A separazione in corso arriva l’ulteriore ‘bomba’ l’uomo vuole disconoscere il figlio, alla luce delle prove biologiche che rendono finalmente concreto il sospetto del tradimento da parte della moglie. Pomo della discordia, in ambito giudiziario, è la legittimità dell’azione. Decisivo è l’accertamento dell’infedeltà, che, in questo caso, arriva solo con i test biologici che attestano la non compatibilità tra padre e figlio.
Il timore del tradimento, ovvero l’onta più grave per un marito la propria moglie a letto con un altro uomo. Con l’aggiunta del tarlo di un dubbio enorme mio figlio è davvero mio figlio? Così si spiega il ricorso ad un’agenzia investigativa a matrimonio in corso. Ma se questa operazione non porta frutto, ossia non attesta l’adulterio, allora l’azione di disconoscimento della prole, a distanza di un decennio, non può ritenersi decaduta fondamentale il Dna Cassazione, sentenza numero 11405, sezione prima civile, depositata oggi . Sgradita scoperta. Avviato, oramai, il percorso per la chiusura del rapporto coniugale, con relativo giudizio di separazione, a rendere la situazione ancor più delicata e complessa è l’azione di disconoscimento della paternità promossa dall’uomo, messa in moto a quasi dieci anni dalla nascita del figlio e fondata sulla scoperta che «la moglie aveva commesso adulterio». Ma, secondo la donna, l’azione non è più proponibile perché il marito si era «rivolto a un’agenzia di investigazioni già anni prima», per giunta senza «aver fornito la prova dell’adulterio» Quale linea è condivisibile? Per i giudici, sia di primo che di secondo grado, nessun dubbio accolta la domanda di disconoscimento. Per un motivo fondamentale nonostante l’«incarico a un’agenzia investigativa», solo «l’esito degli esami biologici», fatti eseguire dall’uomo, aveva portato alla «certezza dell’adulterio». A tale proposito, peraltro, viene anche richiamata la decisione della Corte Costituzionale – numero 266 del 2006 – con cui è stata stabilita l’illegittimità della norma che «ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina le prove biologiche alla previa dimostrazione dell’adulterio». Ecce probatio. È ancora la tempistica da applicare alla richiesta di disconoscimento della paternità, però, l’elemento rimesso nuovamente in discussione dalla donna su questo cardine, difatti, si fonda il ricorso proposto in Cassazione. Secondo la tesi proposta ai giudici di terzo grado, difatti, l’uomo aveva «appreso in epoca anteriore dell’adulterio» a testimoniarlo una foto ‘compromettente’ scoperta dall’uomo e il fatto che quest’ultimo si fosse rivolto, come detto, a un’agenzia investigativa per «verificare il sospetto di infedeltà». Ma questi elementi sono di poca consistenza, ad avviso dei giudici, i quali, richiamando il principio secondo cui «solo dalla conoscenza certa dell’adulterio decorre il termine per l’esercizio dell’azione di disconoscimento», ribadiscono, condividendo quanto affermato in Appello, che «la certezza dell’adulterio» è arrivata solo con l’«acquisizione dei dati genetici». Complessivamente, quindi, la «certezza dell’adulterio» è stata «acquisita» entro i termini previsti legittima, di conseguenza, l’azione, e legittimo, in maniera definitiva, l’accoglimento della domanda proposta dall’uomo.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 febbraio – 6 luglio 2012, numero 11405 Presidente Luccioli – Relatore Campanile Svolgimento del processo 1. - Con atto di citazione notificato in data 7 febbraio 2005 D.A. conveniva in giudizio la moglie M.G. - nei cui confronti pendeva giudizio di separazione personale, nonché il figlio A., nato il 3 giugno 1996 e rappresentato dal curatore speciale, promuovendo azione di disconoscimento della parernità, per aver scoperto che la moglie aveva commesso adulterio, ragion per cui era convinto di non essere il padre biologico del predetto minore. La M., costituitasi, eccepiva la decadenza dall’azione, ai sensi dell’articolo 244 c.c., per essersi il D. rivolto a un’agenzia di investigazioni già anni prima, e, comunque, per non aver fornito la prova dell’adulterio. 1.1. - Il Tribunale di Vicenza, con sentenza in data 18 aprile 2008, accoglieva la domanda di disconoscimento. 