Licenziamento oltre il 120° giorno? Il lavoratore ha comunque diritto all’indennità di mobilità

In materia di licenziamento per cessazione dell’attività, ai sensi dell’articolo 4, l. numero 223/1991, l’eventuale licenziamento di un dipendente oltre il termine di 120 giorni dalla conclusione della procedura di mobilità non impedisce al dipendente l’esercizio della facoltà di chiedere direttamente all’ufficio del lavoro competente l’iscrizione nelle liste di mobilità nel caso in cui la protrazione del licenziamento oltre il termine non sia prevista nell’accordo collettivo conclusivo per fatto imputabile al datore di lavoro.

Lo ha affermato, con la sentenza numero 13112, depositata il 27 maggio 2013, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro. Licenziamento oltre il 120° giorno successivo alla conclusione della procedura il lavoratore ha diritto all’indennità di mobilità? La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso da un lavoratore al fine di ottenere il riconoscimento del diritto all’iscrizione nelle liste di mobilità ed al percepimento della connessa indennità, a seguito del suo licenziamento, avvenuto oltre il 120° giorno successivo alla conclusione della relativa procedura di mobilità, in ragione del suo temporaneo trattenimento in servizio. Pur avendo i giudici di merito riconosciuto la riconducibilità del licenziamento alla procedura di mobilità ed accertato che tale tardivo licenziamento non era stato previsto nell’accordo sindacale conclusivo a causa della non tempestiva regolarizzazione del dipendete in questione, a quest’ultimo è stato negato il diritto all’iscrizione nelle liste di mobilità ed al percepimento della relativa indennità. I licenziamenti devono avvenire entro 120 giorni dal termine della procedura. A norma dell’articolo 24, l. numero 223/1991, le disposizioni relative alla mobilità si applicano alle imprese che occupino più di quindici dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di 120 giorni. Tali disposizioni si applicano per tutti i licenziamenti che, nello stesso arco di tempo, siano comunque riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione. La disciplina applicabile per la mobilità si articola in una iniziale comunicazione del datore di lavoro alle organizzazioni sindacali ed all’ufficio del lavoro, in un possibile confronto con il sindacato, e si conclude con un accordo o con l’inutile decorso del termine per raggiungerlo, cui segue la messa in mobilità dei lavoratori e l’erogazione dell’indennità di mobilità. La Cassazione sottolinea i punti deboli della disciplina vigente. La pronuncia in commento evidenzia alcuni profili di criticità della summenzionata disciplina. Innanzitutto, può accadere che taluni licenziamenti, pur attinenti all’unitario processo di mobilità, devono essere intimati oltre il termine di 120 giorni stabilito dalla legge, per la necessità della procedura stessa, con possibile danno per i dipendenti trattenuti temporaneamente in servizio, sul piano dell’acquisizione dell’indennità di mobilità, atteso che la cessazione di ogni attività o la dismissione di determinati settori operativi può rendere necessario mantenere temporaneamente in servizio alcuni lavoratori, per il disbrigo di alcune incombenze. A tale inconveniente ha inteso porre rimedio l’articolo 8, comma 4, d.l. numero 148/1993, conv. in l. numero 236/1993, a norma del quale il collocamento in mobilità entro 120 giorni deve riguardare tutti i lavoratori oggetto della procedura, salvo diversa indicazione nell’accordo sindacale. Parimenti, può accadere che il lavoratore perda i benefici della mobilità a causa di un comportamento omissivo del datore di lavoro, che ometta di richiedere l’iscrizione dei lavoratori licenziati nelle liste di mobilità. Sul punto è intervenuta la Corte costituzionale, affermando che il lavoratore pregiudicato dal comportamento omissivo del datore di lavoro ha comunque la possibilità di evitare il relativo danno, chiedendo personalmente, entro 60 giorni dal licenziamento, l’iscrizione nelle liste di mobilità Corte Cost. numero 6/1999 . Se il ritardo è dipeso dal datore, il lavoratore ha diritto all’indennità . Nella stessa logica garantistica della Corte costituzionale, la pronuncia in commento ha confermato che questa facoltà del lavoratore licenziato, estesa a tutti i casi di licenziamento collettivo per i quali è stata attivata o doveva essere attivata la procedura di mobilità, non è impedita, in caso di licenziamento comminato oltre il 120° giorno successivo alla conclusione della procedura, dalla mancata previsione di tale slittamento da parte dell’accordo collettivo conclusivo, ove ciò sia imputabile a fatto del datore di lavoro cfr. Cass. numero 12143/2003 . Già in altre occasioni, peraltro, la Cassazione ha affermato che il termine di 120 giorni è un termine ordinatorio e non perentorio , come tale suscettibile di essere prorogato in presenza di adeguate giustificazioni cfr. Cass. numero 23227/2010 . Nella fattispecie, la Corte di Cassazione non ha dubbi le inadempienze dal datore di lavoro non possono ripercuotersi sul dipendente, in termine di perdita dell’indennità di mobilità.