Panni stesi e terrazze, questa è l’ultima goccia

In assenza di una servitù di stillicidio, acquisibile anche per usucapione o destinazione del padre di famiglia, attenzione a come stendere i panni all’aria aperta occorre, infatti, evitare lo sgocciolamento sul terrazzo sottostante.

Lo ha stabilito la Sesta sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza numero 14547/12. Il caso una classica lite condominiale. La proprietaria di un appartamento conveniva in giudizio la proprietaria dell’appartamento soprastante, a causa della sua cattiva abitudine di appendere la biancheria fresca di bucato fuori dalle finestre affacciare sul cortile interno e, soprattutto, sul terrazzo dell’attrice. I panni bagnati, infatti, sgocciolavano sul terrazzo di quest’ultima che lamentava perciò l’illegittima costituzione di una servitù di stillicidio. I due gradi del giudizio di merito avevano esiti opposti il Tribunale di Brescia respingeva la domanda, ammettendo l’esistenza di una servitù di ‘sgocciolamento’ per destinazione del padre di famiglia, derivante dall’installazione ad opera del precedente proprietario dell’appartamento ‘di sopra’ dei supporti metallici su cui tendere il filo da bucato. La Corte d’Appello, al contrario, negava la sussistenza della servitù di stillicidio sul terrazzo di pertinenza della ricorrente. Quale servitù per i panni? La questione centrale, affrontata e risolta dalla Cassazione con l’ordinanza in commento, risulta quindi essere quella delle caratteristiche della servitù in parola. In particolare, occorre chiarire se sussista il requisito dell’apparenza, necessario per l’acquisto di una servitù per usucapione o destinazione del padre di famiglia. La Suprema Corte, che respinge il ricorso della vicina del piano di sopra, qualifica l’azione proposta della vicina ‘di sotto’ come negatoria servitutis, diretta cioè ad ottenere la rimozione dei fatti posti in essere dal vicino che afferma così un diritto di natura reale sulla terrazza. In tal modo viene sgombrato il campo dalla non conferente disciplina delle immissioni. L’apparenza non inganna no al bagnato. Inoltre, proseguono gli Ermellini, per valutare l’esistenza di una simile servitù – che sarebbe stata acquisita per destinazione del padre di famiglia - occorre far riferimento al principio di apparenza, facendo riferimento a segni visibili dell’effettiva presenza del vincolo in concreto, occorre valutare se i supporti metallici su cui tendere i fili da bucato siano considerabili obiettivamente destinati all’esercizio della medesima servitù. Ebbene, tali oggetti, nella valutazione della Corte territoriale confermata in sede di legittimità, non rivelano in maniera in equivoca – per la loro struttura e funzione – l’esistenza del peso gravante sul fondo servente. Ne consegue che la proprietaria del balcone oggetto dello sgocciolamento, al momento dell’acquisto dell’appartamento, non poteva intendere con chiarezza che si volesse assoggettare il suo immobile alla servitù oggetto della controversia e il suo terrazzo alle ‘pozze da bucato’ . Alla ricorrente, perciò, non resta che ingegnarsi e stendere altrove il bucato, lasciando così all’asciutto la vicina di sotto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 6 luglio – 16 agosto 2012, numero 14547 Presidente Goldoni – Relatore Matera Premesso in fatto Il relatore della Sezione ha depositato in Cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c 1 Con atto di citazione del 13-11-2002 S.L. , proprietaria di un appartamento in omissis , al piano rialzato con antistante terrazzo perimetrale, conveniva in giudizio C.L. , proprietaria del piano superiore, per sentirla condannare alla eliminazione di due stenditoi installati sulle due finestre prospicienti il cortile interno, sui quali la convenuta stendeva la biancheria bagnata che sgocciolava sul terrazzo dell'attrice, costituendo illegittimamente una servitù di stillicidio. Nel costituirsi, la convenuta contestava la fondatezza della domanda, sostenendo che i due stenditoi erano stati infissi dall'originario unico proprietario dei due immobili e che, comunque, il regolamento condominiale prevedeva la possibilità dei condomini di servirsi di tali stenditoi. Aggiungeva che l'attrice avrebbe