1.2. - La Corte di appello di Venezia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dalla M., la quale aveva ribadito l’eccezione di decadenza, sostenendo, sulla base degli atti relativi alla separazione personale dell’incarico dato a un’agenzia investigativa nell’anno 2002, che il marito da anni aveva avuto la certezza della propria relazione con tale S. L’appellante aveva altresì riproposto una serie di rilievi, inerenti dei test biologici fatti eseguire dal D., all’attendibilità della teste B. e, infine, alle valutabilità del rifiuto di sottoporre il minore a prelievo ematico. La Corte territoriale riteneva che il D. avesse conseguito la certezza dell’adulterio solo attraverso l’esito degli esami biologici da lui fatti eseguire, osservando che il dato relativo a un precedente incarico a un’agenzia investigativa, senza che si conoscesse l’esito della relativa indagine, non comportava il convincimento dell’acquisizione della consapevolezza in merito all’adulterio stesso. Veniva richiamata la decisione numero 266 del 2006 della Corte costituzionale, la quale era stata dichiarata l’illegittimità articolo 235, comma 1, numero 3 c.c., nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina le prove biologiche alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie. Si ribadivano i principi in tema di valore probatorio del rifiuto di sottoporsi a prelievi ematici, confermandosi le valutazioni di attendibilità compiute dal tribunale in merito alle deposizioni testimoniali acquisite. Per la cassazione di tale decisione la M. propone ricorso, affidato ad unico e articolato motivo, illustrato da memoria, cui il D. resiste con controricorso. Motivi della decisione 2. - Preliminarmente va rilevato che l’omessa notifica al Procuratore Generale presso la Corte di appello di Venezia non assume rilievo, dovendosi applicare il principio secondo cui, nei casi di intervento obbligatorio del P.M., l’omessa notifica del ricorso per cassazione al P.G. presso la Corte d’appello non è causa di inammissibilità allorquando il provvedimento impugnato abbia accolto le richieste del P.G. infatti, la notifica del ricorso è finalizzata a consentire l’esercizio dell’impugnazione e, siccome l’interesse ad impugnare – in ragione del quale avrebbe dovuto farsi luogo ad integrazione del contraddittorio - è costituito dalla soccombenza, l’omissione non comporta alcuna conseguenza nei confronti di tele organo, la cui domanda è stata interamente accolta dalla Corte territoriale, mentre il controllo sulla legittimità della decisione di quest’ultima è assicurato dall’intervento del P.G. presso la Corte di cassazione Cass., 5 marzo 2008, numero 5953 . 2.1. - Con unico e articolato motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 244 e 235 c.c., nonché degli articolo 2697 e 2696 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’articolo 360, primo comma, numero 3, e numero 5 c.p.c., svolgendosi rilievi critici in merito al rigetto dell’eccezione di decadenza dall’azione di disconoscimento, per aver il D. appreso in epoca anteriore, rispetto a quella individuata dai giudici del merito, l’adulterio della moglie. 3. - Il ricorso è infondato. Con prospettazioni al limite dell’inammissibilità la ricorrente, mediante i vizi denunciati, tenta di proporre una diversa lettura, a lei più favorevole, delle risultanze processuali, la cui valutazione, effettuata dalla corte con adeguato rigore, risulta motivata in maniera coerente e logica. Con deduzioni meramente assertive si ribadisce la tesi secondo cui il D. sarebbe venuto a conoscenza dell’adulterio per aver scoperto una fotografia del figlio A. tenuto in braccio da un uomo a cavallo, e per essersi rivolto a un investigatore, allo scopo di verificare il sospetto di infedeltà della moglie. La Corte di appello, richiamato il principio secondo cui solo dalla conoscenza certa dell’adulterio decorre il termine per l’esercizio dell’azione di disconoscimento, ha posto in evidenza l’inconsistenza delle circostanze allegate dalla M., in maniera del tutto condivisibile, ove si consideri la scarsa significanza della menzionata fotografia e l’affidamento dell’incarico a un’agenzia investigativa senza che se ne conosca il relativo esito , e, soprattutto, in assenza di qualsiasi riferimento di natura cronologica. Sulla base degli elementi acquisiti la corte distrettuale ha correttamente ricollegato la certezza dell’adulterio all’acquisizione dei dati genetici da parte del ricorrente, non perché essi, da soli, possono costituire la relativa prova, ma perché, con riferimento alla ricostruzione della vicenda, si è ritenuto, senza che le circostanze allegate nel ricorso possano scalfirne la validità, che le certezza dell’adulterio era stata acquisita entro il termine previsto dall’articolo 244 c.c Quanto alla prova del presupposto in esame, il caso è emblematico della validità, sul piano logico giuridico, della decisione della Corte costituzionale numero 266 del 206, i cui principi sono stati correttamente applicata nella sentenza impugnata. 8 - Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ricorrendo giusti motivi, avuto riguardo alla deli-catezza della vicenda, per l’integrale compensazione delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa interamente le spese processuali inerenti al presente giudizio di legittimità. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.