Nell’ipotesi in cui con la domanda iniziale sia stata richiesta una condanna specifica, all’interno dello stesso processo, la separazione del giudizio sull’an e sul quantum può essere disposta d’ufficio anche dal giudice, anziché su istanza di parte ex articolo 278 c.p.c., in quanto ciò non comporta la violazione di principi di ordine pubblico e non incide sulla realizzazione delle finalità essenziali del processo.
La Corte di Cassazione, con la decisione in esame, è stata chiamata a fare buon governo dell’articolo 1171 c.c. che regola la denunzia di nuova opera in relazione all’articolo 278 c.p.c. sulla condanna generica. Come noto, la denunzia di nuova opera è un’azione a carattere preventivo che può essere promossa sia per difendere il possesso che per difendere il diritto di proprietà o altro diritto reale, quando la nuova opera non sia ancora terminata. L'azione è così diretta ad ottenere le misure più immediate per evitare danni alla res tramite un procedimento sommario di rigetto o di accoglimento della pretesa cautelare. Il provvedimento cautelare de quo , realizza una decisione anticipata e provvisoria del giudizio di merito, dotato di una efficacia meramente esecutiva, la quale non viene meno se il processo di cognizione piena non viene instaurato o si estingue e può protrarsi indefinitamente nel tempo cfr. da ultimo Trib. Trani, sent. 10 gennaio 2012 . Nell’intraprendere un’azione giudiziaria finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno da denunzia di nuova opera, non è sempre agevole per l’attore la quantificazione preventiva dei danni stessi. Si rivela così, nella maggior parte dei casi, strategicamente più opportuna ed efficace l’opzione di promuove il giudizio senza predeterminare il quantum debeatur , pur precostituendosi un titolo rafforzato ed anticipato del proprio credito. L’articolo 278 c.p.c. consente, infatti, al giudice, qualora vi sia istanza di parte, e sia già stata accertata la sussistenza del diritto, se pur ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, di pronunciare sentenza di condanna generica, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione cfr. Calamandrei, La condanna generica ai danni , in Riv. dir. proc. , 1933, p. 382 . Esaurite queste propedeutiche premesse, il quesito a cui gli ermellini sono stati chiamati a fornire risposta è il seguente stando alla lettera dell’articolo 278 c.p.c. è ipotizzabile la scissione dei processi sull’ an e sul quantum attuata d’ufficio dal giudice? Il fatto. Un’impresa conveniva in giudizio due società dolendosi del fatto che una di esse avesse intrapreso la costruzione di un nuovo edificio su un’area adiacente di proprietà di parte ricorrente. La demolizione del preesistente immobile, a dire dell’impresa, avrebbe violato i suoi diritti arrecando danno ai suoi beni, stante la mancata adozione delle cautele necessarie, oltre al mancato rispetto della distanza minima in aperta violazione del Regolamento edilizio comunale. Chiedeva, pertanto, ex articolo 1171 c.c. l’immediata sospensione dei lavori, con ripristino dello status quo ante o comunque l’adozione delle cautele necessarie per la sicurezza del proprio fabbricato ubicato in posizione limitrofa. Resisteva la società costruttrice, contestando la sussistenza del pericolo trattandosi, nel caso di specie, della realizzazione di un mero lastricato destinato a parcheggio. Il Pretore investito della causa, con decreto inaudita altera parte , ordinava la sospensione dei lavori solo nella zona confinante con l’edificio della ricorrente, provvedimento, questo, che, su istanza di rettificazione della ricorrente medesima, veniva successivamente esteso all’intero cantiere. Nella prosecuzione della vertenza, il pretore disponeva un accertamento tecnico preventivo, al cui esito, ritenuta nel merito l’assenza di pericolo, rigettava l’istanza cautelare inizialmente promossa. La società costruttrice, successivamente alla pronuncia, riassumeva il giudizio dinanzi al competente Tribunale, chiedendo la conferma dell’ordinanza di rigetto della misura cautelare, con condanna della ricorrente al risarcimento dei danni per forzato fermo del cantiere lo stesso faceva la società proprietaria del terreno su cui erano stati eseguiti i lavori . Il Tribunale adito, con sentenza non definitiva, accertava il comportamento colposo dell’impresa nel presentare la richiesta di rettifica formulata al Pretore, disponendo con separata ordinanza per la prova e la quantificazione dei danni risarcibili. L’impresa appellava senza