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 marzo - 27 maggio 2013, numero 13112 Presidente Roselli – Relatore Ianniello Svolgimento del processo La sentenza della Corte d'appello di Lecce, della quale R.L. chiede, con due motivi, la cassazione, ha respinto la domanda principale da lui proposta al fine di ottenere la dichiarazione del suo diritto nei confronti dell'INPS e della Regione Puglia all'iscrizione nelle liste di mobilità e a percepire l'indennità di mobilità, a seguito del suo licenziamento del 31 maggio 2002 da parte della datrice di lavoro RA.GI. s.r.l., avvenuto nel quadro del licenziamento di tutto il personale della società, ancorché, per il R. , oltre il 120^ giorno successivo alla conclusione, in data 27 dicembre 2001, della relativa procedura di mobilità, in ragione del suo temporaneo trattenimento in servizio, quale ragioniere contabile, per il disbrigo delle ultime pratiche buro-cratiche. La Corte territoriale, pur dando atto dell'incontestata unitarietà logica, cronologica e aziendale tra il licenziamento del ricorrente e la procedura di mobilità per la cessazione dell'attività, ha ritenuto l'infondatezza della domanda del R. , per il superamento del suddetto termine di 120 giorni e la mancata previsione, nell'accordo collettivo che aveva concluso la procedura, della protrazione di esso fino alla data del suo licenziamento condizione che sarebbe necessaria, secondo quanto stabilito dall'articolo 8 quarto comma del D.L. numero 148/1993, convertito il L. numero 236/1993, per ottenere il collocamento in mobilità , rilevando che comunque lo stesso lavoratore avrebbe potuto, ai sensi dell'articolo 4, primo comma del D.L. numero 148/1993, presentare, nell'inerzia del datore di lavoro, tempestiva domanda di mobilità, cosa che egli aveva fatto solo tardivamente rispetto al termine di sessanta giorni ivi stabilito. L'INPS ha depositato una procura speciale in calce al ricorso notificato. Né la Regione né il - fallimento [nel frattempo intervenuto, del calzaturificio RA.GI s.r.l., originariamente destinatario di una domanda subordinata di risarcimento danni in ordine alla quale la Corte aveva dichiarato, con sentenza parziale, la propria incompetenza funzionale , si sono costituiti in questa sede. Il ricorrente ha depositato una memoria a norma dell'articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1 - Col primo motivo di ricorso, L R. denuncia la violazione del primo comma dell'articolo 24 della L. numero 223 del 1991, come interpretato dall'articolo 8, quarto comma del D.L. numero 148/1993, convertito in L. numero 236/1993 nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata. In proposito, il ricorrente sostiene che l'interpretazione letterale della norma indicata, così come effettuata dalla Corte territoriale, tradirebbe la ratio sostanziale della stessa, alla stregua della quale andrebbe riconosciuto al ricorrente il diritto azionato, essendo pacifico che egli era stato dipendente della società dal febbraio 2000 al 31 maggio 2002 nonostante la sua regolarizzazione fosse avvenuta solo tardivamente , che era in possesso dei requisiti di legge per ottenere l'indennità di mobilità essendo stato, per di più, contraddittoriamente, iscritto, ancorché con ritardo, nelle relative liste, ma senza ottenere il trattamento economico relativo , che il licenziamento in data diversa da quella degli altri dipendenti era dipeso dal necessario disbrigo delle ultime pratiche e che il ritardo della datrice di lavoro nel segnalare la sua situazione traeva origine da irregolarità ad essa imputabili. 2 - Col secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'articolo 4, primo comma del D.L. numero 148/1993 e il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che egli, nella situazione di mancata attivazione da parte della società, avrebbe comunque potuto presentare la domanda di iscrizione nelle liste di mobilità nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento, mentre sarebbe rimasto inattivo fino al 13 settembre 2002, quando, ormai tardivamente, aveva proposto tale domanda di i-scrizione. In proposito, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello non avrebbe tenuto in alcun conto la sua deduzione di essere venuto a conoscenza dell'avvenuta regolarizzazione della sua posizione previdenziale solo nel settembre 2002 e di essersi pertanto potuto attivare solo successivamente a tale conoscenza. 