Furto nel negozio: l’indennizzo dell’assicurazione corrisponde al costo di acquisto della merce

Il commerciante vorrebbe che gli fosse riconosciuta una somma calcolata sulla base del valore della merce e non del prezzo da lui pagato, ma l’assicuratore risponde del profitto sperato solo se si è espressamente obbligato.

Il caso. In un negozio di abbigliamento viene rubata della merce. Il proprietario dell’esercizio chiede di essere indennizzato dalla società con la quale ha stipulato un contratto di assicurazione. Quest’ultima, però, riconosce al commerciante soltanto poco meno della metà della somma pretesa. L’uomo agisce allora in giudizio chiedendo il versamento della differenza. La domanda viene respinta sia in primo che in secondo grado. Si arriva quindi in Cassazione. L’indennizzo si calcola con riferimento al costo o al valore della merce? Il ricorrente lamenta il fatto che la Corte d’appello avrebbe commesso un errore commisurando l’indennizzo al costo delle merci laddove la polizza prevede la commisurazione al valore. La Suprema Corte, con la sentenza numero 48248/12 depositata il 26 marzo scorso, dichiara inammissibile il ricorso perché inidoneo a confutare la sentenza impugnata, traducendosi in una mera riproposizione delle tesi sostenute in appello. Deve essere corrisposta la somma pagata per l’acquisto delle merci. Del resto, la Corte territoriale non ha equivocato fra costo e valore delle merci, ma «ha assunto un criterio di determinazione del valore diverso da quello proposto dal ricorrente, specificando che – agli effetti del contratto di assicurazione – come tale deve intendersi la somma occorrente per l’acquisto delle merci non il prezzo di vendita al pubblico, che include il margine di guadagno del commerciante e quindi il profitto sperato». Certamente, non sempre il costo della merce corrisponde al valore della stessa, ma «qualora non sia stato pattuito il rimborso del lucro sperato è la legge stessa che fa coincidere costo e valore, agli effetti dell’indennizzo».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 8 – 26 marzo 2012, numero 4828 Presidente Finocchiaro – Relatore Lanzillo Premesso in fatto - Il 26 gennaio 2012 è stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell'articolo 380 bis cod. proc. civ. 1.— Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Ancona ha confermato il rigetto — disposto dal tribunale di Macerata, sez. dist. di Civitanova Marche — della domanda proposta dalla s.r.l. I Giorgetti 1998 contro la s.p.a. Milano Assicurazioni per ottenere l'integrale pagamento dell'indennizzo ad essa spettante in forza della polizza in corso, avente ad oggetto l'assicurazione contro il furto. A seguito della sottrazione di capi di abbigliamento ed accessori dall'esercizio commerciale gestito in Recanati dall'assicurata, la Milano ha versato a titolo di indennizzo la somma di L. 46.500.000, a fronte di una richiesta di L. 116.279.000. L'assicurata ha proposto domanda giudiziale per il pagamento della differenza. La Corre di appello ha motivato il rigetto della domanda in base al principio che l'indennizzo deve essere quantificato in misura corrispondente al costo di acquisto delle merci da parte del negoziante non con riferimento al prezzo di rivendita al pubblico, come richiesto dall'assicurata, poiché a norma dell'articolo 1905, 2 comma, cod. civ., l'assicuratore non risponde del profitto sperato, se non nel caso in cui si sia espressamente obbligato in tal senso, il che non si è veri Beato nel caso in esame. La Giorgetti propone due motivi di ricorso per cassazione. Resiste l'intimata con controricorso. 2.- Con il primo motivo, denunciando violazione degli att. 1372, 1905 e 1908 cod. civ., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente assume che è stato violato il principio per cui il contratto ha forza di legge fra le parti, poiché la polizza commisura l'indennizzo al valore delle merci, mentre la Corte di appello lo ha commisurato al costo. Con il secondo motivo lamenta difetto di motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha escluso essere stato pattuito l'indennizzo anche per il lucro cessante, mentre essa aveva dedotto specifici capitoli di prova testimoniale sul punto, immotivatamente non ammessi. 