fortuna la sentenza emessa dal Tribunale. La Corte d’appello, infatti, si pronunciava per la coerenza ordinamentale della condanna generica , di cui alla sentenza non definitiva al risarcimento dei danni per poi procedere alla quantificazione del danno secondo la previsione dell’articolo 278 c.p.c. . Concludeva la Corte d’appello come nessun pericolo per il fabbricato dell’impresa ricorrente potesse ritenersi integrato, in conseguenza dei lavori, atteso che il luogo del cantiere era distante da quello del fabbricato di proprietà della ricorrente. Ricorreva per cassazione l’impresa proprietaria del fabbricato, sostenendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. per aver il giudice rinviato a separato processo la liquidazione della somma dovuta questo perché il giudice, senza che fosse intervenuta una domanda sul punto, si è limitato ad una condanna generica. Il giudice, d’ufficio, può disporre la separazione del giudizio risarcitorio. La Suprema Corte ritiene infondato il motivo di doglianza i giudici di merito, ritenuta accertata la potenzialità lesiva del comportamento colposo dell’impresa ricorrente, hanno rimesso al prosieguo del giudizio la quantificazione del danno. A tal riguardo, bene hanno fatto i giudici del merito a dar corso alle richieste istruttorie formulate dall’impresa costruttrice, da espletarsi nella fase successiva del giudizio di primo grado. Ed, invero, nel caso in cui con la domanda iniziale sia stata richiesta una condanna specifica, ai fini della separazione del giudizio sull’an da quello del quantum, è possibile affermare come occorra distinguere secondo che essa avvenga all’interno del medesimo processo, o dia invece luogo a due diversi processi. La scissione richiede l’istanza dell’attore ed il consenso del convenuto quando siano scaturiti due diversi processi, mentre come nel caso che ci occupa trattandosi di una domanda iniziale avvenuta all’interno del medesimo processo la separazione può essere disposta anche d’ufficio dal giudice. Concludendo. La sentenza in esame si colloca nell’orientamento giurisprudenziale maggioritario secondo cui quando il giudice opera d’ufficio la scissione delle pronunce sull’an e sul quantum anziché su istanza di parte ex articolo 278 c.p.c. non viola alcun principio di ordine pubblico, non incidendo sulla realizzazione delle finalità essenziali del processo cfr. Cass. 27 luglio 2005, numero 15686 . Infatti, non vengono compromessi i principi fondamentali del sistema processuale, né pregiudicato il diritto di difesa, stante poi la possibilità di riesaminare la decisione mediante impugnazione. Altra parte della giurisprudenza cfr. ex multis Cass. 26 ottobre 1991, numero 11418 , invece, ritiene che, in mancanza dell’istanza di parte, il giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex articolo 112, c.p.c., non potrà limitare la pronuncia all’ an , ma dovrà liquidare il danno in base agli elementi acquisiti al processo, oppure respingere la domanda per difetto di prova. In ogni caso, e pur aderendo alla prima tesi, incombe sull’attore l’onere di indicare i mezzi di prova dei quali intende avvalersi per la determinazione del quantum , incorrendo diversamente nel sicuro rigetto della domanda, perché non adeguatamente provata.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 maggio - 4 ottobre 2012, numero 16899 Presidente Schettino – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 18 settembre 1992 l'Impresa T.G. evocava, dinanzi al Pretore di Terni, la COMTECH s.r.l. e la SILC 91 s.r.l., esponendo che i lavori di costruzione di un nuovo edificio, intrapresi dalla prima delle due società convenute, su area di proprietà della seconda società, confinante con il fabbricato di proprietà dell'attrice, sito in omissis , dopo la demolizione del preesistente immobile, violavano i suoi diritti, danneggiando i suoi beni, stante la mancanza di adozione delle cautele necessarie, oltre al mancato rispetto della distanza minima stabilita dal Regolamento edilizio, per essere in appoggio, per cui chiedeva, ai sensi dell'articolo 1171 c.c., l'immediata sospensione dei lavori, con ripristino dello stato dei luoghi o comunque l'adozione delle cautele necessarie per la sicurezza del fabbricato limitrofo. Instaurato il contraddicono, nella resistenza della COMTECH, che contestava la sussistenza del pericolo trattandosi di realizzazione di un lastricato destinato a parcheggio, il Pretore adito, con decreto inaudita altera parte, in data 19.9.1992, sospendeva i lavori soltanto nella zona confinante con l'edificio della T. , provvedimento che - su istanza di rettificazione della stessa ricorrente - veniva esteso in seguito all'intero cantiere. Il medesimo giudice disponeva accertamento tecnico, al cui esito, con ordinanza del 9.10.1992, ritenuta l'assenza di pericolo di danni, rigettava l'istanza cautelare. Con atto di citazione notificato l'11 novembre 1992 la COMTECH, riassumeva il giudizio avanti al Tribunale di Terni chiedendo la conferma dell'ordinanza di rigetto della misura cautelare, con condanna della ricorrente al risarcimento dei danni per forzato fermo del cantiere per giorni 22, indicando l'importo in £. 