumento che la Corte territoriale aveva già riconosciuto in relazione alle altre due voci di compenso ammesse in relazione alla procedura di istruzione anticipata. I tre motivi d’impugnazione, dianzi riassunti, vanno esaminati congiuntamente attenendo alla medesima questione e sono fondati. La Corte cisalpina ha ritenuto dovuto in favore del professionista il compenso in relazione al procedimento per consulenza tecnica preventiva limitatamente alle due voci tariffarie di studio della controversia e fase introduttiva del giudizio, applicando in relazione alle stesse l’aumento previsto per la difesa di più clienti nella medesima posizione. La Corte territoriale invece ha rigettato la pretesa del professionista di aver pagato anche diritto al compenso per la fase istruttoria. Così i Giudici di appello hanno statuito perché non esisterebbe una fase istruttoria, distinta dalle altre due fasi, nel procedimento di istruttoria preventiva, i quali proprio nell’assunzione dell’atto istruttorio hanno la loro finalità esclusiva. Di conseguenza la fase istruttoria non si pone come presupposto di alcuna decisione, come invece avviene nei procedimenti ordinari, ed inoltre, osserva la Corte subalpina, il M. non aveva fornito la prova di un suo effettivo intervento difensivo in relazione all’attività propria del consulente. La statuizione dei Giudici piemontesi non può esser condivisa posto che, se è ben vero che il procedimento di istruzione preventiva risulta ontologicamente diretto all’assunzione di un mezzo istruttorio da potersi utilizzare nell’eventuale successiva causa di merito, tuttavia l’attività di studio della controversia e di introduzione della controversia non già è finalizzata esclusivamente all’individuazione del mezzo istruttorio da espletare, bensì anche del fatto della vita, cui il mezzo istruttorio da assumere appare correlato. Dunque esiste autonomia della fase istruttoria posto che, come in sede di giudizio di merito in relazione all’espletamento di consulenza tecnica, anche in ipotesi d’espletamento di consulenza tecnica preventiva, il difensore svolge attività diverse da quelle proprie della due fasi antecedenti - che sono illustrate anche nella esemplificazione D.M. numero 140 del 2012, ex articolo 11, comma 5 - in quanto sono correlate all’andamento e delle indagini peritali ed alle conclusioni, cui il tecnico perviene, elementi oggettivamente non conoscibili in momento antecedente. Ciò è tanto vero che con la tariffa, disciplinata dal D.M. numero 55 del 2014, nella tabella allegata al punto 9, specificatamente in relazione al procedimento di istruzione preventiva, risulta prevista la voce tariffaria fase istruttoria . Una volta posto che, anche nella vigenza della tariffa ex D.M. numero 140 del 2012, poteva esser riconosciuto il compenso per la fase istruttoria in relazione al procedimento di istruzione preventiva, assume rilevo l’accertamento se il difensore ebbe ad espletare in concreto una qualche attività difensiva di interazione con l’opera del consulente tecnico ai fini dell’espletamento del suo incarico. Dunque al riguardo può assumere rilevo anche la posizione difensiva assunta sul punto dalle controparti ovvero la loro contestazione o non che il loro difensore espletò o non una attività significativa in subiecta materia. Nella specie il Collegio subalpino ha affermato che il M. non aveva provato di aver svolto attività alcuna in tale senso, ma tale affermazione appare essenzialmente correlata alla principale statuizione che non era prevista alcun compenso per detta opera, sicché la questione deve esser riesaminata alla luce del principio di diritto dianzi posto, con valutazione effettiva dei dati fattuali al riguardo presenti in atti. La questione afferente alla maggiorazione correlata alla difesa di più clienti rimane collegata alla debenza effettiva di detta voce di compenso, posto che, come dianzi visto, detta maggiorazione è già stata riconosciuta positivamente in relazione alle voci di compenso già assegnate. Con il quarto mezzo d’impugnazione il M. deduce violazione delle norme ex articolo 2909 c.c., ed articolo 324 c.p.c., in quanto il Collegio subalpino non ha rilevato che l’accertamento operato dal Tribunale - il compenso per l’attività stragiudiziale era da parametrare a quello liquidato per l’attività giudiziale afferente al procedimento di istruzione preventiva - impediva di ridurre tale voce - liquidata in misura uguale al compenso per l’attività giudiziale - includendovi l’aumento del 40% afferente all’intervenuta conciliazione. Con la quinta ragione di doglianza il M. lamenta violazione del disposto D.M. numero 140 del 2012, ex