3. Il ricorso, i cui due motivi vanno esaminati congiuntamente, è fondato. L'articolo 24 della legge numero 223 del 1991 stabilisce che le disposizioni relative alla mobilità si applicano alle imprese che occupino più di quindici dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro ma anche in caso di cessazione dell'attività intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell'arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia. Tali disposizioni si applicano per tutti i licenziamenti che, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, siano comunque riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione . La disciplina applicabile per la mobilità è poi prevista dall'articolo 4 della medesima legge e si articola in una iniziale comunicazione del datore di lavoro alle OO.SS. e all'ufficio del lavoro ivi indicato, in un possibile confronto col sindacato e si conclude con un accordo o con l'inutile decorso del termine per raggiungerlo, cui segue, per quanto qui interessa, la messa in mobilità dei lavoratori, l'iscrizione degli stessi nelle liste di mobilità e l'erogazione dell'indennità di mobilità a coloro che risultano in possesso dei requisiti prescritti. In tale quadro di riferimento e in considerazione della possibilità che taluni licenziamenti, pur attinenti all'unitario processo di mobilità, debbano essere intimati oltre il termine di 120 giorni stabilito dalla legge, per le necessità della procedura stessa la decisione di cessare ogni attività o la dismissione di determinati settori operativi può infatti rendere necessario mantenere temporaneamente in servizio alcuni dipendenti per il disbrigo di alcune incombenze destinate a esaurirsi in breve , con possibile danno per i lavoratori trattenuti temporaneamente in servizio, sul piano dell'acquisizione delle provvidenze previste in caso di mobilità, l'articolo 8, quarto comma del D.L. numero 148 del 1993, convertito nella legge numero 236 del medesimo anno stabilì che la disposizione di cui all'articolo 24, comma 1, ultimo periodo della legge 23 luglio 1991 numero 223 si interpreta nel senso che la facoltà di collocare in mobilità i lavoratori di cui all'articolo 4, comma 9 della medesima legge deve essere esercitata per tutti i lavoratori oggetto della procedura di mobilità entro centoventi giorni dalla conclusione della procedura medesima, salvo diversa indicazione nell'accordo sindacale di cui al medesimo articolo 4, comma 9 . Un altro profilo di criticità della normativa descritta, individuato dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito, era rappresentato dalla possibilità per il lavoratore di perdere i benefici della mobilità anche a causa di un comportamento omissivo del datore di lavoro, il quale avesse violato le regole relative, omettendo pertanto di richiedere l'iscrizione dei lavoratori licenziati nelle liste di mobilità. La questione costituì oggetto di un rinvio della legge numero 223/1991 alla Corte costituzionale in occasione di un giudizio in cui il lavoratore lamentava che il datore di lavoro, avendo licenziato oralmente tutti i dipendenti dell'azienda, senza attivare pertanto la procedura di mobilità, aveva compromesso il suo diritto alle provvidenze di cui agli articolo 6 e 7 della legge numero 223. Al riguardo, la Corte Costituzionale intervenne con la sentenza numero 6 del 21 gennaio 1999, per dissipare, attraverso una interpretazione adeguatrice delle norme di legge censurate, i dubbi di costituzionalità espressi dal giudice remittente, con l'affermare che il lavoratore pregiudicato dal comportamento omissivo del datore di lavoro ha la possibilità di evitare il relativo danno, attivandosi, ai sensi dell'articolo 4, primo comma del citato D.L. 20 maggio 1993 numero 148 disposizione espressiva di un ampliamento della tutela dei lavoratori , col chiedere personalmente, entro sessanta giorni dal licenziamento, l'iscrizione nelle liste di mobilità alla sezione circoscrizionale per l'impiego. Secondo la Corte costituzionale, resterebbe poi a carico dell'ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione l'ulteriore controllo circa l'esistenza degli eventuali presupposti oggettivi e soggettivi necessari per la corresponsione dell'indennità di mobilità. Nella logica garantista in cui si muove la pronuncia citata della Corte costituzionale, deve ritenersi che questa facoltà del lavoratore licenziato di chiedere l'iscrizione nelle liste di mobilità, estesa a tutti i casi di licenziamento collettivo per i quali è stata attivata o doveva essere attivata la procedura di cui all'articolo 4 della legge numero 223 del 1991 cfr. Cass. 19 agosto 2003 numero 12143 , non sia impedita, in caso di licenziamento caduto oltre il 120^ giorno successivo alla conclusione della procedura, dalla mancata previsione di tale slittamento, ai sensi dell'articolo 8, quarto comma del citato D.L. numero 148 del 1993, nell'accordo collettivo conclusivo, ove ciò sia imputabile a fatto del datore di lavoro. Le ragioni che sostengono tale interpretazione della disciplina