292.00.0.00, oltre al risarcimento ex articolo 96 c.p.c Instaurato nuovamente il contraddittorio, la Impresa T. resisteva, chiedendo in via riconvenzionale il risarcimento dei danni cagionati al suo edificio. Con separato atto di citazione, notificato il 4 dicembre 1992, la SILC 91 evocava dinanzi allo stesso Tribunale di Terni l'Impresa T. chiedendone la condanna la risarcimento dei danni subiti per effetto del ritardo nel completamento dell'opera, indicato in giorni 45, per complessive L. 105.525.000. La Impresa convenuta si costituiva anche in detto giudizio. I due giudizi venivano riuniti anche successivamente all'interruzione per fallimento della COMTECH ed il Tribunale adito, con sentenza non definitiva del 9.1.2000, accertava il comportamento colposo dell'Impresa T. nel formulare la richiesta di rettifica presentata al Pretore di Terni il 2.10.1992, disponendo con separata ordinanza per la prova e la quantificazione dei danni risarcibili. In virtù di appello interposto dalla Impresa T. , la Corte di appello di Perugia, nella resistenza delle società appellate, che proponevano anche appello incidentale, respingeva sia l'appello principale sia quelli incidentali. A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava la coerenza ordinamentale della condanna generica, con sentenza non definitiva, al risarcimento dei danni, per poi procedere alla quantificazione del danno secondo la previsione dell'articolo 278 c.p.c. e passando all'esame dei ricorsi incidentali, precisava che la condanna richiesta dalla COMTECH, era stata interpretata dal primo giudice quale ritenuta imprudenza o assenza di normale prudenza o diligenza, di cui al II comma dell'articolo 96 c.p.c., mentre quanto alla domanda della SILC 91 la qualificava ai sensi dell'articolo 2043 c.c., avendo la società fatto riferimento al termine di prescrizione di cui all'articolo 2047, comma 1, c.c Ciò posto, osservava che, secondo quanto affermato dal giudice di prime cure, il timore che l'opera intrapresa dalla COMTECH, potesse danneggiare il fabbricato dell'impresa non era irragionevole, viste anche le informazioni assunte tramite i C.C., ma altrettanto era da ritenere che nessun pencolo per il fabbricato dell'Impresa ricorrente potesse concepirsi come conseguenza dei lavori effettuati dalla COMTECH, in luoghi del cantiere distanti dallo stesso fabbricato. Aggiungeva che quanto alla responsabilità ex articolo 96 cpc, forma speciale di responsabilità civile rispetto alla domanda ex articolo 2043 c.c., andava riconosciuta la legittimazione attiva della SILC 91, in quanto terza danneggiata, intervenuta in giudizio. Concludeva per la insussistenza del vizio di omessa pronuncia in ordine alla domanda di condanna della curatela al risarcimento dei danni per avere il Tribunale deciso con sentenza non definitiva, per cui ben poteva la1 questione venire definita successivamente. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Perugia ha proposto ricorso per cassazione la Impresa T. , articolato su quattro motivi, al quale non hanno resistito le società intimate, seppure regolarmente evocate. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c. per avere il giudice rinviato a separato processo la liquidazione della somma dovuta, limitandosi ad una condanna generica, senza che intervenisse una domanda di parte sul punto. Il motivo è infondato. Con la sentenza non definitiva i giudici di merito, ritenuta accertata la potenzialità lesiva del comportamento colposo dell'impresa T. , e conseguentemente legittima una pronuncia di condanna limitata all'an debetur, hanno rimesso al prosieguo del giudizio la quantificazione del danno, ed al riguardo hanno ritenuto necessario dar corso alle richieste istruttorie formulate dalla COMTECH, nel giudizio di primo grado e richiamate nell'atto di appello, incombenti poi da espletarsi nella successiva fase dello