Confermata la linea, seguita in primo e in secondo grado, che ha portato a sanzionare un uomo, obbligandolo anche a risarcire i danni alla figlia. Ritenuto penalmente rilevante il comportamento tenuto nei confronti della figlia, costretta con la forza ad andare a casa del nonno per chiedergli scusa. Nessuna possibilità di valutare lo ius corrigendi, che deve essere esercitato senza ricorrere alla violenza.
Educazione ‘rigida’ superata dai tempi. E, soprattutto, messa sempre più ‘fuorigioco’ dalla giustizia. Ultimo esempio – come da Cassazione, sentenza numero 42962, Quinta sezione Penale, depositata oggi – quello relativo alla sanzione comminata a un padre, condannato per violenza privata, per aver obbligato la figlia a seguirlo fino alla casa del nonno per chiedere scusa a quest’ultimo. Old style Ad essere passato ai ‘raggi X’ è il comportamento tenuto da un uomo, che ha portato di forza, letteralmente, la figlia a casa del nonno per obbligarla a chiedere scusa a quest’ultimo per un «atteggiamento insolente» tenuto qualche giorno prima. Educazione old style? Questa, probabilmente, l’ottica dell’uomo, che però viene ritenuta assolutamente non legittima dalla giustizia. Ecco spiegata la condanna per violenza privata, decisa in Tribunale e confermata in Appello, con corredo di risarcimento dei danni a favore della figlia. E senza alcuna possibilità, secondo i giudici, di appigliarsi alla scriminante dello ius corrigendi Educazione borderline. E proprio quest’ultimo punto, ossia le finalità educative dell’azione compiuta, diventa centrale nel ricorso proposto in Cassazione dall’uomo, il quale, non a caso, ricorda che l’obiettivo, all’epoca della vicenda, «era quello di indurre la figlia a scusarsi col nonno, nei confronti del quale aveva tenuto, giorni prima, un comportamento insolente». Ma tale visione non suscita la condivisione dei giudici. Per questi ultimi, difatti, a prescindere dalle «finalità educative», il diritto genitoriale non può ricomprendere l’«uso gratuito della violenza», come avvenuto in questo caso, vista la «costrizione fisica usata nei confronti della minore», addirittura «trascinata per parecchi metri». Evidente, sempre secondo i giudici, come, in questa vicenda, siano state utilizzate «modalità violente ed esageratamente coercitive», che non possono assolutamente essere poste in connessione con l’esercizio legittimo dello ius corrigendi ecco perché è da confermare la condanna nei confronti dell’uomo per violenza privata ai danni della figlia.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 settembre - 7 novembre 2012, numero 42962 Presidente Teresi –Relatore Oldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 20 aprile 2011 la Corte d’Appello di Bari, confermando la decisione assunta dal Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, ha riconosciuto G.C. responsabile del delitto di violenza privata ai danni della figlia minore S.C., per averla costretta con la forza a seguirlo presso l’abitazione del nonno paterno ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile. 1.1. Ha negato quel collegio che potesse applicarsi la scriminante dello ius corrigendi, osservando che l’esercizio di esso, nei limiti in cui sia eventualmente configurabile, deve concretarsi in modalità lecite e rispettose della personalità del minore. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a due motivi. 2.1. Col primo motivo il ricorrente denuncia travisamento dei fatti, sostenendo che lo scopo da lui perseguito non era quello di far incontrare la figlia coi nonni contro la sua volontà, ma solo, quello di indurla a scusarsi col nonno, nei confronti dei quale aveva tenuto giorni prima un comportamento insolente. 2.2. Col secondo motivo eccepisce l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte. 1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. La Corte d’Appello ha motivatamente escluso che la condotta posta in essere dal C. nei confronti della figlia potesse essere legittimata dallo ius corrigendi, osservando che, quali che fossero le finalità educative da lui perseguite, il diritto genitoriale non poteva estendersi fino a farvi rientrare l’uso gratuito della violenza la costrizione fisica usata nei confronti della minore, obbligata con la forza a seguire il padre presso l’abitazione dei nonni paterni, e a tal fine letteralmente trascinata per parecchi metri, è stata giudicata eccedente i limiti della causa di giustificazione di cui all’articolo 51 cod. penumero . Oltre a ciò, non ha mancato la Corte territoriale di accennare alla condizione giuridica del C., di genitore separato dalla moglie e non affidatario della minore, lasciando intendere che anche sotto tale profilo il dirottamento della figlia dal normale percorso dalla scuola alla casa d’abitazione aveva integrato una violazione di legge. La linea argomentativa così Sviluppata, del tutto immune da vizi di carattere logico e giuridico, non ha trovato alcuna confutazione nel ricorso del C., il quale si è limitato ad offrire una diversa indicazione delle finalità educative da lui perseguite l’intento di indurre la figlia a chiedere scusa al nonno paterno, piuttosto che di farla semplicemente incontrare con lui , senza in alcun modo contrastare i rilievi mossi dal giudice di merito in ordine alla illiceità delle modalità violente, ed esageratamente coercitive, con cui l’azione sulla minore era stata condotta. Anche il richiamo, fatto nel ricorso, al permanere della potestà genitoriale in capo al padre non affidatario è fuori centro rispetto all’apparato motivazionale della sentenza impugnata. 2. Del pari manifestamente infondato è il secondo motivo. 2.1. Nell’eccepire l’avvenuta maturazione della prescrizione il ricorrente mostra di non tener conto del fatto che, alla data della sentenza di secondo grado, non era ancora decorso il termine massimo di sette anni e sei mesi - tenuto conto degli atti interruttivi - dalla consumazione del reato, collocata cronologicamente al 6 marzo 2004. 3. La rilevata inammissibilità del ricorso impedisce di rilevare la prescrizione verificatasi in epoca successiva a detta pronuncia. Ne conseguono, altresì, le statuizioni di cui all’articolo 616 cod. proc. penumero . 4. Stante la minore età della persona offesa all’epoca del fatto, deve disporsi l’oscuramento dei dati identificativi. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Dispone l’oscuramento dei dati identificativi.