Non si può escludere il fine di spaccio dal semplice fatto che l’accertamento tecnico disposto sullo stupefacente ritrovato ha evidenziato che il quantitativo di principio attivo ricavato da esso non raggiungeva la soglia massima detenibile per uso personale.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 11805, depositata il 20 marzo 2015. Il caso. Il gup presso il Tribunale dei minorenni di Potenza dichiarava il non luogo a procedere nei confronti di un imputato del reato di detenzione a fini di spaccio di 6 grammi di hashish. Nonostante fosse stato accertato che l’imputato aveva ceduto a due minorenni dell’hashish nella mattinata dello stesso giorno fatto giudicato irrilevante, con conseguente dichiarazione di non luogo a procedere per tale specifica contestazione , non c’erano prove che quei 6 grammi di hashish, scoperti nelle sue tasche quel pomeriggio, fossero destinati alla cessione di terzi, tenendo presente la sua rilevata dedizione all’uso di stupefacenti. Il Procuratore della Repubblica ricorreva in Cassazione, deducendo che, a fronte della comprovata attività di spaccio di un pezzo di hashish quella stessa mattina, la detenzione di 6 grammi, già divisi, confezionati individualmente e custoditi in un contenitore, doveva essere ritenuta indicativa dell’illecita attività di cessione a terzi. Non era un caso che l’imputato si trovasse nello stesso luogo in cui era stata accertata la precedente attività di spaccio. Soglia massima. La Corte di Cassazione rileva che la decisione del gup era basata sul fatto che l’accertamento tecnico disposto sullo stupefacente ritrovato evidenziava che il quantitativo di principio attivo ricavato da esso non raggiungeva la soglia massima detenibile per uso personale. Secondo gli Ermellini, si tratta però di un’affermazione illogica, poiché, «a parte che per uso personale può essere detenuta anche una quantità superiore», il mancato raggiungimento di tale soglia non rende di certo impossibile la destinazione allo spaccio. In più, lo stesso gup aveva ritenuto certo che l’imputato avesse effettuato singole vendite di due analoghe dosi, corrispondenti a quelle contestate. Tale affermazione sull’accertamento tecnico, unica argomentazione a sostegno della decisione, era irrilevante per accertare la destinazione della droga ad uso proprio o per cessione a terzi. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 dicembre 2014 – 20 marzo 2015, numero 11805 Presidente Ippolito – Relatore Di Stefano Motivi della decisione Il procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Potenza propone ricorso avverso la sentenza di non luogo a procedere emessa dal gup presso il medesimo Tribunale nei confronti di M.A., imputato del reato di detenzione a fini di spaccio di grammi 6 di hashish. Secondo il Tribunale, pur essendo accertato che il M. avesse ceduto a due minorenni dell'hashish nella mattinata dello stesso giorno per la relativa contestazione la stessa sentenza dichiarava nlp per irrilevanza del fatto non vi era prova che i 6 gr di hashish rinvenuti nelle sue tasche nel pomeriggio, a fronte della sua accertata dedizione all'uso di stupefacenti , fossero destinati alla cessione a terzi. Rileva il pubblico ministero la illogicità della decisione in quanto, a fronte della comprovata attività di spaccio di un pezzo di hashish nella mattina dello stesso giorno, la detenzione di cinque pezzi, per un peso totale di grammi sei, già divisi, confezionati individualmente e custoditi in un contenitore di metallo, era univocamente indicativa della illecita attività di cessione a terzi. Il M., del resto, si trovava nello stesso luogo, la villa comunale, ove aveva effettuato il conclamato spaccio, vendendo la droga ad acquirenti che avevano poi reso agli inquirenti dichiarazioni nel senso che il ricorrente era un abituale venditore di canapa indiana. Non si è, quindi, in presenza di una situazione di innocenza non superabile con un comune accertamento in sede dibattimentale. Il ricorso è fondato. A fronte degli elementi che il pubblico ministero indicava quale significativi per una valutazione in termini di destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente cinque dosi singolarmente confezionate corrispondenti nella apparenza esteriore alle due dosi vendute poche ore prima esattamente nel medesimo luogo ove il ricorrente stazionava senza alcuna apparente ragione quando veniva controllato e trovato in possesso della stessa droga la sentenza valorizza, per giungere ad una conclusione diversa, altre circostanze. In particolare considera il dato che l'accertamento tecnico disposto su/lo stupefacente de quo evidenziava che il quantitativo di principio attivo ricavato da esso non raggiungeva la soglia massima detenibile per uso personale , affermazione della quale va affermata la manifesta illogicità in quanto - a parte che per uso personale può essere detenuta anche una quantità superiore - il mancato raggiungimento di tale soglia certamente non rende impossibile la destinazione allo spaccio e, anzi, lo stesso Tribunale nella stessa sentenza ritiene certo che il M. aveva effettuato singole vendite di singole analoghe dosi due in tutto corrispondenti a quelle di cui qui si discute. Essendo la citata affermazione unica argomentazione a sostegno della decisione, ma essendo del tutto irrilevante al fine di giungere alla conclusione della destinazione della droga all'uso proprio o di cessione a terzi, viene a mancare del tutto una motivazione sulla non sussistenza del fatto reato. Ne consegue l'annullamento senza rinvio della decisione. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale per i Minorenni di Potenza per l'ulteriore corso.