stesso giudizio di primo grado. Nell'ipotesi in cui con la domanda iniziale sia stata richiesta una condanna specifica, ai fini della scissione del giudizio sull'an da quello sul quantum, questa corte ha già avuto modo di affermare, che occorre distinguere secondo che essa avvenga all'interno dello stesso processo, o dia invece luogo a due diversi processi. Mentre in quest'ultimo caso la scissione richiede l'istanza dell'attore ed il consenso del convenuto, nel primo, in cui rientra invero l'ipotesi in esame, l'adesione della controparte non è necessaria, e la separazione può essere disposta anche d'ufficio v. Cass. 27 luglio 2005 numero 15686 . Si è al riguardo altresì precisato che l'avere il giudice operato d'ufficio la scissione delle pronunce sull'an e sul quantum, anziché su istanza di parte, come previsto dall'articolo 278 cpc, in ogni caso non comporta violazione di principi di ordine pubblico, e non incide sulla realizzazione delle finalità essenziali del processo, che non vengono compromesse dal frazionamento del giudizio in due fasi, sicché non risultano vulnerati i principi fondamentali dei sistema processuale, né pregiudicato il diritto di difesa v. Cass. 22 ottobre 1987 numero 7806 , stante la possibilità di riesaminare la decisione mediante l'impugnazione v. Cass. 14 marzo 2000 numero 2904 . In tale ipotesi incombe comunque pur sempre all'attore assolvere all'onere di indicare i mezzi di prova dei quali intende avvalersi per la determinazione del quantum, incorrendo altrimenti nel rigetto della domanda, laddove questa risulti non adeguatamente provata v. Cass. numero 15686 del 2005 cit. . Con il secondo motivo viene lamentata la violazione e falsa applicazione dell'articolo 96 cpc, oltre a vizio di motivazione, in quanto la corte di merito nonostante la stessa consulenza tecnica prevedesse dei danni in caso di crollo dell'edificio, anche come riduzione degli stessi volumi, riteneva poi imprudente l'istanza di rettifica dell'Impresa T. del 2.10.1992. Anche detta censura è priva di fondamento. Il motivo di ricorso, che prospetta l'errore dei giudici di merito per avere ritenuto colpevole l'istanza della ricorrente di estensione della misura cautelare, non coglie la ratio decidendi della sentenza di secondo grado, la quale ha rilevato - confermando sui punto la decisione del giudice di prime cure - che nessun pericolo per il fabbricato del ricorrente poteva concepirsi come conseguenza dei lavori effettuati dalla COMTECH, in luoghi del cantiere distanti da detto fabbricato ciò a prescindere dalla relazione peritale , circostanza che non ha formato oggetto di specifica doglianza dell'Impresa T. , per cui concludeva che essendo tale timore estraneo all'oggetto del procedimento cautelare attivato contestato, infatti, il timore di una compressione delle sue facoltà edificatorie sussisteva la responsabilità ex articolo 96, comma 2, cpc, per di più parte ricorrente sollecita una inammissibile diversa lettura delle risultanze documentali di causa ad opera di questa corte di legittimità. Con il terzo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell'articolo 96 c.p.c., oltre a vizio di motivazione, sotto diverso profilo l'articolo 96 c.p.c. esaurirebbe tutte le forme di responsabilità processuale aggravata escludendo la possibilità di invocare, con domanda autonoma, l'applicazione dei principi generali della responsabilità per fatto illecito, come invece prospettato dalla SILC 91, rimasta estranea al giudizio cautelare, assumendo di avere subito danni per effetto della sospensione dei lavori. Ha diversamente opinato la corte distrettuale sostenendo sussistere danno ingiusto da una condotta illecita ex articolo 96 c.p.c Detta censura è in parte infondata e in parte inammissibile. Incontestata la natura dell'azione spiegata dalla SILC91, che il secondo giudice ha ritenuto proposta ex articolo 96 cpc, è assolutamente pacifico in giurisprudenza che la competenza a giudicare in materia di responsabilità processuale aggravata è devoluta, secondo l'esplicito dettato della norma, al giudice investito della causa dal cui esito si pretenda dedurre essa responsabilità. Tale competenza - si è precisato - è funzionale ed esclusiva, sul presupposto che solo il giudice investito della causa cui si riferisce il comportamento temerario o colposo della parte soccombente sia idoneo a valutare tale comportamento e a determinarne le concrete conseguenze pregiudizievoli cfr Cass. 18 febbraio 2000 numero 1861 . Questa corte non ha peraltro mancato di