potuto eventualmente chiedere non l'eliminazione degli stenditoi, ma la cessazione dello sgocciolamento. Con sentenza del 21-3-2006 il Tribunale di Brescia rigettava la domanda. In motivazione, esso rilevava che, risultando dagli atti che gli stenditoi erano stati apposti dall'originario unico proprietario dell'immobile, nel rapporto tra i successivi acquirenti dei due appartamenti doveva ritenersi costituita una servitù di stillicidio per destinazione del padre di famiglia, ai sensi dell'articolo 1062 c.c Avverso la predetta decisione proponevano appello principale la S. e appello incidentale condizionato la C. . Con sentenza depositata il 5-11-2010 la Corte di Appello di Brescia, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l'insussistenza della servitù di stillicidio sul terrazzo pertenineziale dell'appartamento della S. . Per la cassazione di tale sentenza ricorre la C. , sulla base di quattro motivi. La S. resiste con controricorso. 2 Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di legge, sostenendo che la Corte di Appello ha fatto erronea applicazione della disposizione dettata dall'articolo 908 c.c., che vieta ai proprietari degli edifici di assoggettare il fondo inferiore allo scolo delle acque, laddove la fattispecie avrebbe dovuto essere inquadrata nell'ambito dell'articolo 844 c.c., relativo alle asserite ma non provate immissioni. Il motivo è manifestamente infondato, avendo i giudici di merito correttamente qualificato come actio negatoria servitutis la domanda attrice, con la quale, come si evince dalla esposizione in fatto della vicenda processuale contenuta nella sentenza impugnata v. pag. 2 , la S. aveva chiesto la condanna della convenuta alla eliminazione dei due stenditoi installati sulle finestre dell'appartamento sovrastante, costituenti servitù di stillicidio a carico del proprio immobile . E invero, come è stato evidenziato da questa Corte, l'azione con la quale il proprietario di una terrazza chiede la rimozione di uno stenditoio, collocato nel confinante edificio ed aggettante sulla terrazza stessa con conseguenti immissioni nella specie, gocciolio di panni e creazione di ombra , deve essere qualificata come negatoria servitutis, ai sensi dell'articolo 949 c.c., implicando i fatti posti in essere dal vicino l'affermazione di un diritto di natura reale sulla terrazza, il cui esercizio per il tempo prescritto dalla legge potrebbe comportare l'acquisto per usucapione della servitù Cass. 30-3-1989 numero 1561 . Qualora, pertanto, la parte agisca in giudizio per ottenere la rimozione degli stenditoi abusivamente apposti dai proprietari degli appartamenti sovrastanti al suo alle proprie balconate e la conseguente cessazione dello sgocciolio sul terrazzo antistante al proprio appartamento, la disciplina applicabile è quella della actio negatoria servitutis e il giudice, nell'esercizio del suo potere di qualificazione della domanda, non può inquadrare la fattispecie nella disciplina delle immissioni, la quale è fondata su presupposti di fatto diversi da quelli dedotti dall'attore Cass. 6-12-1978 numero 5772 . 2 Con il secondo motivo la ricorrente deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostiene che il rilievo della Corte di Appello, secondo cui la mera presenza degli stenditoi sarebbe idonea a creare una servitù di stillicidio, si pone in contraddizione con l'ulteriore affermazione contenuta in sentenza, secondo cui non può essere contestato il diritto della C. a mantenere “l'apparecchio stenditoio installato immurato sulla facciata comune, ma solo quello di servirsene per lo stendimento del bucato, della biancheria appena lavata, cioè in condizione di provocare lo stillicidio”. Il motivo è manifestamente infondato. La Corte di Appello, nel disattendere l'appello incidentale condizionato proposto dalla C. , con cui si sosteneva che la negatoria servitutis azionata dalla S. avrebbe dovuto essere comunque rigettata per la mancanza di prova dell'effettivo sgocciolamento sul terrazzo sottostante, ha rilevato che la servitù di stillicidio, la cui esistenza, negata dall'attrice, era stata invece affermata dalla convenuta, presuppone almeno potenzialmente lo sgocciolamento sul fondo altrui e che, pertanto, discutendosi circa l'esistenza del relativo diritto, non appariva necessaria la prova dell'effettività dello stillicidio. Si tratta di argomentazione congrua e logica, atteso che la C. , nell'invocare l'esistenza di una servitù di stillicidio per destinazione del padre di famiglia, aveva per ciò solo affermato il proprio diritto allo sgocciolamento sul sottostante terrazzo di proprietà della convenuta. In modo non contraddittorio, d'altro canto, la Corte di Appello, una volta accertata l'insussistenza della servitù di stillicidio dedotta dalla convenuta, ha affermato che quest'ultima non poteva servirsi dello stenditoio per stendere il bucato appena lavato, come tale in condizione di provocare lo stillicidio. 3 Con il terzo motivo la ricorrente, dolendosi della violazione degli articolo 908, 844, 1138, 1102 e 1137, sostiene che la presenza degli stenditoi e la facoltà di stendere panni sugli stessi risulta legittimata dall'articolo 2 sub 3 del regolamento di condominio. Il motivo è inammissibile, non confrontandosi con le argomentazioni svolte dalla Corte di Appello, la quale ha osservato che il regolamento condominiale invocato dall'appellata avrebbe potuto spiegare efficacia solo se fosse stato espressamente recepito nell'atto di acquisto dell'immobile in questione, con ciò implicitamente escludendo che nella fattispecie in esame ricorra una simile ipotesi. 4 Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 1061 e 1062 c.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Deduce che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che nella specie non si fosse costituita una servitù di stillicidio per destinazione del padre di famiglia, atteso che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, le opere realizzate dall'originario unico proprietario i supporti metallici sui quali la C. ha poi apposto i fili per stendere i panni prima della cessione delle due unità immobiliari alle parti in causa, non potevano avere altra funzione che quella di reggere i fili su cui appendere i panni. Anche tale motivo deve essere disatteso. È noto che, ai fini della sussistenza del requisito dell'apparenza, necessario per l'acquisto di una servitù per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si richiede la presenza di segni visibili, cioè di opere di natura permanente, obiettivamente destinate all'esercizio della servitù medesima, che rivelino, per la loro struttura e funzione, in maniera inequivoca, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente tra le tante v. Cass. 12-3-2007 numero 5759 Cass. 28-9-2006 numero 21087 Cass. 26-11-2004 numero 22290 . Nel caso in esame, la Corte di Appello, muovendosi nel solco di tale principio, ha ritenuto, con motivazione esente da vizi logici, che la semplice presenza dei supporti metallici o zanche infissi dall'originario unico proprietario nel muro perimetrale, ai lati delle finestre sovrastanti, non lasciava chiaramente intendere che si volesse assoggettare l'immobile inferiore allo sgocciolamento del bucato bagnato e che, pertanto, la S. , al momento dell'acquisto del suo appartamento, non aveva alcuna ragione di ritenere che l'immobile acquistato fosse gravato da servitù di stillicidio. L'apprezzamento espresso al riguardo si sottrae al sindacato di questa Corte. L'accertamento dell'apparenza della servitù, al fine di stabilire se questa possa essere acquistata per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, infatti, costituisce una “quaestio facti” rimessa alla valutazione del giudice del merito e, come tale, è incensurabile in sede di legittimità se sorretta, come nella specie, da una motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici Cass. 17-2-2005 numero 3273 Cass. 25-1-2001 numero 1043 c.c. . Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articolo 376, 380-bis e 375 c.p.c. . La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite. La ricorrente ha depositato una memoria. Ritenuto in diritto Il Collegio condivide la proposta di decisione di cui sopra, osservando che gli argomenti in fatto e in diritto posti a base della soluzione prospettata dal relatore non risultano superati dai rilievi svolti nella memoria depositata dalla ricorrente. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.