in esame sono infatti le stesse che, nell'occasione ricordata, furono dalla Corte costituzionale addotte nel patrocinare l'interpretazione adeguatrice riferita e sono riassumibili nella ratio propria della disciplina medesima, di impedire che eventuali inadempimenti del datore di lavoro nella materia addirittura fino all'estremo della mancata attivazione della mobilità si risolvano, soprattutto nel caso di cessazione dell'attività, a svantaggio dei dipendenti licenziati. Devesi infine ribadire che questa possibilità attribuita al lavoratore dall'articolo 4, primo comma del D.L. numero 148 del 1993 non può ritenersi limitata in maniera assoluta dalla previsione del suo esercizio entro il termine di sessanta giorni dal licenziamento, in ordine al quale questa Corte ha già avuto modo di precisare che trattasi di un termine ordinatorio cfr., in motivazione, la citata Cass. numero 12143/2003 e pertanto suscettibile di essere prorogato in presenza di adeguate giustificazioni cfr. Cass. 17 novembre 2010 numero 23227 . Nel caso in esame, è stato accertato in giudizio che la datrice di lavoro del R. , la Calzaturificio RA.GI. s.r.l., aveva attivato per tutti i dipendenti numero 110 la procedura di mobilità di cui all'articolo 4 della legge numero 223 del 1991, che questa si era conclusa con l'accordo sindacale del 27 dicembre 2001, cui era immediatamente seguita la messa in mobilità dei dipendenti, ad eccezione del ricorrente, licenziato solo in data 31 maggio 2002. Non è peraltro contestato in giudizio ed è stato accertato inoppugnabilmente dai giudici di merito che anche quest'ultimo licenziamento era riconducibile alla decisione del datore di lavoro di cessare l'attività e che la sua protrazione nel tempo oltre i 120 giorni dalla conclusione della procedura di cui all'articolo 4 della legge numero 223 del 1991 fu dovuta alla necessità del disbrigo da parte del R. delle ultime pratiche burocratiche il ricorrente aveva infatti la qualifica di ragioniere contabile . Altrettanto pacifica in giudizio è la ragione per cui tale protrazione del licenziamento del R. non figura dell'accordo collettivo conclusivo della procedura, consistente nella mancata tempestiva regolarizzazione della sua posizione lavorativa, solo successivamente, nel giugno 2002, effettuata dall'impresa relativamente al periodo dal febbraio 2000 al 31 maggio 2002 e quindi costituente fatto imputabile a quest'ultima. Tali inadempienze del datore di lavoro non possono pertanto ridondare a scapito del dipendente, in termini di perdita delle provvidenze previste per il licenziamento in questione, ove ne ricorrano le altre condizioni. Infine, secondo quanto in precedenza argomentato, non può costituire ostacolo all'accesso al trattamento rivendicato il fatto che il ricorrente abbia proposto domanda di iscrizione alle liste solo nel settembre 2002, oltre il termine di sessanta giorni dal licenziamento, ove tale ritardo venga dallo stesso giustificato dalla ricorrenza di gravi motivi. In base alle considerazioni svolte e nei limiti delle stesse, il ricorso è fondato e va accolto con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, ad altro giudice che dovrà altresì accertare la giustificatezza o non del ritardo con cui il ricorrente ha chiesto alla Commissione regionale il riconoscimento delle provvidenze stabilite per la mobilità. In osservanza di quanto previsto dal primo comma dell'articolo 384 c.p.c., la Corte enuncia infine i seguenti principi di diritto 1 - In materia di licenziamento per cessazione dell'attività ai sensi dell'articolo 24 della legge numero 223 del 1991, l'eventuale licenziamento di un dipendente oltre il termine di 120 giorni dalla conclusione della procedura di mobilità, previsto dal primo comma dell'articolo suddetto, come interpretato dall'articolo 8, quarto comma del D.L. numero 148/1993, convertito nella L. numero 236/1993, non impedisce al dipendente l'esercizio della facoltà, attribuitagli dall'articolo 4, primo comma del medesimo D.L. numero 148/1993, di chiedere direttamente all'ufficio del lavoro competente l'iscrizione nelle liste di mobilità nel caso in cui la protrazione del licenziamento oltre il termine non sia prevista nell'accordo collettivo conclusivo della procedura per fatto imputabile al datore di lavoro . 2 - In materia di licenziamento per cessazione dell'attività ai sensi dell'articolo 24 della legge numero 223 del 1991, il termine di sessanta giorni dal licenziamento, che l'articolo 4, primo comma del D.L. numero 148/1993, convertito nella L. numero 236/1993 stabilisce per l'esercizio da parte del dipendente licenziato del potere di chiedere l'iscrizione nelle liste di mobilità, ha carattere ordinatorio e può pertanto essere prorogato anche dopo la scadenza dello stesso, in presenza di adeguate giustificazioni del ritardo . P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Bari.