precisare che tale regola è derogata allorché il suo rispetto sia precluso da ragioni attinenti alla stessa struttura del processo e non dipendenti dall'inerzia della parte , con la conseguenza che non è stato negato a soggetto, nei cui confronti è stato eseguito un sequestro senza la normale prudenza, il diritto di chiedere il risarcimento dei danni in via autonoma, ove il provvedimento cautelare disposto anteriormente alla causa era divenuto inefficace a sensi dell'articolo 683 c.p.c., per non avere il sequestrante provveduto ad instaurare il giudizio per la convalida del sequestro e per il merito in tal senso v. Cass. 3 dicembre 1981 numero 6407 . In riferimento a tale postulato, nella specie il giudice distrettuale ha osservato che essendo il terzo danneggiato intervenuto appositamente nella causa ciò che è avvenuto attraverso la riunione della causa di risarcimento, autonomamente instaurata dalla SILC91, alla causa di merito riassunta dalla COMTECH , nella quale soltanto poteva essere accertata l'inesistenza del diritto in ordine al quale era stato concesso il provvedimento cautelare, sussisteva la legittimazione della SILC91 ex articolo 96 c.p.c Alla stregua delle stesse allegazioni contenute nella decisione impugnata, la SILC91 era legittimata a prendere parte al giudizio essendo la committente delle opere in corso di esecuzione per incarico confermo alla COMTECH, da realizzarsi tu terreno di sua proprietà, con la possibilità, come tale, di proporre autonome difese, come ritenuto dal secondo giudice, per contestare il diritto della parte istante a procedere nei suoi confronti e detta affermazione del giudice distrettuale, peraltro, non risulta avere formato oggetto di specifica impugnazione. D'altro canto la stessa ricorrente nell'ambito del giudizio cautelare aveva evocato entrambe le società a tutela della propria situazione petitoria. Con il quarto ed ultimo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c. per avere la corte di merito omesso di statuire sulla domanda risarcitoria formulata dall'Impresa T. . Anche detta censura non è accoglile. Il ricorrente lamenta, in sostanza, con il quarto motivo di ricorso, la mancanza di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, per avere i giudici di appello deciso sul solo risarcimento dei danni lamentati dalle società resistenti, negando la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della domanda di responsabilità, e omettendo di pronunciare, nel contempo sul merito della sua richiesta risarcitoria. Ma i giudici d'appello non potevano, una volta esercitata dai giudici di primo grado la discrezionale facoltà di decidere separatamente, con sentenza non definitiva, la questione relativa alla responsabilità aggravata del ricorrente, pronunciare su altra parte della causa, rispetto alla quale i primi giudici si erano riservati il giudizio. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte cfr Cass. 3 giugno 1983 numero 3789 Cass. 12 aprile 1985 numero 2435 Cass. 3 aprile 1992 numero 4151 Cass. 17 aprile 1997 numero 3306 il giudice d'appello adito in sede di impugnazione della sentenza non definitiva per il principio del doppio grado di giurisdizione, deve limitare il proprio esame alla sola materia che ha formato oggetto della decisione di primo grado, e non può estenderlo alle questioni per le quali vi sia stata riserva di pronuncia, essendo rispetto a queste funzionalmente incompetente. Infatti, il carattere parziale o non definitivo della sentenza di primo grado comporta che il gravame debba riguardare soltanto la questione affrontata da tale sentenza, con la conseguenza che, da un lato, l'appellante non è obbligato a riproporre le altre domande od eccezioni non esaminate in primo grado e, dall'altro, il giudice di secondo grado investito dell'appello avverso tale decisione ha il potere di cognizione limitatamente alla questione decisa dalla sentenza appellata, né può, riformando tale pronuncia, procedere all'esame di altre questioni, atteso che la sentenza di riforma resa dallo stesso giudice si inserisce immediatamente, con il suo contenuto decisorio parziale, nel processo eventualmente sospeso od ancora pendente davanti al giudice a quo Cass. 1 agosto 2003 numero 11748 Cass. 8 aprile 2003 numero 5456 Cass. 10 marzo 1997 numero 2142 . Il ricorso va, pertanto, respinto nulla va disposto in ordine alle spese processuali del giudizio di cassazione stante la mancata costituzione di entrambe le controparti. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso.