In tema di resistenza a pubblico ufficiale, l’elemento materiale della violenza risulta integrato dal comportamento del soggetto che, guidando un veicolo in modo oggettivamente pericoloso, non si limita a tentare la fuga, ma pone volontariamente in pericolo l’incolumità personale degli utenti della strada.
Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 26528/15, depositata il 24 giugno. Il caso. La Corte d’appello di Lecce confermava la condanna di un uomo per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, addebitatogli per non essersi fermato, con la propria macchina, al segnale di alt intimatogli dalla Polizia, dandosi poi alla fuga con manovre di guida pericolose per gli agenti pubblici e gli altri utenti della strada. Ricorre per cassazione l’imputato. Guida pericolosa. Secondo i Giudici di legittimità, il comportamento tenuto dall’uomo rientra perfettamente nell’ambito applicativo dell’articolo 337 c.p. Resistenza a pubblico ufficiale . Richiamando una consolidata e costante giurisprudenza Cass., numero 40/13 , gli Ermellini ribadiscono il principio secondo cui l’elemento materiale della violenza, richiesto per la configurazione del reato di resistenza a p.u., risulta integrato con il comportamento del soggetto che dandosi alla fuga, alla guida di un’autovettura, non si limita a tentare di sottrarsi all’inseguimento, ma pone deliberatamente in pericolo, tramite una guida oggettivamente pericolosa, l’incolumità personale degli agenti inseguitori o di qualunque altro utente della strada. Nel caso di specie, i Giudici di merito hanno osservato che la desistenza dall’inseguimento era stata decisa dai poliziotti inseguitori, dopo aver accertato che, a bordo del veicolo condotto dall’uomo, era presente un neonato e che la condotta di guida spericolata del conducente poteva metterne a rischio l’incolumità, come quella degli altri passeggeri. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 maggio – 24 giugno 2015, numero 26528 Presidente Ippolito – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Lecce ha ribadito la condanna alla pena di sette mesi di reclusione stabilita da quella emessa dal Tribunale di Brindisi, Sezione Distaccata di Ostuni in data 24/11/2011 a carico di F.F. per il reato di resistenza a pubblico ufficiale articolo 337 cod. penumero , contestatogli per avere omesso, a bordo della propria autovettura, di fermarsi al segnale di alt intimatogli da una pattuglia della Polizia di Stato, inscenando una fuga condotta con manovre di guida pericolose per gli operanti e gli altri utenti della strada. Nel respingere i motivi d'appello, la Corte territoriale ha evidenziato il certo riconoscimento eseguito dagli operanti dell'imputato, soggetto da tempo ad essi noto, richiamando poi la pacifica giurisprudenza concernente la configurabilità del reato contestato nella fattispecie in esame. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, deducendo illogicità della motivazione riferita a particolari significativi tipo di autovettura impiegato dagli operanti nell'inseguimento, asserita precisione ed attendibilità delle dichiarazioni rese dall'unico teste escusso della vi cenda oggetto di verifica processuale e violazione dell'articolo 337 cod. penumero , allegando l'assenza dalla condotta contestata di profili di intimidazione o aggressività, atti a condizionare l'operato dei pubblici ufficiali. Considerato in diritto 1. II ricorso è manifestamente infondato e come tale deve essere dichiarato inammissibile. 2. La fattispecie dell'inottemperanza all'ordine di arresto impartito con posto di blocco auto stradale, cui faccia seguito la fuga del soggetto con attuazione di manovre di guida pericolose per sé, per gli agenti di polizia inseguitori e in genere per gli utenti dei tratti stradali interessati rientra pacificamente nel paradigma di cui all'articolo 337 cod. penumero La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, infatti, costantemente riafferma il principio che in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra l'elemento materiale della violenza la condotta dei soggetto che si dia alla fuga, alla guida di una autovettura, non limitandosi a cercare di sottrarsi all'inseguimento, ma ponendo deliberatamente in pericolo, con una con dotta di guida obiettivamente pericolosa, l'incolumità personale degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada Sez. F, sent. numero 40 del 10/09/2013, E, Rv. 257915 Sez. 2, sent. numero 46618 del 20/11/2009, Corrado e altri, Rv. 245420 Sez. 2, sent. numero 41419 del 18/09/2009, Lorusso, Rv. 245243 Sez. 4, sent. numero 41936 del 14/07/2006, Campicello, Rv. 235535 Sez. 6, sent. numero 31716 del 08/04/2003, Laraspata, Rv. 226251 e altre conformi . Nella specie, la Corte territoriale ha precisato che la desistenza dall'inseguimento era stata deliberata dagli agenti di polizia inseguitori dopo avere acclarato che a bordo dei veicolo condotto dall'imputato si trovava anche un neonato e che le spericolate manovre di guida attuate dal conducente potevano porne in pericolo l'incolumità, al pari di quella degli altri passeggeri. L'altro motivo di ricorso attiene a profili di esclusivo merito della decisione impugnata, sui quali i giudici d'appello hanno congruamente motivato, con impiego di argomenti insuscettibili di censure sul piano logico pag. 2 sentenza a dispetto della formale definizione motivazione illogica , esso non contesta la decisione sotto tale profilo, ma si limita a reiterare temi se l'autovettura usata dagli inseguitori fosse o meno dotata dei colori d'istituto delle forza di polizia di appartenenza, se gli operanti lo avessero con certezza riconosciuto alla guida del veicolo già dedotti nei gradi di merito dei giudizio e sui quali è intervenuta puntuale e adeguata pronunzia. 3. Alla dichiarazione d'inammissibilità dell'impugnazione segue, come per legge, la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in € 1.000,00 mille . P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 mille in favore della cassa delle ammende.