articolo 3, comma 3 ed articolo 4, comma 5, posto che la Corte cisalpina ha riconosciuto l’aumento per la raggiunta conciliazione solo in relazione al compenso per l’attività stragiudiziale e non anche giudiziale, benché dal tenore delle norme indicate siccome violate detta maggiorazione spetta in relazione ad entrambe l’attività, in quanto strettamente correlate al raggiungimento della conciliazione. Anche dette due ragioni di impugnazione, attenendo alla medesima questione, possono essere trattate unitariamente e non sono fondate. Difatti la Corte cisalpina non ha violato alcun giudicato interno conseguito alla ordinanza del Tribunale per la semplice ragione che ha rigettato il gravame e, così, integralmente confermato la decisione assunta dal primo Giudice in realtà s’è limitata, per rispondere alle ragioni del gravame mosso dal M. , a chiarire il significato di alcuni passaggi presenti nella prima decisione. Difatti il Collegio subalpina ha esaminato proprio le due censure, al riguardo mosse dal ricorrente, sicché nemmeno può profilarsi un giudicato interno sulle questioni affrontate, in quanto il M. rivendicava l’aumento per l’assistenza di più parti anche in relazione al compenso per l’attività stragiudiziale e lamentava che il Tribunale avesse ridotto del 40% l’ammontare del compenso per l’attività stragiudiziale rispetto a quella liquidata per l’attività giudiziale presa a parametro per la quantificazione anche di detto compenso. Di conseguenza la Corte cisalpina ha confermato che secondo il tenore letterale del D.M. numero 140 del 2012, articolo 3, non era possibile riconoscere l’aumento per la difesa di più parti in relazione al compenso per l’attività stragiudiziale e ha rilevato come l’aumento correlato alla raggiunta conciliazione, era stato riconosciuto in relazione al compenso per l’attività stragiudiziale - fase nel corso della quale fu raggiunta la conciliazione - poiché a fondamento del compenso il Tribunale aveva riconosciuto la sola somma base correlata alla prestazione relativa all’attività giudiziale senza anche l’aumento collegato alla la difesa di più parti. Con la sesta ragione di doglianza il M. rileva violazione della norma D.M. numero 140 del 2012, ex articolo 1, commi 1 e 7, posto che la Corte territoriale aveva esposto motivazione apparente nel procedere alla tassazione del compenso dovuto, la quale bensì era rimessa alla sua discrezionalità ma doveva esser adeguatamente motivata. In effetti l’argomentazione critica svolta nel citato motivo d’impugnazione si compendia nella contestazione meritale dei criteri di liquidazione applicati dai Giudici di merito, sollecitando a questa Suprema Corte un’inammissibile valutazione circa il merito della lite. Con la settima censura il ricorrente deduce violazione dell’articolo 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla sua domanda, posto che non risulta pronunziata statuizione di condanna al pagamento di quanto positivamente riscontrato siccome dovuto ad esito della causa. In effetti pronunzia v’è stata posto che il Tribunale aveva accertato che la somma già ricevuta in acconto dal professionista era satisfativa del compenso accertato siccome dovuto ad esito della lite. Con l’ottavo mezzo d’impugnazione il M. propone domanda di restituzione delle somme pagate ai resistenti a titolo di spese di lite in forza delle sentenze di primo e secondo grado in caso di accoglimento del presente ricorso per cassazione. La questione, a sensi dell’articolo 389 c.p.c., è di cognizione del Giudice del rinvio in caso di cassazione, come nella specie. In definitiva una volta posto il principio di diritto che anche nel vigore della tariffa forense ex D.M. numero 140 del 2012, era da riconoscere il diritto al compenso per la fase istruttoria nei procedimento di istruzione preventiva, al Giudice del rinvio va riemessa e l’accertamento se sulla scorta degli atti di causa, per la concreta attività professionale svolta, spettava al M. detto compenso e la sua liquidazione, con riflesso anche sul compenso dovuto per l’attività stragiudiziale, che però sempre andrà tassata al valore base senza l’aumento per la difesa di più parti e fermo l’aumento del 40% riconosciuto per la conciliazione su tale compenso. La sentenza impugnata va dunque cassata e la causa rimessa alla Corte d’Appello di Torino altra sezione, che anche provvederà a disciplinare le spese di questo giudizio di legittimità, ex articolo 385 c.p.c., comma 3. P.Q.M. Accoglie il ricorso nei limiti di motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di Torino, altra sezione, che anche disciplinerà le spese di questo giudizio di legittimità.