3.- Il primo motivo è inammissibile perché inidoneo a confutare le argomentazioni della sentenza impugnata. La ricorrente si limita a riproporre apoditticamente gli argomenti a cui la Corte di appello ha esaurientemente risposto. La Corte non ha equivocato fra costo e valore delle merci, ma ha assunto un criterio di determinazione del valore diverso da quello proposto dalla ricorrente, specificando che - agli effetti del contratto di assicurazione — come tale deve intendersi la somma occorrente per l'acquisto delle merci non il prezzo di rivendita al pubblico, che include il margine di guadagno del commerciante e quindi il profitto sperato. A tali argomentazioni la ricorrente non risponde, limitandosi a ribadire la sua tesi, secondo cui il prezzo di acquisto costituirebbe il costo e non il valore della merce. Indubbiamente si tratta anche del costo della mercé per il negoziante, ma in primo luogo non è detto che esso coincida sempre con il valore ciò non avviene, per esempio, qualora i prezzi di acquisto siano cresciuti o diminuiti, alla data del sinistro, sicché il ripristino del magazzino comporti per il commerciante una spesa diversa da quella affrontata per acquistare le merci sottratte . In secondo luogo, anche quando le due voci coincidano, è la legge stessa - non un'arbitraria interpretazione della Corte di appello - che fa coincidere costo e valore, agli effetti dell'indennizzo, qualora non sia stato pattuito il rimborso del lucro sperato. 4.- Il secondo motivo è manifestamente infondato, poiché il contenuto dei capitoli di prova di cui la ricorrente lamenta la mancata ammissione è irrilevante se non addirittura controproducente al fine di dimostrare che le parti avevano concordato l’indennizzabilità della perdita da lucro cessante. Essi tendono a dimostrare che l'assicurata avrebbe voluto assicurare un valore maggiore, tale da includere il valore di rivendita, ma ne fu dissuasa dalla compagnia assicuratrice ciò conferma che il maggior valore non venne assicurato né è stata dedotta in giudizio l'eventuale responsabilità dell'assicuratore per mala fede nel corso delle trattative . Correttamente, pertanto, i giudici del merito hanno ritenuto irrilevanti le prove dedotte. 5.- Propongo che il ricorso sia rigettato, con provvedimento in Camera di consiglio . - La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti. - Il P.G. non ha depositato conclusioni scritte. La ricorrente ha depositato memoria. Considerato in diritto Il Collegio, all'esito dell'esame del ricorso, ha condiviso la soluzione e gli argomenti prospettati dal relatore, che le argomentazioni difensive contenute nella memoria non valgono a disattendere. La ricorrente assume che il profitto sperato di cui l'articolo 1905 esclude il rimborso non riguarda il ricarico del commerciante sul prezzo di vendita rispetto a quello di acquisto delle merci, ma ulteriori vantaggi che l'assicurato si proponeva di ritrarre dal bene sottrattogli. Trattasi di interpretazione in contrasto con il testo letterale della norma, che non distingue fra le modalità e le fattispecie con cui l'assicurato può trarre profitto dalla merce. Vero è invece che l'indennizzo va commisurato al danno conseguente al sinistro e nel caso in esame il danno concretamente subito dall'assicurato si concretizza nella spesa che egli deve sostenere per il ripristino dei beni sottratti, cioè nel costo di acquisto della merce. Il sovrappiù ricavabile dalla rivendita è profitto, ed è anche sperato, non essendovi mai la certezza di poter rivendere tutta la merce acquistata. Quanto ai capitoli di prova dedotti allo scopo di dimostrare una diversa pattuizione, ne va confermata l'inammissibilità anche ai sensi dell'articolo 2722 cod. civ., trattandosi di prove dirette a dimostrare patti aggiunti o contrari al contenuto del documento scritto ed in particolare al contenuto di un contratto di assicurazione, la cui prova deve essere fornita per iscritto . Il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per onorari oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.